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di NINO LAVERMICOCCA

 

 

La guerra l’Iraq l’ha già subita e tutti conoscono il prezzo pagato dal paese nel numero dei morti, soprattutto donne e bambini, e nella distruzione del patrimonio culturale. Ora una seconda guerra insensata minaccia l'Iraq, la sua gente, la sua eredità storico-culturale. Racconta Esopo in una delle sue Favole ("La Guerra e la violenza"): «Gli dei tutti avevano sposato colei che avevano scelto, per sorteggio. All’ultimo giro arrivò il dio della guerra e gli toccò la sola che era rimasta: la violenza. Invaghitosi comunque perdutamente di lei, la sposò. E da quel giorno la segue dovunque vada. Quando la violenza scoppia, dunque, fra i popoli, guerra e lotte feroci la seguono immediatamente».

L'Iraq oggi

 

E non risparmiano niente e nessuno, nonostante i protocolli internazionali, che mettono al riparo dalle distruzioni, oltre e innanzitutto le persone, anche i beni culturali del paese. Il patrimonio storico-archeologico ed artistico, l’imprinting originario di un popolo, deve sopravvivere almeno come punto di riferimento per l’auspicata rinascita e pacificazione.

All’Iraq, in gran parte la terra compresa fra i fiumi Tigri ed Eufrate, l’Occidente deve la nascita della propria civiltà: case, sistemi urbani, scrittura, scienza, diritto, ecc., fra 8.000 e 5.000 anni prima di Cristo. La sua storia, conosciuta attraverso i documenti e l’archeologia, è più “recente”, solo 2.000 anni e comprende i nomi mitici dei grandi sovrani dinastici babilonesi: Hammurabi (1704-1662 a.C.), ad esempio.

Fra gli antenati remoti degli Iracheni si contano gli Amorrei, di cui si diceva che mangiassero “tartufi” e carne cruda, e che non avessero case in vita, né sepolture dopo morti, gli Hurriti, guerrieri a cavallo e su carri da guerra, in lotta contro i Faraoni d’Egitto e infine i Sumeri, i più noti. Dall’incontro dei Sumeri con i Babilonesi, due popoli, due lingue, due civiltà, è nata forse la leggenda della “Torre di Babele”, la confusione delle parole, prima dell’osmosi e della ricomposizione nella scrittura “cuneiforme”, ben presto sfociata nella letteratura: l’Epopea di Gilgames e l’Enuna Elis, in lode del dio nazionale Marduk. A lui elevò un tempio (l’Esagil), il grande Re Nabucodonosor II (605-562 a.C.), insieme alla apertura di canali di irrigazione, la costruzione delle grandiose muraglie a doppia cortina, intervallate da porte (la più celebre: la Porta di Ishtar, trasferita tutta intera nel Museo di Berlino), con mattoni smaltati decorati da bovi e leoni, i celeberrimi giardini pensili, la Torre templaria (Etemenanki), che fecero di Babilonia (il cui nome tradotto dal sumero “Kadingirra”, significa “Porta degli dei”, Bab-ilu), la città  più splendida del tempo, fino al 539 a.C., quando fu conquistata da Ciro il Grande.

Una ricostruzione ideale dei giardini pensili di Babilonia

   

Nell’alto medioevo, Stato cuscinetto fra l’Impero Bizantino e Persiano, fu fra i paesi che per primi subirono l’invasione araba, annesso al Califfato Omayade di Damasco. Ctesifonte (la capitale del periodo romano) fu presa nel 637 dai Califfi Abu Bakr e Mutannà, ritenuto tuttora in Iraq un eroe nazionale; Bassora e Kufa nel 638. Fra i Califfi più venerati, Alì bin Abi Talib, cugino e genero del Profeta, ucciso dopo violenti contrasti interni nel 661 e sepolto a Naiaf, nei pressi della città santa di Kerbala (Moschea-santuario con cupola in oro e rivestimenti di ceramiche smaltate). Da Alì prendono il nome gli Sciiti, la maggioranza musulmana dell’Iraq (si’at Alì = partito di Alì), diversa dai Sunniti, seguaci della tradizione più ortodossa del numero dei Califfi. Ad Alì, successe l’imam (“colui che sta avanti” nelle file della preghiera) Husain, anch’egli sepolto a Kerbala in un’altra superba tomba-santuario. Il Califfato di Damasco sotto la dinastia degli Omayadi durò fino al 714.

