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Seconda parte
Abside quattrocentesco tagliato di netto dall'aggiunta settecentesca
Passiamo
ora velocemente in rassegna gli altri elementi che si evincono dalla descrizione
delle mura tramandataci dall’abate Troyli. Delle torri quadrate abbiamo ancora
oggi una splendida, seppur solitaria, testimonianza, come si evince dalla foto.
L’effigie
di Giano Bifronte, invece, è una testimonianza veramente incredibile. Si noti
che nel '700, quando il Troyli scriveva, essa iniziava a deteriorarsi: era
“scrostata” solo in parte. Possibile che abbia resistito tanto a lungo?
Inutile dire che questa notizia ha dato adito a paraboliche teorie sulla fondazione del centro, facendola risalire addirittura all’epoca della guerra di Roma contro Pirro! Il Rondinelli, lo si è già detto, era un autodidatta, ma più che altro era un vero e proprio ammiratore dell’abate Placido Troyli, senza contare che poteva vantare la presenza del dotto prelato nell’albero genealogico di famiglia. Il cavaliere subiva un fascino tale da parte della figura del suo avo che, unita alla sua mentalità di stampo certamente tradizionalista, legata a schemi di pensiero vetusti, influiva non poco sulla concezione che poteva avere dello scrivere una pagina di storia.
Non verrà qui effettuata un’altra
trattazione sugli aspetti della storiografia locale di un piccolo comune della
Basilicata, ma quantomeno è d’uopo ricordare che per molti aspetti il modo di
fare storia del Troyli era in tutto e per tutto simile a quello di certi
“secentisti maniaci delle origini antichissime”, per i quali “ogni
paesetto doveva essere preromano”[1].
Il Rondinelli, come si è detto, viveva intellettualmente di riflesso della
figura del Troyli. Anzi, per molti aspetti, aveva imparato fin troppo bene
quella sottile arte della falsificazione non tanto dei documenti in sé, quanto
delle relazioni tra gli stessi, al fine di perseguire i propri obiettivi. Che
poi questi ultimi fossero rivendicazioni giuridiche o il provare le origini
antichissime e possibilmente risalenti a sanguinosi e gloriosi eventi, quali la
guerra tarantina, del proprio “paesetto”, poco importa.
Tornando a noi, arriviamo alla seconda cinta muraria. In realtà ci si limiterà, in questa sede, a rimandare all’articolo, pubblicato in questo sito, sul sistema di fortificazioni della costa jonica nel XVI secolo, in cui sono stati passati in rassegna (beninteso, in maniera tutt’altro che approfondita) i punti essenziali riguardo all’edificazione della struttura difensiva. Ma c’è, in fondo, qualcos’altro da dire.
Innanzitutto
nel suddetto articolo chi scrive esprimeva la sua perplessità di fronte alla
data di costruzione della seconda cortina. Ancora una volta, l’unica
testimonianza utile in proposito all’argomento è fornita dal Rondinelli. In
verità, tuttavia, questa volta anche lo storico montalbanese si mostra
titubante, volendole ora “racconciate”, ora costruite dall’“Università”
nel 1568
[2].
Saremmo
troppo impietosi, però, se non tenessimo conto della puntigliosa esattezza del
Rondinelli nel citare l’unica fonte attendibile per un qualsivoglia discorso
sulla seconda cinta muraria, ovvero un’iscrizione, ancor oggi esistente, che
recita: «Memoria praeteriti, timoreque futuri A. S. E. 1568», posta
oggi in una stanza dell’edificio, ormai vacante, che ospitava prima il
municipio, poi il liceo scientifico frequentato dal sottoscritto.
