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Nel XIII secolo le conquiste culturali aretine negli studi e nelle
lettere superarono di gran lunga quelle dei Comuni vicini, comprese le stesse
città di Siena e Firenze. Si è soliti collocare la data di nascita dello “Studium
Aretino” nel 1215 quando giunse in città Roffredo da Benevento, una delle
figure di maggior prestigio della giurisprudenza bolognese. Ci sono però non
poche testimonianze storiche che suggeriscono una data anteriore, tra le quali
uno scritto dello stesso Roffredo in
cui parla di uno Studium ad Arezzo contemporaneo all'Università di Bologna,
sicuramente ancora nella sua fase iniziale e d'istituzione: “de scholaribus
qui sunt Arretii vel Bononie”. In questo contesto assume un significato
particolare la lode di questo insigne docente, letterato e poeta latino, per
l'alto livello d'istruzione e di preparazione dello “Studium litterarum
Aretino” e dei allievi, che dovevano quindi già aver ricevuto una
preparazione di tipo universitario. Questo induce a ritenere che lo Studium
Generale di Arezzo non fu una filiazione dell'Università bolognese (dovuto, cioé,
ad una secessione di gruppi di docenti bolognesi, come invece accadde per molte
altre scuole italiane), ma che, con ogni probabilità, si trattava di
un'istituzione autoctona, sorta intorno al 1200. Lo stesso Roffredo cita lo
Studium di Arezzo assieme a quelli di Parigi e di Bologna, testimoniando di
fatto che Arezzo, dopo quelle due città, fu la terza città in Europa in ordine
di tempo a vedere la nascita di un’Università.
Le origini dell'Università aretina si possono quasi sicuramente
attribuire alla scuola canonica della cattedrale di San Donato (il Duomovecchio).
Come abbiamo già avuto modo di dire, questa scuola per la formazione dei
chierici, di cui abbiamo notizia fin dal VII secolo,costituì una guida
culturale per l'intera Toscana durante l'Alto Medioevo, raggiungendo il suo
massimo splendore all'inizio dell'XI secolo, quando il vescovo Elemperto
riorganizzò gli studi delle Arti Liberali e della Sacra Scrittura. Accanto a
questa scuola sorse anche una famosa scuola di calligrafi, di così alta qualità
che ampia fama ebbe la “bona littera
aretina”. A partire dagli inizi dell’XI secolo venne riscoperto anche lo
studio del Diritto Romano, grazie anche all’influenza culturale esercita dalla
vicina Ravenna, città con la quale da sempre Arezzo aveva mantenuto stretti
rapporti culturali e politici e dove, meglio che altrove, era stata conservata
la tradizione giuridica romana. Molto tempo prima che Irnerio lo insegnasse a
Bologna, il Diritto Romano venne impiegato, infatti, dai giuristi aretini al
servizio del loro vescovo durante le continue dispute di diritto nella vertenza
ormai secolare con il vescovo senese. Sicuramente alla base di questa precoce
riscoperta ci fu anche l’influsso proveniente dall’area ravennate con cui la
città aretina da tempo intratteneva intensi rapporti culturali (che si erano
intensificati soprattutto sotto l’episcopato del vescovo Adalberto che si era
trasferito ad Arezzo proprio dalla città adriatica).
