CENTRO DI STUDI NORMANNO-SVEVI - Cronache delle giornate
FRANCESCO VIOLANTE
Il Mezzogiorno normanno-svevo e le Crociate [*]
XIV giornate normanno-sveve, ottobre 2000
Dal
17 al 20 ottobre 2000 si sono tenute a Bari, nell’Aula Magna dell’Ateneo, le
quattordicesime «giornate normanno-sveve», sul tema Il Mezzogiorno normanno-svevo e le Crociate.
Sin
dal 1973, anno in cui questi incontri, che hanno visto una larga partecipazione
di studiosi italiani e stranieri, hanno preso avvio, il Centro di studi
normanno-svevi, organizzatore e promotore delle «giornate», ha proposto una
coerente linea di indagine, volta ad esaminare i numerosi e molteplici aspetti
di una società, quella italiana meridionale dei secoli XI-XIII, che fu al
centro dell’incontro-scontro fra le tre grandi entità politico-culturali del
Medioevo europeo, l’occidentale franco-germanica, l’orientale bizantina e
l’arabo-islamica, e si pone
dunque come laboratorio privilegiato per la comprensione storica del mondo
euromediterraneo medievale.
In
questo quadro l’argomento di queste «giornate», che si presenta quanto mai
attuale ad un anno da varie celebrazioni, rievocazioni, indagini storiche e
giornalistiche in occasione del centenario della conquista crociata di
Gerusalemme nel 1099 e a pochi giorni dalla sanguinosa ripresa delle ostilità
nei territori israeliani e palestinesi, si collega strettamente a quello delle
tredicesime «giornate», tenute nell’ottobre 1997 e sul tema
Il
Mezzogiorno normanno-svevo visto dall’Europa e dal mondo mediterraneo,
e si presenta come utile approfondimento di temi talvolta
strumentalizzati e soggetti a pregiudizi intellettuali che ne distorcono la
comprensione. Molto positiva quindi l’assidua presenza, tra gli altri, dei
quindici giovani studiosi che hanno beneficiato di una borsa di studio messa a
disposizione dal Centro.
Aprendo
il convegno Giosuè Musca (Le
Crociate ed il Mezzogiorno normanno-svevo) ha segnalato le prime
attestazioni del termine ‹‹crociata››, dovute specialmente a trovatori
come Aimeric de Péguilhan nel XIII secolo, e dunque molto tarde rispetto alla
prima impresa crociata. Iter e passagium sono
invece i termini più usati almeno durante le prime tre Crociate, eufemismi che
comunque nascondono a noi moderni il loro essenziale carattere di cruento atto
di guerra, ancorché definito ‹‹dolce viaggio››, da Walther von der
Wogelweide.
Ripercorrendo
poi brevemente la cronologia delle otto Crociate ‹‹ufficiali››, Musca ha
sottolineato come il termine ‹‹crociata›› abbia permesso di classificare
come tale eventi ed imprese che hanno mostrato qualche carattere comune e che
dal confronto riescono più comprensibili e più facilmente inquadrabili
storicamente. Di qui l’ambiguità del termine, che include fenomeni tra loro
assai diversi come la Reconquista nella
penisola iberica, la conquista normanna della Sicilia, ed anche le spedizioni
armate nei paesi baltici e nella Francia meridionale: un uso elastico del
termine che è anche del linguaggio comune e giornalistico, con accezione sia
positiva che negativa.
Guardando
alle date di inizio e fine dell’esperienza crociata in Terrasanta (1095
concilio di Clermont; 1291 caduta di San Giovanni d’Acri), è innegabile la
centralità geografica e politica assunta dal Mezzogiorno italiano. La stessa
conquista normanna della Sicilia è stata presentata come ‹‹crociata››
da Goffredo Malaterra, anche in virtù di accordi con il papato romano, senza
contare la partecipazione di Boemondo di Taranto alla prima Crociata, le
difficilmente definibili spedizioni di Ruggero II in Africa settentrionale, la
crociata ‹‹anomala›› di Federico II.
Tracciando
un primo e globale bilancio, sulla scia dei contributi di autori come Roberto
Sabatino Lopez, Jacques Le Goff, Steven Runciman e Jean Flori, il relatore ha
evidenziato un sostanziale bilancio negativo delle Crociate, che non hanno
liberato l’Europa da un ceto feudale aggressivo, come era negli intenti di
Urbano II, che hanno acuito l’ostilità con la cristianità orientale invece
di difenderla, che non hanno inciso se non molto marginalmente sullo sviluppo
culturale europeo, alimentato da altri canali. La ribadita necessità di
studiare luci ed ombre dei processi storici, con obiettività e partecipazione,
ma senza faziosità per evitare cinici ed inaccurati revisionismi, ha chiuso
l’intervento di Musca.