Agli Omayadi seguì la dinastia degli Abbasidi (da Abbas, un altro cugino di Maometto), i quali al tempo del Califfo Al-Mansur (762-766) spostarono la capitale in una città di nuova fondazione, al centro dell’Iraq, col nome arabo di “Madinat as Salam o Dar-as Salam” = città o dimora della pace, sul quale però prevalse il nome persiano del vecchio villaggio precedente, Baghdat, “data da Dio”. La città, fondata sotto gli auspici dell’astrologo persiano Naubhat e l’ebreo Māsa Allah ibn Sāriya, ebbe una forma innovatrice e simbolica: un grande cerchio (alludente al cosmo e all’eternità), diviso da due bracci ortogonali con quattro porte alle loro estremità e al centro un “Tirbal” (Tetrapilon), comprendente il Palazzo del Califfo, detto “Bab ad dahab”, Porta d’oro, concetto questo assai diffuso nel mondo islamico (si ricordi ad esempio la “Sublime Porta” del Sultano ad Istanbul). 

Il Palazzo aveva una forma a croce con quattro bracci uguali, sormontato al centro da una cupola in maiolica verde ed accanto la Moschea “palatina” con colonne di legno. In questo Palazzo delle Mille e una notte visse il Califfo più famoso: Harūn ar-Rasid (il “guidato sulla retta via”), che fu in amichevoli rapporti con Carlo Magno, al quale inviò in dono preziosissime pedine in avorio del gioco degli scacchi, alcune delle quali sono tuttora incastonate nell’ambone della Cattedrale di Aquisgrana. Ma ancora una volta gli inquieti Califfi cambiarono la loro capitale. Fra 833 e 842 Al Mu’tasin fondò Samarra (“si rallegra chi la vede”), circondata da fossati e canali quasi come un’isola, con il magnifico Palazzo del Califfo e due Moschee: quella di Al-Mutawakkil (848-852) e di Abu Dulaf (860-861), con il celebre minareto a forma di cono allungato con rampa a spirale, secondo il modello della “ziqqurat” babilonese o il “T’ai” cinese.

A Samarra fu inviato l’emissario del III Emiro di Bari, Sawdan, con l’incarico di ottenere il permesso di costruire la Moschea pubblica e l’investitura ufficiale di Walì o Emiro, il quale si trovò ad essere spettatore di uccisioni successive dei Califfi, ritardando perciò il suo ritorno a Bari, fino a quando Wasif, liberto del Califfo Al-Mu’tasim, non concesse all’ambasciatore barese il sospirato benestare. Un paese dunque, come si vede, dalla storia affascinante, in cui entra, anche se brevemente, lo zampino di quella di Bari, e dall’immenso patrimonio a rischio, se dovessero prevalere le ragioni, per molti versi inconfessabili, di un nuovo ingiustificato conflitto.

Tra l’altro buona parte di quel patrimonio, depredato in passato, al tempo del mandato britannico sul paese, si trova proprio nel British Museum di Londra (proveniente da quelle località che presumibilmente non saranno immuni da distruzioni). Le ricordiamo brevemente, con l’auspicio che non siano a futura memoria: Ctesifonte con la stupenda Porta “Taq-i-Kisra” e il grande Tempio con sculture romano-arabe; Ninive, con il tracciato della sua lunga muraglia (12 Km) e i resti del Palazzo di Sennacherib; Kerbala, la città santa degli Sciiti; Kufa, celebre per i caratteri della scrittura persiana antica (“cufici”); Ur, la più antica città del mondo (6000 anni a.C.); Mossul, famosa per i tessuti (la “Mussola”), la Moschea degli Omayadi e quella del “Profeta Giona”, ritenuto qui sepolto; Nimrud, l’antica capitale degli Assiri, con le mura, il Tempio di Nimurta, il Palazzo di Sargon e quello di Assur nasir bal II, con la porta fiancheggiata da enormi tori scolpiti con teste umane e Leoni alati.

La Mustansiriya, l’antica Università di Baghdad

   

Ed infine la capitale, Baghdad, della quale è andata completamente perduta la cittadella rotonda, ma che conserva ugualmente grandi monumenti, come ad esempio la “Mustansiriya”, l’antica Università fondata nel 1226; i resti del Palazzo del Califfo; il Caravanserraglio Mutjan; la Moschea di Kadhmain del 1515; quella dello sceicco Abdul Kader Al-Galiani del 1165; la Tomba di Zubeida o Zimurrud, moglie di Harun-ar-Rasid; i Bazar e i Musei, fra cui quello Archeologico Nazionale iracheno. Colpire o distruggere questo patrimonio significa colpire il cuore stesso di un popolo e le profondissime radici della sua civiltà.

  

  

©2002 Nino Lavermicocca. Articolo apparso su «Paese Nuovo» (quotidiano pugliese allegato a «l'Unità»), e qui ripresentato con il consenso dell'autore.

  


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