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di NINO LAVERMICOCCA

  

L'insana guerra contro l'Iraq, paese di antichissima cultura, rischia di distruggere per sempre, insieme alle vite di inermi ed infelici cittadini, il suo patrimonio storico-archeologico, faticosamente venuto alla luce, fra l'altro solo in parte, vistosamente rapinato e sottratto proprio da uno dei paesi più "bellicisti": la Gran Bretagna, che ne espone i tesori nelle sale del British Museum.

Del patrimonio storico-documentario dell'Iraq e della sua capitale Baghdad, qualche frammento ha raggiunto persino Bari, sia pure per un breve ma intenso periodo di relazioni. Si era negli anni della conquista e della formazione del piccolo emirato arabo di Bari fra 847 e 871, ad opera di Khalfun, un capo berbero, probabilmente di origine tunisina, che si dichiarò primo emiro della città. La storia dell'emirato barese è stata ampiamente raccontata da Giosuè Musca nel volume, rimasto insuperato, L'emirato di Bari (Bari 1964, nuova ediz. 1992), A Khalfun successe nel governo del "feudo" barese, vassallo di Baghdad, il secondo emiro: Muffarag-ibn-Sallám, uomo saggio e prudente, il quale si pose subito il problema della investitura ufficiale ed il riconoscimento legale della sua funzione di Wali ("Governatore") del distretto barese, ampliato frattanto, secondo la testimonianza dello storico arabo al Baladhuri, fino a comprendere ben ventiquattro "castelli" o borghi fortificati. Non volendo dunque essere considerato un usurpatore (mutaghal-libun), dal punto di vista politico e religioso (di professione hanafita, come i califfi di Baghdad), Muffarag inviò una lettera al Diwan al barid, il "Direttore dell'Ufficio Posta, diplomi e informazioni" del califfo in Egitto, in cui si richiedeva il riconoscimento del nuovo emirato di Bari, l'investitura a governatore legittimo e l'autorizzazione alla pratica della pubblica preghiera del venerdì nella moschea della città. Per motivi che non si conoscono a pieno, la risposta a tali richieste non giunse mai a Bari.

  

Nel frattempo Muffarag veniva ucciso dai suoi stessi Berberi nell'856 e gli succedeva come terzo emiro di Bari, il bellicoso ed astuto Sawdan, terrore dei cristiani e malefico demonio, come descritto, con dovizia di particolari, dalle cronache contemporanee. Nondimeno anche Sawdan ambiva al prestigioso riconoscimento ufficiale della sua carica e per questo inviò nell'861 un ambasciatore personale o un gruppo di emissari (berberi, baresi, ebrei?) direttamente a Baghdad. Ma qual era allora la situazione nella città capitale del Califfato? Facciamo un piccolo passo indietro per ricapitolare la storia del paese in età medievale.

L'Iraq (il cui nome deriva da Hira, la capitale dell'arcaico popolo dei Lakhamidi) fu conquistato dagli Arabi nel 637 con la bataglia di Qadisiya contro lo Shahanshah Yazdegerd, fuggito e assassinato in Iran. La vecchia capitale Ctesifonte - Seleucia fu presa da Ibn-Waqqas, che ne cambiò il nome in quello di Mada-in ("Le Città"), insieme a Bassora e Kufa. Ben presto le rivalità fra Arabi dell'Iraq e della Siria sfociarono in guerre e nel 740 gli iracheni "Abbassidi" (da al-Abbas, discendente di Alì, genero del Profeta), sconfissero con l'aiuto dei Khorasaniani (del distretto tuttora esistente di Khorasanbad) i siriani Omayyadi, trasferendo la capitale del califfato da Damasco nella nuova città di Baghdad ("data da Dio"), fondata da al-Mansur nel 762 sulle rive del Tigri, con una planimetria simbolica, astrale, disegnata in tondo con assi viari ortogonali fra loro. Era una sorta di "città proibita", progettata solo per il califfo, la sua corte, i suoi palazzi, ma ricca di cultura per le scuole teologiche e gli uffici pubblici di una efficiente amministrazione centralizzata, tra i quali il diwan giaish ("Ufficio della guerra"); il diwan rasail ("Cancelleria califfale"); il diwan barid ("Posta e corriere diplomatico").