Mario
Gallina (La ‹‹precrociata›› di Roberto il Guiscardo: un’ambigua
definizione) ha sottolineato il carattere ambiguo della definizione di
‹‹precrociata›› se applicata all’attacco militare normanno di Roberto
il Guiscardo contro l’Impero bizantino. Fallita l’alleanza, vitale dopo la
disfatta di Manzikert, fra Michele VII Ducas e Roberto, che avrebbe dovuto
essere suggellata dal matrimonio tra Olimpiade figlia di questo e Costantino
Porfirogenito, il normanno ha ora un pretesto per soddisfare le sue mire sui
territori d’Oriente. In Gregorio VII, frustrato nei suoi tentativi di
suscitare nella feudalità europea una spedizione in Terrasanta, egli trova un
valido aiuto.
Con
una lettera del 25 luglio 1080 il Pontefice esorta i vescovi meridionali a
sostenere Roberto nella preparazione della spedizione e, secondo la
testimonianza di Guglielmo di Puglia, conferisce alle truppe normanne il vexillum
Petri. Altri elementi minori (come la presenza di truppe turche fra i
Bizantini, il sincero entusiasmo religioso di alcuni) non possono tuttavia non
far concludere che, stante la totale mancanza del vocabolario che diventerà
usuale durante la Crociata (non vi è alcun accenno ad un pellegrinaggio),
l’impresa di Roberto abbia un valore esclusivamente politico, e come tale è
appoggiato dalla Chiesa romana.
Acutamente
Gallina sostiene che il termine ‹‹precrociata›› è più efficacemente
utilizzabile in una prospettiva bizantina, perché come spedizione che precorre
le Crociate, negli itinerari e nella presenza di guerrieri normanni, è
percepita ad esempio da Anna Comnena, che per di più scrive ex
post, e dunque è naturalmente portata a riconoscere nelle crociate «ufficiali»
caratteri comuni alla spedizione del Guiscardo.
Salvatore
Tramontana (Ruggero II e la Sicilia musulmana) ha tratteggiato un aspetto
notevole della politica del Gran Conte Ruggero, capace d’imporre un potere
sovrano ad una terra, come la Sicilia, popolata da etnie di lingua, cultura e
religione diverse, grazie ad un gran senso di realismo e pragmatismo politico.
Nella necessità di organizzare politicamente un’isola dalla situazione
economica e sociale complessa, Ruggero ritiene utile e saggia l’utilizzazione
delle migliori qualità delle popolazioni vinte, che si riscontra nel gran
numero di funzionari saraceni impiegati nella burocrazia e nell’esercito,
sebbene qui inseriti in uno schema organizzativo di matrice normanna.
Il
clima di sicurezza è rafforzato dalla possibilità di mantenere la propria fede
religiosa e dalla sopravvivenza di alcune attività artigianali tipiche, quali
la produzione di monete. Luoghi e città mantengono spesso il loro nome arabo ed
i beni dei «cives ex parte Saracenorum»
vengono confermati, nonostante le confische, talvolta contestate.
Una
personale mancanza di fanatismo insieme a ragioni politiche ed economiche
consigliano a Ruggero di declinare l’invito ad una spedizione in Africa
durante la prima Crociata, contribuendo ad una sostanziale stabilità della vita
economico-sociale siciliana. La Chiesa romana disapprova, ma la politica
vincente, anche dal punto di vista del proselitismo, consiste nell’astenersi,
da parte di abbazie e monasteri normanni, da ogni aperta ed aggressiva
propaganda, ed il concentrarsi piuttosto su un’effettiva solidarietà alle
popolazioni locali.
Con
l’impresa di Boemondo di Taranto il Mezzogiorno normanno s’inserisce
pienamente nel movimento crociato: è questo l’argomento della relazione di
Rudolf Hiestand (Boemondo di Taranto alla I Crociata). Privato dell’eredità
paterna e naturalmente ‹‹irrequietus››, come lo definisce Orderico
Vitale, Boemondo cerca di sfuggire ad una situazione difficile aderendo alla
spedizione crociata, nel 1096. Ultimo ad aver preso la Croce, di rango inferiore
agli altri capi crociati, scortato solo da un piccolo contingente armato, egli
ha dalla sua il prestigio militare, la preparazione ad affrontare eserciti
saraceni sul piano tattico e la conoscenza del territorio bizantino.
Temuto
dai Greci, Boemondo mostra di avere il controllo dei suoi uomini e lealtà
assoluta all’Impero orientale, cui promette la restituzione delle terre
riconquistate. Nell’inverno 1097-1098 assedia Antiochia, che cade nel giugno
1098 grazie ad un accordo col comandante di una torre, assicura i rifornimenti
all’esercito con una serie di scorrerie e sconfigge Kerbogha, il temibile atabeg
di Mosul. Alessio Comneno non presta l’aiuto dovuto, venendo meno
all’obbligo feudale del senior di
aiutare un vassallo, nessun bizantino è presente per rivendicare all’Impero
la città, e Boemondo richiede al consiglio dei capi crociati il possesso
ereditario di Antiochia.
