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di FULVIO DELLE DONNE

Federico II in una iniziale miniata

  

La questione della definizione del concetto di nobiltà fu affrontata, presso la corte di Federico II di Svevia, in una contentio, su cui furono chiamati a rispondere Pier della Vigna e Taddeo di Sessa. Non possiamo essere certi, a dire il vero, che una tale contentio abbia avuto realmente luogo e se essa abbia realmente seguito le modalità descritte. Non è da escludere, infatti, che essa rappresenti semplicemente un'esercitazione letteraria su una tematica alla moda. Tuttavia, bisogna ricordare che presso la corte di Federico di Svevia non erano infrequenti dispute simili.

Della contentio non si può definire con certezza la datazione. Tuttavia, poiché è indirizzata a Pier della Vigna e a Taddeo di Sessa, dovette essere scritta nel periodo in cui i due giudici imperiali godettero di maggiore prestigio, e cioè tra la fine degli anni Trenta e l'inizio del 1248, quando, il 22 febbraio, Taddeo di Sessa rimase ucciso durante l'assedio di Parma. Del tutto aleatoria risulta anche la determinazione dell'autore, di cui si conosce solo l'iniziale, e neppure questa è del tutto certa: infatti, il codice Vaticano latino 4957 e quello di Breslavia, Rhediger 342, andato distrutto, ma di cui conosciamo l'incipit  e l'explicit  della contentio, portano l'iniziale T.; quello di Palermo, Società siciliana per la storia patria, I B 25, porta P.; il Palatino latino 955, porta G. è probabile che l'iniziale giusta sia T., dal momento che il manoscritto Vaticano latino 4957 risulta generalmente più corretto degli altri: pertanto, tenendo presente l'assoluta aleatorietà di ogni identificazione, l'autore più probabile sembrerebbe essere Terrisio di Atina, dal momento che altre sue lettere e altri suoi componimenti sono contenuti nel manoscritto di Palermo che contiene anche la contentio [1].

Qui di seguito si riporta la traduzione italiana, mai effettuata prima, dell’intera contentio [2].

    

A due uomini illustrissimi, amici del grande Cesare, a due signori quant'altri mai rispettabili per sentimenti e costumi, ai maestri Pier della Vigna e Taddeo da Suessa, la profonda devozione di maestro T.

Sorta per caso nella nostra scuola una piacevole contesa sul valore della nobiltà di sangue e della probità d'animo, si è giunti ad animata discussione per decidere quale tra esse debba essere considerata più importante; se ne è quindi disputato con abbondanza di argomentazioni. Tuttavia di questa contesa, che, a guisa di grande fiammata accesa da scintilla sospinta dal vento, si è ampliata per le molteplici obiezioni, non si ha una soluzione. Infatti la mia imperizia non è stata sufficiente per incanalare a soluzione una così intricata questione, tale da esigere più alte capacità. Proprio perciò si fa ricorso a Voi due, come ad acuti giudici che sanno raccogliere con cura gli elementi che si impongono all'umano sentire, perché possiate imporre il sigillo del Vostro giudizio all'insorto litigio.

Dall'una e dall'altra parte venne scelto un difensore, non ingaggiato in virtù di un premio o di un ordine, ma perché lo imponeva il patrocinio della causa della nobiltà. E il primo, fattosi avanti, come su una tribuna, strappò a sé tale dignità e cominciò in tal modo:

«Si sa, ed è noto a tutti coloro che non sono privi di senno, che da un solo medesimo principio, voglio dire dal primo padre, che nel succedersi delle generazioni ci lasciò il crisma della propagazione, si diffuse il seme del genere umano, secondo quanto è scritto:

"Tutto il genere umano vien fuori dallo stesso principio.
Uno infatti è il padre, uno è colui che regola tutte le cose.
Egli diede i raggi al sole, i corni alla luna".