A questo periodo di attività commerciale e culturale risalgono parole, passate poi anche all'italiano, quali qanun ("canone da pagare"), kass ("cassa"), maghzán ("magazzino"), elisir ("la pietra filosofale"), alcool, al-ambik ("alambicco"), ecc. Dall'849 vi regnava il califfo al-Mutawakkil, al quale l'emiro di Bari Sawdan inviò la sua ambasceria nell'861. In verità si trattò di una ambasceria piuttosto "iellata", se, appena giunta a Baghdad, il califfo venne assassinato. Il suo successore, al-Musta'in (che regnò soltanto sei mesi) ebbe appena il tempo di ordinare al suo cancelliere Awtawish, wali del Maghreb (Governatore dell'area algerina) di stendere il diploma di investitura per Sawdan, ma purtroppo proprio il cancelliere morì improvvisamente nell'863.

Gli successe nella carica il liberto Wasif e finalmente l'agognato diploma, vergato nella vicina Samarra, la nuova città costruita come residenza estiva, debitamente firmata per mano del califfo "al-Musta'in billah Ahmad ibn Muhammad ibn Mu'tasim", giunse a Bari insieme alla bandiera e ricchi doni (chissà dove sono finiti). A Bari il califfo di Baghdad è ricordato col nome di "Amarmomino", nel Taccuino di viaggio del monaco franco Bernardo, di passaggio in città in quegli anni, al quale furono rilasciati dall'emiro Sawdan passaporti e credenziali per il suo pellegrinaggio a Gerusalemme. "Amarmomino" non è che il compendio del titolo proprio del califfo: Amir al-mu'minis ("Principe dei Credenti"). Gli ambasciatori baresi dunque poterono ammirare Baghdad nel suo pieno splendore: il Palazzo del califfo detto "Porta d'oro", con pianta a croce sormontata da una cupola in maiolica verde, la Grande Moschea, le magnifiche quattro porte, i giardini, gli edifici pubblici e nella vicina Samarra (il cui nome significa: "Si rallegra chi la vede"), appena fondata, le due grandi Moschee dei califfi, di cui la più sorprendente era quella di Abu Dufal (860-861), con il caratteristico minareto a spirale detto al-Malwiya.

Probabilmente abbacinati da tanta bellezza, gli ambasciatori portarono a Bari anche un modello di moschea da costruire o da abbellire: purtroppo gli edifici dell'emirato barese sono scomparsi senza lasciare traccia. Tutte le notizie riportate dal Musca sono a loro volta contenute nel Libro della conquista dei Paesi, scritto dallo storico arabo al-Baladhuri, vissuto alla corte del califfo di Baghdad, proprio al tempo dell'emirato di Bari e morto nell'892.

  

Un'altra fonte di grande importanza sui rapporti intercorsi fra Bari e Baghdad nel IX secolo è costituita dalla Cronaca ebraica detta Sefer Iohasin ("Libro della Genealogia"), scritta intorno al 1054 dal dotto Ahimaaz di Oria, che descrive i fatti principali dei suoi antenati residenti in quella città. Ad Oria visse per breve tempo anche il "Maestro dei misteri" (cábala) Aaron ben Samuel ha-Nassi, un ebreo di Baghdad, passato poi a Bari, come consigliere dell'emiro Sawdan, che gli si legò di affettuosa amicizia. Quando Abu Aaron, preso da nostalgia per la sua Baghdad, decise di lasciarlo, dopo appena sei mesi, imbarcandosi dal porto di Bari (già attivo in quel tempo lontano) su una nave per Alessandria, l'emiro tentò in tutti i modi di dissuaderlo, ricorrendo infine alla forza, facendo inseguire la nave del maestro da una flottiglia veloce di vascelli, che furono impediti di raggiungerla da una forza misteriosa, mentre scompariva all'orizzonte dell'Adriatico.

Racconti pieni di aspetti quotidiani, di una umanità palpitante in una città altrettanto viva, capace di corrispondere persino con la lontanissima Baghdad. Pensieri di pace rincorrono quella nave, riflettendo su quel periodo tuttora misterioso dell'emirato di Bari, sulla piccola capitale di uno Staterello islamico nel cuore dell'Occidente cristiano, forse una Baghdad in miniatura, con il Palazzo dell'emiro, la Moschea pubblica, quella "palatina", il ribat berbero, il suk ("il mercato"), le stradette tortuose e vicoletti (darbusucac), un'autentica "Medina" araba, ricca di odori d'Oriente, di spezie, stoffe, amori, schiavi, bottino, cavalli, navi, fanciulle ed emiri, così come poeticamente narrato da F. Percoco nel romanzo Il Fiore sulla Muraglia, ambientato al tempo del ferocissimo Sawdan, terrore dei Cristiani.
  

  

  

©2003 Nino Lavermicocca. Articolo per «Paese Nuovo» (quotidiano pugliese allegato a «l'Unità»), qui ripresentato con il consenso dell'autore.

  


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