Per
la necessità di averlo con loro, i crociati accettano ma nel marzo 1099
Boemondo, timoroso per la sorte dei suoi possedimenti, non continua la marcia
verso Gerusalemme. Immundus,
‹‹apostata››, ‹‹traditore››, Boemondo riceve, dopo un
pellegrinaggio privato a Gerusalemme, l’investitura principesca da Daimberto
arcivescovo di Pisa nell’inverno 1099-1100. Catturato dai Danishmend e tenuto
prigioniero dal 1100 al 1103, dopo il ritorno in Puglia il normanno muore nel
1111 e viene sepolto a Canosa, singolare figura di condottiero capace e
coraggioso, spietato se necessario, che con la conquista di Antiochia pone le
basi, a parere di Hiestand, per il successo sotto le mura di Gerusalemme.
Adalgisa
De Simone (Ruggero II e l’Africa islamica) ha quindi illustrato un aspetto
importante della politica mediterranea del regno normanno, basandosi su un
continuo con le fonti orientali, storiche, geografiche e poetiche, Ibn-Shaddàd
in testa. Approfittando di lotte di potere fra tribù sciite legate al califfo
al-Mùstansir e popolazioni berbere, e degli instabili equilibri per questo
motivo nati nell’Ifrìqiya zirita, Ruggero sviluppa una politica sempre più
aggressiva. Dai primi interventi nel 1117-1118 a Gabes, ricco centro
commerciale, con scarsi risultati, i Normanni si spingono successivamente ad
attaccare Djerba, Tripoli, Kerkenna, con risultati alterni e con controffensive
da parte almoravide, fino a prendere nel 1146 Tripoli, nel 1153 Susa, Sfax,
Bona, ricca di miniere di ferro, e nel 1160 al-Mahdiyya, capitale dello Stato
zirita, ad opera dall’ammiraglio Giorgio di Antiochia.
È
da sottolineare che nulla di queste spedizioni e di questa politica è legato
all'idea di crociata. Ruggero sembra molto interessato agli sviluppi politici in
Nordafrica, che sembrano evolvere verso alleanze commerciali tra varie
componenti del mondo musulmano, pericolose per il ruolo nei traffici
mediterranei che la Sicilia ambiva ad avere. Anche ragioni più propriamente
politiche possono aver determinato la politica normanna: il tentativo di
costituire una sponda africana che contenesse la conflittualità interna ai
musulmani isolani e controllasse il flusso migratorio in Sicilia, ma anche
l’ambizione ed i rancori personali di Giorgio di Antiochia, che era dovuto
fuggire dall’Ifrìqiya in seguito alla presa del potere dell’emiro Yahyà.
Ad
uno sguardo complessivo alla politica estera di Ruggero II durante la seconda
Crociata è stata dedicata la relazione di Salvatore Fodale (Ruggero II e la II Crociata).
Con la conquista della Sicilia e il graduale afflusso nell’isola
dell’episcopato latino, i Normanni dell’Italia meridionale s’inseriscono
nel contesto dell’espansione della Cristianità latina sostenuta dal Papato
riformatore. Creatosi uno spazio franco tra i due Imperi, germanico e bizantino,
Ruggero interviene nella geografia politica mediterranea grazie ad alleanze
militari, come quella del 1128 con Raimondo Berengario III conte di Barcellona
(probabilmente mai attuata), a spedizioni organizzate in proprio, come quella in
Africa, ad una politica matrimoniale che lo avvicina a grandi famiglie europee
di tradizione crociata, come nel caso del matrimonio in seconde nozze con
Sibilla figlia di Ugo II di Borgogna, nel 1149.
Lo
scisma causato dalla doppia elezione al soglio pontificio di Innocenzo II e
Anacleto II, l’appoggio dato da Ruggero ad Anacleto, che lo incorona re nel
1130, la scomunica di Innocenzo nel 1139 e la lotta che ne derivò isolarono
politicamente il Regno, fino ad una tregua quadriennale stipulata da papa
Eugenio III nel 1148 e suggellata dal matrimonio del duca Ruggero con Elisabetta
di Champagne.
Ruggero
II, riammesso nella nobiltà europea proprio quando si sta preparando la
Crociata propugnata da S. Bernardo, rispolvera le mai sopite ambizioni di
espansione in Africa. Promettendo navi e rifornimenti ai crociati, sino ad una
sua personale partecipazione, Ruggero cerca senza successo di sfruttare la
flotta crociata francese in funzione antibizantina, per ostacolare la paventata
alleanza tra Manuele Comneno e Corrado III ai suoi danni. A questo contesto
appartengono le fortunate imprese africane già esaminate nella relazione della
De Simone e quelle in territorio bizantino che portarono alla conquista di Corfù,
al saccheggio dell’isola di Eubea e di Tebe nel 1147-1148. Nel 1149 una flotta
normanna minaccia Costantinopoli, ma Corfù viene riconquistata.