Iscrizione del 1743 a testimonianza dell'ampliamento della chiesa (aggiunta)
Il Rondinelli, comunque, ci
assicura che l’iscrizione era posta sulla porta principale della seconda cinta
muraria. E forse il cavaliere, uomo ligio alla pagina scritta, specie se dal suo
idolo, pareggiava così orgogliosamente una sua personal tenzone con l’abate:
Giano bifronte per questi, posto sulla porta antica; la terrorizzata iscrizione
sulla porta nuova, per il suo ammiratore e pronipote.
Veniamo
dunque alla nostra breve trattazione, e alla perplessità sulla costruzione
delle mura in questione nel 1568. Senza ripetere ciò che già è stato detto a
proposito dell’effettiva necessità di un sistema difensivo funzionante nella
seconda metà del secolo XVI, si noterà qui un elemento talmente palese che può
paradossalmente passare inosservato: il testo stesso dell’iscrizione.
Nell’articolo cui si è rimandato si faceva risalire la causa di tale
apprensione dei cittadini ad una scorreria turca che, secondo alcune
testimonianze, diede parecchie grane agli abitanti del luogo e ai loro
governanti.
Non
è il caso di passare in rassegna, in questa sede, argomenti certo interessanti
ma che contribuirebbero a formare al più delle congetture più o meno
opinabili. Anche a voler notare che, se le mura fossero state effettivamente
costruite (e non racconciate) nella seconda metà del XVI secolo, la chiesa di
Santa Maria dell’Episcopio, eretta nel XV secolo su una struttura preesistente
(fino a poco tempo fa visitabile, anche se di scomodo accesso), ne sarebbe
rimasta tagliata fuori, dato che la prima cinta muraria taglia di netto proprio
la parte settecentesca “aggiunta” dell’edificio, lasciando dunque la
struttura più antica al di fuori dell’area protetta. Ma nessuno ci dà
conferma che le cose potessero stare diversamente. Né si può opinare che i
vescovi tricaricesi, potentissimi, non potevano soggiornare in un centro esposto
a saccheggi in quanto non protetto da mura: la prima attestazione di un vescovo
di Tricarico morto a Montalbano è del 1585. Vero è anche che non è stato
detto, in questa sede, se qualche prelato abbia mai soggiornato a Montalbano
prima del 1568 senza di lì raggiungere il Regno dei cieli: in proposito è
utile consultare i tomi dell’Ughelli, certamente prodighi di informazioni a
riguardo.
Montalbano: prima cinta muraria che taglia la parte settecentesca della chiesa di Santa Maria dell'Episcopio
Ma alcune illazioni saranno permesse. Innanzitutto la scorreria turca non fu la sola a travagliare la cittadina. Sappiamo che Montalbano tra il 1271 e il 1272 fu infeudata al maresciallo Dreu de Beaumont [3], rientrando nella politica di massiccio infeudamento effettuato dal potere angioino, provvedimento che si inseriva in un più ampio progetto di recupero della pars massaricia dai «baroni latini, francesi e ultramontani» e quindi dell’incremento della cerealicoltura, scelta dettata dalla congiuntura economica del tempo, nonché in una politica di repressione dell’ancor forte partito filosvevo al quale, più o meno direttamente, le numerose rivolte di quegli anni facevano capo [4].
Non è questa la sede adatta per affrontare in maniera esauriente la materia. Si dirà, invece, di una rivolta fomentata da “malandrini lucani e catalani” che, al soldo di Ruggero di Lauria, partigiano di Giacomo d’Aragona, espugnò e mise a sacco Montalbano nel 1290. A riportarla puntualmente, come qualsiasi notizia che abbia a tramandar antica memoria del centro, è il cavalier Prospero Rondinelli [5], che richiama il Gattini (storico, stavolta, attendibilissimo), che a sua volta aveva preso la notizia dai Registri angioini, prima del sopra menzionato rogo nazista. Dallo stesso distrutto archivio avremmo avuto conferma di una rivolta, avvenuta nel 1306, dei montalbanesi contro Niccolò di Ianvilla, cui era stata “affittata la difesa di Andriace” [si intende qui certamente la riserva di caccia del bosco di Andriace, e non la masseria fortificata di casale Andriachium]. I montalbanesi, ribellatisi, “continuarono ad esercitare in essa quegli usi civici che godevano da lungo tempo, rifiutando di pagare quello che ingiustamente si pretendeva dal fittaiolo”. Della gloriosa rivolta popolare si faceva menzione in una memoria forense dell’avvocato Gaetano Celano conservata per l’appunto nell’archivio napoletano.
