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di FABIO FIGARA

  

Affresco medievale pisano (attribuzione ignota).

   

Negli studi di economia medievale spesso non è dato molto spazio all’esperienza degli Ebrei in Europa e specialmente in Italia. Solo negli ultimi anni si sta aprendo uno spiraglio nella storiografia, ovvero si cerca di analizzare l’incidenza della componente ebraica all’interno dei traffici commerciali e dello sviluppo di un’economia finanziaria.

Di fatto le attività ebraiche - quali il prestito feneratizio - sono sempre state, soprattutto nel XV e nel XVI secolo, alcuni degli argomenti preferiti dai predicatori nella loro attività di denuncia dei mali che intaccavano la società cristiana. Ma in realtà il loro coinvolgimento nella complessa trama della politica di equilibrio degli Stati italiani era inevitabile: gli Ebrei erano degli esperti di economia, avevano relazioni di parentela ed economiche interregionali, spesso internazionali, potevano fungere da ambasciatori dei principi e dare loro a prestito grosse somme di denaro per fronteggiare le spese di guerra. Però le classi dirigenti non potevano certo riconoscere ufficialmente una certa “simpatia” per questi individui, i cui antenati avevano rifiutato il Cristo.

In questo contesto un ottimo esempio è la vicenda di fra’ Timoteo, al secolo Girolamo Maria di Benedetto di Niccolò dei Medici da Moncigoli, figlio altresì di Beatrice di Stefano di Poggio. Nato a Lucca nel 1456, rimase orfano a soli otto anni, e tutto passò al fratello maggiore Giovan Marco, giurista di fama, nominato poi in seguito anche conte palatino, e destinatario di una carriera di primo piano nella diplomazia. Nel 1478 abbiamo un documento che attesta la donazione dell’eredità a Giovan Marco, probabilmente per l’entrata in convento di Timoteo.

Di sicuro su fra’ Timoteo sappiamo delle sue predicazioni contro gli Ebrei per il prestito feneratizio; seguace di Bernardino da Feltre, Timoteo compare tra gli artefici della fondazione del primo Monte di Pietà a Lucca nel 1489: quattro anni dopo fu il personaggio chiave che portò all’espulsione degli Ebrei prestatori da Lucca. Timoteo cominciò ad infiammare il popolo lucchese nella Quaresima del 1493, e buona parte del ceto dirigente non la prese bene, tanto che si rivolse addirittura al vescovo per far sì che cessasse la sua predicazione.

Tutto questo non causò certo poche difficoltà in seno alla politica lucchese, la quale era piuttosto ambigua poiché aveva accettato la predicazione bernardiana, ma al contempo faceva di tutto per non cacciare gli Ebrei dalla città: perché allontanare mercanti e finanzieri che avevano rapporti con tutte le città italiane, europee e addirittura del Mediterraneo, sapendo che per Lucca era comunque fondamentale la presenza su determinati mercati? Se alcuni non volevano rinunciare ad “agenti” così importanti, altri vedevano di buon occhio la fuoriuscita degli Ebrei addirittura per sostituirli sul mercato dei prestiti!

Ma c’erano anche impegni di fides publica, ovvero doveri di riconoscenza e di protezione dei sudditi che non potevano essere violati, pena lo scadimento d’immagine dello Stato, il quale doveva fare pure i conti con le pressioni esterne dei potenti: in uno Stato di piccole dimensioni come quello lucchese, soggetto infatti alle varie pressioni, le interferenze degli altri Stati su sollecitazioni degli stessi Ebrei residenti, per ovvie ragioni economiche e di famiglia - i legami con potenti stranieri e italiani era indubbi – dovevano essere notevoli.

Nonostante tutte queste problematiche, Timoteo cercò di coinvolgere quella parte di ceto dirigente che era a suo favore per farsi carico dei Monti di Pietà e dei servizi da fornire ai più bisognosi, riutilizzando il denaro sequestrato agli stessi Ebrei – a sua volta quindi preso ad usura – alla chiusura delle attività.

In seguito lo troviamo a Pisa – ribellatasi nel frattempo ai Fiorentinidove ebbe un terreno di predicazione piuttosto fertile. «Venerato» dai Pisani – come scrive egli stesso in una lettera – fonda la Compagnia della Fraternità e viene inviato come ambasciatore al re francese Carlo VIII, per poi spostarsi addirittura a Volterra.

Pisa, fresca di libertà, voleva giustificare la sua ribellione e trovare le basi di un nuovo Stato che andava formando, e le sue prediche in tal senso erano bene accette.

E così fondò pure altri due Monti di Pietà, uno a Volterra e uno proprio a Pisa: curioso vedere come i Pisani chiedessero in seguito ai Fiorentini – nell’atto di sottomissione del 1509 – di non abolire il Monte di Pietà, simbolo di libertà oltre che di concreto aiuto alle famiglie più bisognose.

In questo breve quadro che ho delineato è bene sottolineare che comunque la presenza ebraica, a Lucca come a Pisa, seppur diminuita, non venne mai meno.   

    

BIBLIOGRAFIA

   

Michele Luzzati, La casa dell’Ebreo. Saggi sugli Ebrei a Pisa e in Toscana nel Medioevo e nel Rinascimento, Nistri-Lischi, Pisa 1985.

Giacomo Todeschini, La riflessione etica sulle attività economiche in R. Greci (a cura di), Economie urbane ed etica economica nell’Italia medievale, Edizioni Laterza (collana Manuali Laterza – Medioevo Italiano), Roma-Bari 2005.

Matthew E. Bunson, Dizionario Universale del Medioevo, introduzione e revisione per l’edizione italiana di Ludovico Gatto, Newton & Compton Editori, Roma 2002.

    

     

©2007 Fabio Figara

   


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