All’interno
del movimento crociato Ruggero assume un ruolo autonomo, volto specialmente al
consolidamento della regalità normanna in Italia meridionale. Un ruolo ancora
meno significativo ha il Mezzogiorno svevo in relazione alla quarta Crociata,
come ha mostrato Michel Balard (Il Mezzogiorno svevo e la IV Crociata). La guerra tra Marcovaldo di
Anweiler e baroni tedeschi con Tancredi conte di Lecce, la morte della regina
Costanza nel 1198, la minorità dell’erede al trono Federico, su cui esercita
la sua tutela papa Innocenzo III promotore della crociata, fanno cadere il Regno
in un vuoto di potere che lo distolgono da ogni progetto di spedizione in
Terrasanta. Una sola personalità proveniente dal Regnum è in prima fila nell’organizzazione della quarta Crociata:
è il cardinale Pietro Capuano, amalfitano, autore di una Summa teologica e di un Alphabetum
in arte sermocinandi, legato pontificio in Boemia, Borgogna e Francia per
predicare la crociata.
Nel
1202 è a Venezia, luogo d’imbarco della flotta, ma il rifiuto dei Veneziani a
che egli guidi la spedizione e l’attacco a Zara mostrano ormai il ruolo molto
logorato del legato pontificio nel movimento crociato. Abbandonata la flotta e
recatosi a Roma per riferire sulla vicenda, nel 1204 lo ritroviamo a caccia di
reliquie a Costantinopoli, sciogliendo dal voto di crociati coloro che decidono
di rimanere.
In
realtà il Mezzogiorno svevo, così assente durante la quarta spedizione, è un
interessante laboratorio in cui Innocenzo III sperimenta un più largo concetto
di crociata. La crociata ‹‹politica››, scatenata nel 1209 contro i
Catari della Francia meridionale dopo il fallimento di legazie e missioni di
monaci cistercensi, trova un concreto precedente nella scomunica di Marcovaldo
di Anweiler e nell’assegnazione di privilegi propri delle imprese crociate,
tra cui la remissione dei peccati a chi avesse combattuto il tedesco in Italia
meridionale sotto la guida di Gualtieri di Brienne.
Dei
rapporti tra Federico II e La Terrasanta si è occupato Wolfgang Stürner
(Federico II re di Gerusalemme).
Ripercorrendo le tappe che, dal primo impegno ad organizzare una crociata nel
1215, conducono, attraverso ritardi e rinvii continui, alla crociata del 1228,
il relatore ha ricordato la politica matrimoniale di Federico che, sposando nel
1225 Isabella di Brienne, erede al trono di Gerusalemme, è il primo re
legittimo della terra da conquistare, di cui pretende subito titolo e diritti.
La politica federiciana in relazione alla Lombardia è anch’essa leggibile in
rapporto con la crociata, nel tentativo di piegare i Comuni ribelli per
sfruttare nella spedizione le loro risorse: è una delle cause di attrito con
Gregorio IX che infine lo scomunica e gli muove guerra in Italia meridionale.
Il
successo di Federico nelle trattative con Malik
al-Kamil rafforzano la sua posizione nei confronti del Papa costringendolo alla
difensiva. Un sovrano di tale prestigio e potenza e la sua politica mirante ad
un consolidamento del potere regio riuscivano però indigesti ai baroni
d’Oltremare, capeggiati dagli Ibelin. Le lotte baronali, indebolendo il regno,
favorirono la caduta di Gerusalemme nel 1244, cinque anni dopo la scadenza della
tregua concordata con al-Kamil. La Terrasanta spera in un nuovo intervento
imperiale, cui Federico sarebbe disponibile a patto dell’assoluzione dalla
seconda scomunica (1245), così come il re di Francia Luigi IX
che esorta per ben due volte il Papa ad assolvere l’Imperatore.
Ad
un sincero entusiasmo per la Terrasanta, ha concluso Stürner, si accompagnò
sempre in Federico la consapevolezza che la crociata potesse essere uno
strumento politico nel quadro della lotta in Europa, specialmente nelle
complesse vicende di pace e di guerra che caratterizzarono i rapporti tra
Federico e la Chiesa romana.