Ma le notizie (e spero di poter dire “ancora” e non “ormai”) son purtroppo prive di riscontro, pertanto inaffidabili. Ciò che si può affermare con un certo margine di certezza sono le pretese su Montalbano e territori attigui da parte di diversi enti ecclesiastici, sino (a questo punto) dal secolo XIV. Soprattutto sul Casale Andriachium (per il quale si rimanda ad una prossima scheda), che era in tenimento Montis Albani sin dal secolo XII, come ci informa un’altra memoria forense (il Rondinelli ne faceva largo uso, e questo è uno dei suoi meriti!) un tempo conservata nell’Archivio di Napoli [6]. Ma, alla luce di quanto esposto nella prima parte, quanto possiamo fidarci di queste testimonianze?
Le
informazioni utili ai nostri fini che si possono ricavare dalle notizie appena
riportate sono almeno due: primo, più di qualcuno, nel corso della storia, cercò
di allungar le grinfie su Montalbano. Secondo, l’iscrizione «memoria praeteriti timoreque futuri» non avrebbe senso se si
immaginasse una città sprovvista di fortificazioni che viene a ogni piè
sospinto saccheggiata e, imperterrita, rinuncia ad un sistema difensivo. La “memoria
praeteriti” del 1568 si riferiva anche a questi avvenimenti, oltre che ai
più recenti della scorreria turca? E il “timor
futuri” era forse una proiezione, in termini di desiderio di una “securitatis
quies”, dell’agiatezza di cui godevano i montalbanesi, richiamo troppo
invitante per briganti e bucanieri d’ogni risma? Forse non ci sarà mai dato
saperlo, o forse nuove ricerche di storia locale condotte con criterio [7] ci
illumineranno il cammino della storia per un altro breve tratto, quanto basta
per spingere la curiosità, motore dell’umano intelletto, a cercar più
avanti, altrove, qualcos’altro.
1 Gabriele Pepe, Introduzione allo studio del Medioevo latino, Bari 1969, p. 185.
2 Rondinelli, Montalbano cit., p. 21: «[…] quelle antiche mura racconciate e rinnovate dall’università il 1568 […]”; p. 30: “[…] e la parte nuova anche murata ebbe la porta centrale […] sulla cui arcata era segnato in lapide l’anno 1568 di su costruzione […]». A meno che il cavaliere non avesse ben presente la distinzione semantica tra i due termini “racconciare” e “ costruire”, cosa che mi pare improbabile, la sua confusione è ben evidente. Troyli insegna.
3 Licinio, Castelli cit., p.202.
4 Ivi, pp.
197 ss.; Salvatore Tramontana, Il
Mezzogiorno medievale. Normanni, svevi, angioini, aragonesi nei secoli XI-XV,
Roma 2000, pp. 87-
5 Rondinelli, Montalbano cit., pp. 33-34. L’opera del Gattini citata è C. G. Gattini, Delle armi dei comuni della provincia di Basilicata, Matera 1910, p. 51.
6 La memoria è riportata dal Rondinelli (op. cit. p. 198, nota 322) in questi termini: “Archivio di Stato di Napoli – Montalbano: Processi demaniali – Difesa 1810 dell’avv. Fiorentini contro il principe di Migliano”. Si evince, tra l’altro, che pretese erano avanzate sul centro ancora nel secolo XIX.
7 Pepe, Introduzione cit., pp. 185 ss.
© 2005 Pierfrancesco Nestola