Grazie all’elevato grado di insegnamento di diritto si sviluppò ad
Arezzo una classe notarile di altissimo livello, difficilmente riscontrabile in
altre città nei secoli XI-XII. Sotto l'episcopato Teobaldo, le attività
culturali ricevettero un forte impulso (si pensi, ad esempio, all'opera di Guido
Monaco, oppure alla costruzione della cattedrale di Pionta su disegno
dell’architetto Maginardo). Accanto alle scuole ecclesiastiche della
cattedrale di Pionta e della Pieve di S. Maria, alla fine dell’XI secolo si
assiste alla formazione di scuole laiche e private, dove alcuni maestri
appartenenti all’ambiente dei canonici ottennero il permesso di insegnare, “licentia docendi”, alcune discipline: presso la Pieve di S. Maria
risulta, fin dal 1138, esistente da tempo, una suola di “litterae” gestita
dai canonici della Pieve medesima. L’unione di queste scuole private di
Diritto, di Grammatica e di Retorica, prosperate nell’ambiente giuridico
cittadino, in un’unica struttura organizzativa, come era avvenuto a Bologna,
dette origine, nei primi anni del XIII secolo,
allo “Studium Generale” aretino. Verso il 1200, il Comune aretino
fornì ai professori e agli studenti una prima forma di assistenza,
incoraggiando i primi ad istituire delle scuole. Con l'arrivo del magister
Roffredo da Benevento, personaggio di grande rilievo nel panorama culturale dei
primi anni del XIII secolo, probabilmente giunto ad Arezzo, con i suoi studenti,
da Bologna su invito delle stesse autorità comunali, la scuola aretina acquistò
prestigio e migliorò la sua organizzazione, anche grazie ai suggerimenti di
Roffredo, ricco della propria esperienza bolognese. L’arrivo ad Arezzo di
questo importante personaggio rappresenta un fatto importante non solo per la
fama di Roffredo ma anche perché induce a ritenere che lo Studium Generale
fosse già esistente prima del 1215. Non a caso il magister bolognese cita lo
Studium di Arezzo accanto a quelli di Parigi e di Bologna; non solo, ma poco
tempo dopo il suo arrivo si lamenta delle ristrette dimensioni degli ambienti
scolastici, insufficienti per il numero degli studenti che, comunque, elogia per
la loro preparazione. La testimonianza di Roffredo risulterebbe a dir poco
curiosa se lo Studio Generale non fosse esistito prima del suo arrivo nel 1215.
E’ possibile, quindi, affermare che sia sorto intorno al 1200 dall’unione di
varie scuole private autorizzate nella “licentia docendi” dalle autorità
religiose e civili (che promulgaro ed approvarono gli Statuti Universitari nel
1255). Tenendo conto del fatto che lo Studium di Bologna sorse nel 1088, con
Irnerio e Wernerio, ed ottenne il riconoscimento imperiale nel 1158, quello
parigino nel 1180, Arezzo, dove vide la luce nel 1200 circa, fu la terza città
ad avere un’università in ordine cronologico, stabilendo così un primato di
assoluto privilegio nell’intero panorama culturale italiano.
Il primo grosso problema da affrontare fu quello degli alloggi e lo
stesso Roffredo si lamentò “che in una città così nobile e cortese” non
ci fossero strutture sufficienti per sistemare la scuola, i docenti e gli
studenti. Per migliorare la situazione, nel 1241 il Comune decise il
trasferimento della scuola nella zona di San Pier Piccolo che apparteneva
all'abbazia di Santa Flora e Lucilla. Quello degli alloggi fu, però, un
problema che si propose sempre all'attenzione dell'amministrazione comunale
aretina, poiché ad Arezzo, come già detto, vennero a studiare molti figli di
nobili ghibellini toscani e non.
L'organizzazione e l'integrazione delle varie discipline di studio dello
Studium aretino furono completate nel 1255 quando il “Collegium” dei
docenti, detti “magistri”, composto da otto professori (quattro di Diritto,
due di Arte e due di Medicina), sotto la guida del “rettore”, carica a cui
si succedevano ogni due mesi i vari professori, pubblicò gli “Ordinamenta”, in assoluto uno dei primi codici universitari
italiani. Questo regolamentava le relazioni tra i professori e le scuole e
stabiliva le regole cui dovevano sottostare gli studenti. Compito del rettore
era vigilare sul buon andamento della vita universitaria, disciplinando
l’attività didattica dei colleghi e i rapporti reciproci. Gli interessi degli
studenti venivano tutelati dal “bedellus” o segretario della “Universitas
Scholarium”. Gli studenti erano soggetti a tre collette obbligatorie: una per