Sulla
dimensione geografica, politica e culturale dell’Oriente si è incentrata la
relazione di Cosimo Damiano Fonseca
(L’Oriente negli ‹‹itinera
hierosolymitana››). Grazie ad un accurato spoglio delle fonti, l’Historia
rerum in partibus transmarinis gestarum di Guglielmo di Tiro su tutte, ma
anche Giacomo di Vitry, Fulcherio di Chartres e Alberto d’Aquisgrana, il
relatore ha illustrato la forza culturale del concetto di Gerusalemme come la
città più santa del mondo e umbilicus
Terrae, un concetto che si fa immagine nella rappresentazione cartografica
medievale. Famose sono infatti le ‹‹mappe a T››, con Gerusalemme al
centro di un mondo diviso dai fiumi Tanai (Don) e Nilo e dal Mediterraneo in tre
parti: Asia, Africa ed Europa. Fonseca ha infine ricordato il ruolo geografico
del Mezzogiorno come area di transito di pellegrini e crociati: l’attività
dei porti di Bari, Brindisi, Otranto, Trani, Barletta e Messina lo rendono,
allora come oggi, ponte fra Oriente ed Occidente.
Dei
riflessi del movimento crociato sull’economia meridionale si è occupato
Raffaele Licinio (La
Terrasanta nel Mezzogiorno: l’economia). Nella sua ricca relazione egli ha
inteso in primo luogo scardinare alcuni luoghi comuni (come l’immagine di una
Terrasanta dove scorrono fiumi di latte e miele), dovuti ad una lettura ingenua
delle fonti, riconoscendo al Medio Oriente crociato solo un ruolo commerciale, e
non produttivo. In seguito, ponendo la necessità di un rigore metodico che
eviti le generalizzazioni, ma che poi sappia ricomporre l’analisi in una
visione unitaria, Licinio ha cercato, in un Mezzogiorno ancora economicamente
dinamico, l’influenza degli scambi con l’Oriente latino in un quadro di
rapporti che preesistevano alle crociate, arricchendo il dibattito ancora aperto
sulle ‹‹due Italie››, su economie dominanti e dominate nell’Italia
medievale.
Dal
punto di vista della produzione agricola, le Crociate non cambiano nulla nel
sistema economico meridionale. Zucchero, albicocche, lane siriache non
costituiscono una novità, e anzi nel settore tessile sono riscontrabili
dinamiche attività manifatturiere che spesso vengono sottaciute nella vulgata
di un Meridione esclusivamente produttore di derrate.
La
Terrasanta è invece una grande fonte di immagini che replicano i luoghi santi
(il Santo Sepolcro innanzitutto), e dalla Palestina provengono Ospitalieri,
Templari e Teutonici che nel Mezzogiorno acquisiscono beni e possedimenti,
frutto di devozione popolare e di precise scelte della monarchia. Essi diventano
indispensabili basi per il rifornimento di cereali, olio, vino, sale, prodotti
dell’allevamento, per il cui funzionamento sono necessarie infrastrutture ed
esenzioni fiscali, mercati e fiere. Un drenaggio di risorse che ad alcuni è
parso un vero e proprio dominio coloniale delle fonti di produzione. Più
ragionevolmente, ma con verifiche ancora da fare, è possibile ipotizzare invece
una razionalizzazione del paesaggio rimasta confinata al mondo agricolo, senza
consentire una accumulazione di capitali reinvestibili nel settore commerciale e
tecnico, che fino al Duecento è ancora vitale e redditizio. Nel dirigismo
economico federiciano è il primo ripiegamento di uno sviluppo economico
meridionale ancora possibile.
Quale
rapporto intercorre tra il feudalesimo normanno dell’Italia meridionale e
quello impostosi in Terrasanta? Questa domanda è stato il punto di partenza
della relazione di Jean-Marie Martin
(Le strutture feudali normanno-sveve e la
Terrasanta). Oggetto dell’analisi la Siria settentrionale, in particolare
il principato antiocheno di Boemondo di Taranto, erede delle vaghe relazioni
feudovassallatiche e dell’estremo frazionamento nella Puglia, un normanno
tanto poco integrato nella società meridionale da attribuirsi un titolo, quello
di princeps, di tradizione longobarda.
Il
non molto alto numero di Normanni ad Antiochia è un altro motivo della scarsa
parentela individuabile tra i due feudalesimi, che si evince anche dal
differente vocabolario giuridico in uso. I vassalli sono ad esempio chiamati ligi,
termine sconosciuto in Puglia al momento della partenza di Boemondo. Altre
differenze sono riscontrabili nella composizione dell’esercito, più largo di
quello puramente feudale e comprendente anche ausiliari musulmani e burgenses,
specie nella difesa delle città, nel sistema fiscale (per cui il principe
incamera la nona parte dei redditi feudali), e nell’introduzione dei
‹‹feudi-rendita›› costituiti da rendite ricavate da imposte. In comune
invece la scarsa estensione dei feudi, per evitare la nascita di potentati
pericolosi per l’autorità principesca, ed in questa direzione va anche la
possibilità di frazionare un feodum
militis, indivisibile in Italia meridionale.