Ma proprio quel primo, allontanandosi dalla nobiltà della sua creazione, trasmise ai posteri, in misura più o meno grande, la tendenza alla corruzione. Non mancarono tuttavia uomini protesi a porre riparo al primo insorgere del male in sé stessi, a ritornare alla gloria della primitiva dignità, a dedicarsi a grandi imprese perseguendo opportuni meriti. Altri invece, lasciandosi andare, quasi parte rozza dell'umanità, si dettero a una vita ferina, volgendosi a modeste attività, come il rimuovere la terra, strappare germogli, proteggere i campi con siepi, aver cura delle ghiande: cose di nessuna nobiltà. Così dunque si affermò la nobiltà, perseguendo grandi imprese, senza cui niente ci può essere di notevole, e mai nulla ci fu, come è dimostrato dai primi re e da molti altri uomini nei quali si andava affermando l'alto sentimento della nobiltà. Se dunque qualcuno si dedica a cose grandi, proprio per questo è grande, ed è più grande chi si impegna in opere di maggiore importanza: è da anteporre infatti la nobiltà di colui la cui virtù opera cose grandi. Se mi si obietta che non è possibile che si facciano nel mondo cose grandi senza probità d'animo, sono pronto ad ammetterlo. Tuttavia della probità la nobiltà si serve come di ancella. Leggiamo infatti che filosofi in cui rifulse ogni probità furono sempre al servizio dei re, non mai i re al servizio dei filosofi. Anche il grandissimo Aristotele, nel cui petto era contenuta tutta la filosofia, era suddito di Alessandro Magno, che aveva soggiogato l'orbe terrestre, piegandosi così all'imperio della nobiltà. Se poi qualcuno vorrà ascrivere ciò al solo rispetto del potere, risponderò che nella vera nobiltà tre cose sono incluse: forza, possanza e attività mentale. Le prime due sono le sue vere compagne, la terza è come un'ancella. Di solito, infatti, i nobili apparvero potenti e forti, dotati di un gran corpo. Proprio perciò, in forza, cioè, dell'altezza delle sue spalle, che lo rendevano eminente tra gli altri, Saul fu unto re e assunse dignità regale. La nobiltà perché sia immediatamente ravvisabile esige anche bellezza. Priamo fu ritenuto degno del comando proprio in virtù del suo aspetto. Dunque proprio la nobiltà, cui si accompagnano tanti eccelsi valori, è da privilegiare per la presenza di tante buone prerogative e da esaltare con altissime lodi. Per di più, la nobiltà si trasmette attraverso le generazioni. Sono gli avi a lasciare la gloria ai loro discendenti: esiste infatti una gloria avita derivante dai meriti dei propri genitori. E proprio come un vanto che si riferisca a più cose è più prezioso, così quello che ha il suo punto di riferimento in più generazioni dà maggior lustro e non tanto facilmente si estingue. La nobiltà è cosa superiore alla probità, che si estingue con chi la possiede, così come nei bruti si estingue il principio vitale. Per concludere, se un nobile talvolta degenera, non per questo viene meno la nobiltà nella sua essenza; mentre ciò che si è verificato viene ascritto a colpa di colui che degenera: proprio come il religioso che abbandona l'abito senza, con ciò, scalfire minimamente il valore della religione. Debbo aggiungere che i nati di sangue nobile sono più chiari, in quanto generati da un umor delicato e da elementi più puri. Proprio perciò si legge della gloria legata alla purezza del sangue, perché la natura nei nobili opera più accortamente. Da quanto ho detto si può evincere facilmente che, proprio per disposizione naturale, la nobiltà deve essere anteposta a quant'altro mai può essere desiderabile».

Concesso il campo, pur senza specifico invito, alla parte avversa, perché potesse esprimere le argomentazioni conclusive a sua difesa, il difensore della probità prese a parlare in tal modo:

«Non è avversario colui che suggerisce e indirizza le argomentazioni di chi si leva a competere con lui. Ti ringrazio perche hai voluto preparare la via alle mie controdeduzioni: ti rimbeccherò, infatti, servendomi di quelle stesse argomentazioni con cui credesti di convincermi. Anzi, perché sia tu stesso a risponderti, mi servirò delle tue parole. Tutto ciò che muove è migliore di ciò che è mosso: proprio come è migliore il primo moto. Ma tutto ciò che, nella nobiltà, ha maggiore valore, lo ha in virtù della probità d'animo. La probità allora è certamente cosa più importante. Come è possibile argomentare anche pensando a Giuda, uno dei dodici figli di Giacobbe: non dai meriti degli avi ma dalla sua personale virtù acquisì il primato; col passaggio del mar Rosso, dalla sua sola tribù vennero i re di Israele e da essa volle nascere anche il re dei re, l'atteso delle genti. Di necessità è da concludere che è proprio la probità a conferire nobiltà e non la nobiltà probità. Tutto ciò che induce a perfezione è superiore a quanto in sé è compiuto. La probità dà significato e senso alla nobiltà. Una nobiltà inerte e insignificante è priva di valide connotazioni; non esiste. Vediamo, infatti, che spesso uomini di nobile lignaggio ma privi di precipue caratteristiche sono paragonati a pareti imbiancate: sono infatti figure non esseri veri, proprio come un uomo dipinto non è certamente un uomo. Esaltasti poi la nobiltà perché è comune a più persone, ma è più comune tra gli uomini la probità che si manifesta con multiformi aspetti: in quanto la probità è altezza di costumi, di virtù e di sapere. Come tutto ciò che è fatto bene segue i dettami della ragione, la probità è caratterizzata proprio dalla razionalità, come la razionalità dalla probità. Ordunque, in tutte le cose ben fatte la probità non si rivela ancella ma signora. Quanto poi all'argomentazione che introducesti secondo cui i filosofi sono sottoposti ai re e non questi ai filosofi, la cosa procede da virtù e non da obbligo, in quanto la probità dei filosofi conferisce prestigio più che la magnificenza regale. I re sono spinti ad agire con prudenza e sicurezza dai consigli e dalle prescrizioni dei saggi. Tanto vero che per aver ragione della roccaforte troiana, che resisteva, non senza molte stragi, da un decennio, valse più il consiglio di Ulisse che la forza fisica del pur invincibile Achille. In Egitto più valse e più poté l'intelligenza e la morigeratezza di Giuseppe che tutto il popolo di Israele. Grazie infatti al suo impegno e alla sua prudenza un'intera regione poté essere sottratta ai morsi della fame; per cui in ragione del suo accorto impegno ebbe il nome di salvatore. Considera dunque qual è il valore della probità e come essa possa tutto ciò che vuole. Donde il detto:

"I saggi possono tutto ciò che vogliono".

E l'altro:

"Tutto facesti con sapienza",

e non con nobiltà. Tu allegasti un'altra argomentazione: che sia proprio dei nobili un corpo grande e bello e che, per volontà della stessa natura, la prole dei nobili vien fuori bella da sangue delicato. Cosa assurda e risibile! Infatti se un'asserzione risulta errata in qualche sua parte, essa è da respingersi del tutto. Si nota infatti, e assai spesso, che gli animali di corpo più piccolo sono più sensati di quelli che si distendono sì con eccessiva ampiezza, e che quelli esteriormente brutti hanno interiormente più grandi virtù, per cui risulta vero il detto:

"Si afferma in povere membra uno splendido potere".

La natura dunque attribuisce con indifferenza l'una o l'altra prerogativa. E, in particolare, non vedo come da un sangue raffinato debba venir fuori, per volontà della natura, una prole migliore, dal momento che talvolta una donna bella partorisce da un uomo nobile e bello un figlio deforme, mentre ho sentito spesso parlare di figli di rozzi contadini venuti fuori adorni di ogni bellezza. Per concludere, se la nobiltà è legata ai meriti degli avi che li acquisirono con l'esercizio delle virtù e se la nobiltà, quindi, poggia sulle virtù, dal momento che queste sono assicurate soltanto dalla probità, ritengo che sia sufficientemente provato che la probità, in ogni caso, sia da anteporre alla nobiltà».


    

1  Su Terrisio di Atina cfr. F. Torraca, Maestro Terrisio di Atina, «Archivio storico per le province napoletane», 36 (1911), pp. 231-53 (ripubblicato in Id., Aneddoti di storia letteraria napoletana, Città di Castello 1925, pp. 33-59), che pubblica, spesso in maniera non del tutto corretta, anche i testi attribuiti a questo maestro.

2  La traduzione è stata condotta sull’edizione critica approntata in F. Delle Donne, Una disputa sulla nobiltà alla corte di Federico II di Svevia, «Medioevo Romanzo», 23 (1999), pp. 3-20, a cui si rimanda per una più approfondita discussione sull’argomento.

     

  

©2005 Fulvio Delle Donne; l'immagine è tratta dal sito www.scuola.com.

  


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