Agli
Ordini religioso-militari di Templari e Teutonici ha dedicato la sua
relazione Hubert Houben (Templari e
Teutonici nel Mezzogiorno). Per la storia dettagliata di entrambi gli Ordini
il relatore ha lamentato una documentazione molto lacunosa, specie riguardo i
Templari, il cui archivio andò disperso già nel XVI secolo. È stato possibile
però formulare qualche ipotesi per quanto riguarda le date dei primi
insediamenti in Puglia: Barletta nel 1058 o prima, Spinazzola nel 1137, Trani
nel 1143. Raggruppati in provincia già forse nel 1184, i Templari si
suddividevano in due province minori, Puglia - Terra di Lavoro e Sicilia.
Favoriti
dal Pontefice e dall’Imperatore, anche nelle loro attività finanziarie, i
Templari si rivelarono fedeli alla Chiesa in occasione del confronto che la
oppose all’Impero, e pertanto furono puniti da confische, poi revocate nel
1250. L’esiguo numero dei monaci-cavalieri rendeva indispensabile l’impiego
di operai salariati e schiavi nei loro possedimenti, anche se i buoni rapporti
con la popolazione induceva alcuni laici a farsi confratres o oblati,
associandosi così all’Ordine e ricevendone un’efficace assistenza sociale e
sanitaria.
Caratteri
questi comuni anche all’Ordine teutonico, tale solo dal 1198, che proprio con
Federico II videro i loro possessi in Puglia ed in Sicilia notevolmente
accresciuti, grazie ai buoni uffici del Gran Maestro Ermanno di Salza. I due
Ordini acquisirono terre particolarmente in Capitanata, produttrice del grano,
del vino e dell’olio che rendevano il Mezzogiorno svevo un retroterra
strategico per il rifornimento della Terrasanta, e di città come Barletta o
Brindisi. Tracciando un bilancio dell’esperienza di Templari e Teutonici,
prolungatasi fino alla seconda metà del Quattrocento nel caso dei monaci
tedeschi dalla croce nera, il relatore ha sottolineato il rafforzamento dei
legami del Mezzogiorno con il mondo d’Oltralpe, l’arricchimento del suo
panorama etnico in un contesto di convivenza e buoni rapporti reciproci,
testimoniati dalle numerose donazioni pie delle popolazioni locali.
Parallela
a quella di Houben è stata la relazione di Anthony Luttrell (Gli
Ospitalieri nel Mezzogiorno). Nell’esaminare lo sviluppo dell’Ordine
degli Ospitalieri in Italia meridionale, il relatore ha fermato la sua
attenzione in particolare sulla diversa politica dei sovrani meridionali. Ad un
generale aumento di donazioni con Ruggero il Gran Conte e ai buoni rapporti che
legavano l’Ordine alla casa regnante normanna fanno da contraltare le
difficili relazioni con l’imperatore Federico. Con Manfredi e poi con gli
Angioini l’Ordine riottiene piena libertà di azione, ed è in questo momento,
fin oltre la caduta di San Giovanni d’Acri, che il Mezzogiorno diventa fonte
importante per il rifornimento di derrate alimentari. Monopoli, Venosa, Alife,
Napoli sono i maggiori centri di aggregazione dei possedimenti dell’Ordine, i
cui beni però, ha notato Luttrell, attendono ancora studi dettagliati e
approfonditi, anche nel senso di una revisione critica di documenti già in
nostro possesso. La relazione si è infatti aperta notando che un seppur genuino
documento papale del 1113, su cui si basano molte ricostruzioni della storia
dell’Ordine, che menziona come già esistenti in quella data ben sette ospizi
gestiti dall’Ordine tra Francia e Italia meridionale, non trova nessun
riscontro nella realtà. Un utile esercizio che ha condotto il relatore a
sospettare un tentativo dell’Ordine di accampare diritti su xenodochia
anche non suoi o non esistenti ancora, nell’ambito di una progressiva
organizzazione patrimoniale che nel 1121 sfocerà nell’emanazione della Regula.
Sul
doppio piano degli influssi economici ed architettonici delle Crociate su alcune
città meridionali si è svolta la relazione di Vittorio Franchetti
Pardo (Le città portuali meridionali e le Crociate). Per quel che riguarda
il mutamento dell’aspetto urbano, il relatore ha mostrato come già i
pellegrinaggi anteriori alle Crociate l’avessero modificato, con ospedali,
ospizi, fondachi, e che tutt’al più le spedizioni militari ne hanno
accresciuto la funzionalità. È vero che in alcuni casi, come Messina, Gela o
Augusta, lo sviluppo delle infrastrutture portuali coincide con l’avventura
crociata in modo tale da rendere possibile il sospetto di una correlazione
causale tra i due eventi, ma in realtà la causa prima di questo sviluppo deve
essere messo in relazione principalmente con la politica economica e sociale
‹‹interna›› del potere politico. Maggiori stimoli dalle Crociate può
invece aver avuto lo sviluppo architettonico cittadino, basti pensare a come il
‹‹modello›› del Santo Sepolcro influenzi la realizzazione di opere quali
la Tomba di Boemondo a Canosa, S. Leonardo di Siponto
o S. Maria del Casale a Brindisi.
È
indubbiamente il particolare tipo di committenza, Ordini monastici o
religioso-militari, strettamente legato all’esperienza oltremare ad indicare
la via di questo sviluppo, senza però dimenticare, avverte Franchetti Pardo,
gli stimoli sociali ed economici ‹‹endogeni›› e la generale
trasformazione del codice artistico e culturale europeo nel passaggio dal
romanico al gotico. Proprio la tecnica architettonica è infatti meno
direttamente riferibile all’esperienza crociata, che esporta magari un
concetto simbolico e astratto di Oriente (riconoscibile in S. Maria del Casale),
piuttosto che una vera e propria architettura del Santo Sepolcro.
Su
questi temi è intervenuta anche la relazione di Pina Belli D’Elia (Segni e
immagini delle Crociate nel Mezzogiorno). La relatrice, pur sollecitando
ulteriori ricerche sull’argomento e l’ideazione di nuovi metodi per lo
studio approfondito della complessità dell’arte e dell’architettura
medievale, con l’aiuto di diapositive ha illustrato i primi segni di una
‹‹memoria›› crociata, ad esempio sul portale centrale di S. Nicola a
Bari, dove suggestioni letterarie del tema di Roncisvalle animano una battaglia
tra guerrieri occidentali e mori, ed in tutta la terra di Bari, Giovinazzo,
Trani, Barletta. Qui la chiesa del Santo Sepolcro denuncia, nelle architetture e
nell’organizzazione degli spazi, rapporti analogici forti con varie
costruzioni di Gerusalemme, su tutte la chiesa di S. Anna, tanto da rendere
plausibile un trasferimento in Puglia di capomastri operanti in Terrasanta. Le
analogie continuano a balzare agli occhi se si guarda agli arredi e alla
decorazione delle chiese, canali attraverso i quali giungono nell’arte
meridionale anche influssi borgognoni.
L’iconografia
delle Madonne diffusa in Puglia e la tipologia dei Santi Guerrieri, come ad
esempio il San Giorgio con aquila teutonica di S. Vincenzo al Volturno, induce a
pensare a pittori provenienti dalla Terrasanta, magari dopo la caduta di San
Giovanni d’Acri nel 1291. Sottoponendo il Mezzogiorno a queste particolari
suggestioni artistiche, ormai fuori moda nel resto d’Europa, le maestranze
latine orientali contribuirono all’elaborazione originale di una cultura
iconografica ed architettonica diffusa che fondeva stile orientale e stile
europeo.
Sulla
‹‹memoria›› delle Crociate, stavolta in ambito letterario, si è
soffermato Vito Sivo (Mezzogiorno e Crociate in alcuni testi letterari). Tema di grande
impatto emotivo, la Crociata ha permeato di sé numerosi testi, dall’epos
alla satira alla musica, in latino e in volgare. Per i prevalenti fini
encomiastici della produzione letteraria del periodo, in numerose opere
giganteggia la figura dell’eroe. In un’opera come l’Expeditio
hierosolymitana, composta fra 1146 e 1165 in esametri leonini, attribuita a
Metello di Tegernsee, campeggia Boemondo di Taranto, così come nella settima
delle undici epistole in distici elegiaci di Rodolfo Tortario di Fleury, in cui
il normanno è detto ‹‹strenuus heros››. Marbodo di Rennes, nel suo
canto di crociata in trenta esametri leonini, afferma che ‹‹in toto mundo
non est homo par Boemundo››.
Questo autore appare particolarmente interessante perché, oltre alla consueta
esaltazione dell’eroe, è riconoscibile un tentativo di complessa elaborazione
ideologica nella definizione di una ‹‹guerra giusta›› che si definisce
tale non solo nel pugnare contra Gentiles,
ma anche affrontare i dissidi interni alla Cristianità, domestica bella.
Alla
Seconda crociata allude l’Ysengrinus
di Nivardo di Gand, e la vicenda di Riccardo Cuor di Leone, incarcerato dal duca
d’Austria Leopoldo, diventa paradigma dell’eterno conflitto tra uomo e
fortuna in Pietro da Eboli e nel De
diversitate fortunae di Arrigo da Settimello. In epoca federiciana poi sono
numerosi in riferimenti alle Crociate, in cronache come quella di Riccardo di S.
Germano, in opere come il De Paulino et
Polla di Riccardo di Venosa, nei sirventesi e nelle canzoni di crociata
occitaniche che spingono Federico a liberare la Terrasanta. L’imperatore,
spesso guerriero, è talvolta invocato come pacificatore, affinché possa, con
la sua opera, proteggere dalla guerra la vita privata dei suoi sudditi. Una
‹‹moderna›› rivendicazione di estraneità a temi politici e morali,
caratteristici dei sirventesi francesi, propria della poesia siciliana.
Ancora
del tema della memoria e della percezione del fenomeno crociato, qui
nell’ambito dei documenti giuridici, si è occupato Pasquale Cordasco
(Echi delle Crociate nei documenti notarili meridionali). In base ad
un’indagine svolta per campioni svolta sulle principali raccolte di fonti
dell’Italia meridionale continentale, ed escludendo la documentazione gli
Ordini religioso-militari, il relatore ha potuto notare un numero
sorprendentemente scarso di riferimenti alle spedizioni crociate. Informazioni
quasi casuali ed episodiche che per di più hanno bisogno di un ulteriore
approfondimento, prima di arrivare a collegarle sicuramente alle Crociate.
Francesi e tedeschi che attraversano il Meridione, nobili che lasciano i propri
beni prima di partire per la Terrasanta compaiono raramente nei documenti, ma in
quanti di questi casi si può parlare con certezza di spedizioni militari e non
di pellegrinaggi o di viaggi commerciali? Rimane dunque da spiegare il perché
della reticenza di questo tipo di fonti.
Un
motivo potrebbe essere la scarsa propensione dei crociati ad intraprendere
azioni giuridiche, in una terra per molti solo di passaggio, oppure si potrebbe
pensare al ceto che si rivolge ai notai, e ciò implicherebbe delle
considerazioni sull’ambito sociale cui appartenevano i crociati. Una possibile
risposta è in una questione di metodo: oltre ad una certa selezione dei
documenti operata dalle cancellerie dei centri monastici ed ecclesiastici, è
bene ripensare al particolare statuto del documento medievale, che non ha di per
sé la funzione di trasmettere informazioni storiche, sebbene sia possibile
individuare importanti tracce di mentalità, credenze religiose e culture.
Probabilmente non vi è stata alcuna motivazione giuridica per accogliere nei
documenti eventuali influssi delle spedizioni crociate, e forse bisognerà
riconsiderarne più attentamente l’impatto sul tessuto sociale meridionale e
sul suo immaginario collettivo.
L’ultimo
tema affrontato nel convegno ha riguardato i rapporti tra le comunità ebraiche
meridionali e il movimento crociato: ne ha parlato Cesare Colafemmina
(Gli ambienti ebraici meridionali e le Crociate). Dall’analisi
delle due uniche fonti sull’argomento, una Autobiografia
di Obadiah di Oppido Lucano, sacerdote convertitosi all’Ebraismo nel 1102, e
una Historia hierosolymitana di
Baldarico di Dole, il relatore esclude che in Italia meridionale vi siano stati
fenomeni come quelli che hanno funestato le terre tedesche e balcaniche specie
durante la prima Crociata. Si potrebbe pensare ad una predicazione non molto
diffusa ed incisiva, ma si preferisce spiegare la relativa calma nel Mezzogiorno
con i buoni rapporti che legavano le numerose comunità ebraiche e la
popolazione cristiana locale e con una politica lungimirante del potere
normanno. Solo nel XIII secolo e oltre sono testimoniate violenze, dovute alla
predicazione antisemita degli appartenenti ai nuovi Ordini religiosi.
Interessante infine il modo col quale le comunità ebraiche hanno letto il
momento della Prima crociata, come tempo in cui le loro attese messianiche ed
escatologiche sarebbero state soddisfatte: un generale annientamento delle
popolazioni in lotta e finalmente il ritorno degli Ebrei nella Terra promessa,
liberata dagli infedeli.
Nel Discorso di chiusura Giovanni Cherubini ha ripercorso gli argomenti svolti nelle quattro intense giornate di studio. Ha così individuato due gruppi di relazioni, uno dei quali ha analizzato cronologicamente, in base alla successione di personalità importanti, sovrani ed eventi, il vario coinvolgimento del Mezzogiorno nell’esperienza crociata; un secondo dedicato invece a tematiche generali coinvolgenti l’intero arco cronologico delle Crociate. Queste XIV «giornate» si sono così presentate quasi come un microcosmo che riflette nella sua struttura l’esperienza di questi incontri, partiti da un’indagine che seguiva la successione di condottieri e sovrani normanni e svevi (dalle I alle VI «giornate») e poi allargatisi allo studio di soggetti complessi, da Terra e uomini (1985), Uomo e ambiente (1987), Condizione umana e ruoli sociali (1989), Itinerari e centri urbani (1991), Strumenti, tempi e luoghi di comunicazione (1993), Centri di produzione della cultura (1995), sino a Il Mezzogiorno normanno-svevo visto dall’Europa e dal mondo mediterraneo (1997): un itinerario organico e coerente che ha trovato conferma in questo ultimo incontro di studio.
[*] Pubblicato in «Quaderni medievali», 51 (giugno 2001), pp. 207-218.