la manutenzione ed uso delle aule universitarie (“pro schola”), una per il
mantenimento del docente, la più onerosa, e l’ultima per il “bedello”. A
tale proposito, per limitare il “furto” degli allievi tra colleghi, non solo
per deontologia professionale, ma anche perché ciò comportava un danno
economico per i docenti che vedevano ridursi le collette loro destinate, venne
stabilito che un docente non poteva accogliere alle sue lezioni scolari di altri
professori per più di quattro lezioni, anche non consecutive. Erano previste
due tipi di riunioni collegiali: ordinarie, con cadenza mensile, e
straordinarie, convocate dal rettore in occasione di problemi urgenti. Le
lezioni cominciavano presto: dalle 7 di mattina, fino alle 9, venivano tenute le
lezioni più importanti,poi fino alle 11 e dalle 15 alle 17 le altre. Dopo le
17, il pomeriggio del giovedì, quando non c’erano lezioni, e i giorni
festivi, gli studenti potevano avvalersi del supporto didattico dei “repetitores”,
persone di fiducia dei professori, non è chiaro però se titolati o studenti
agli ultimi anni di corso, che si occupavano dell’apprendimento degli scolari,
assenti o arretrati negli studi, ripetendo ed approfondendo le lezioni tenute
dai docenti. Tra le varie norme degli Ordinamenta particolarmente significativa
era quella che faceva espresso divieto a chiunque di tenere lezioni ordinarie
nella città di Arezzo né in Retorica, né in Dialettica, né in Medicina senza
prima esser stato esaminato ed abilitato dal “conventus”, la pubblica
assemblea dello Studio Generale. In questo modo si voleva assicurare che nelle
scuole aretine insegnassero soltanto persone qualificate, tutelando non solo la
dignità dello Studium, ma anche l’immagine della stessa città, adeguando il
più possibile il livello di insegnamento delle scuole private a quello
stabilito dal Collegium Doctorum. E’ bene però ricordare che sia queste
scuole che lo Studium non furono mai tali da preparare lo studente allo studio
della letteratura, ma servivano piuttosto ad educare giudici, notai, medici e
maestri.
A questo periodo è legata anche la figura dei maestri vaganti, i quali,
formatisi nello Studium Aretino, uno dei principali centri di istruzione
toscani, una volta riconosciuti abili all'insegnamento dal Collegium, venivano
invitati a tenere lezioni nelle scuole delle altre città, fornendo così un
prezioso contributo alla diffusione della cultura (per esempio, quando Siena nel
1275 riorganizzò il proprio Studium, la maggior parte delle cattedre vennero
occupate da docenti che si erano formati ad Arezzo).
L'insegnamento allora si basava essenzialmente nella lezione orale,
durante la quale il docente commentava i passi più significativi secondo delle
prassi comuni e generalizzate in tutte le Università italiane. Si preferiva
fornire un insegnamento didattico anziché sapienzale e definitivo come quello
dell'antichità. Alla fine del corso di studi lo studente doveva superare
l'esame pubblico del Collegium che, in caso di esito positivo, gli concedeva di
ottenere un titolo che lo abilitava ad esercitare determinate attività come
quella medica, giuridica o amministrativa. La struttura dello Studium Generale,
anche se articolata, era un’organizzazione aperta, pronta a ricevere e a
rielaborare ogni possibile suggerimento culturale proveniente dal mondo esterno:
gli stessi libri presentavano un formato piccolo ed agile, e potevano essere amèliati
accogliendo gli appunti e le osservazioni dei vari lettori che si succedevano.
Tutto il tredicesimo secolo é caratterizzato dalla tendenza a preferire
gli studi pratici e professionali, come la Medicina ed il Diritto, rispetto alle
cosiddette Arti Liberali, ovvero la Grammatica e la Retorica, riducendo la
lettura degli autori latini al solo strettamente indispensabile. Gli studi
umanistici però non scomparvero mai e per venire incontro ai bisogni della
Facoltà di Diritto, in particolare per la pratica e la composizione epistolare
venne mantenuta in vita “l'Ars
Dictaminis”, o Retorica, presso l'Università di Bologna. L'abilità di
leggere e comporre lettere in latino ed in italiano divenne basilare per la
professione notarile. Con la pubblicazione di una "Summa notoriae" per
opera di un anonimo aretino, l'Ars Notaria aretina acquistò una posizione di
prestigio in tutta la Toscana, divenendo un importante centro di formazione per
notai fin dal 1240: l'elevato numero di iscritti nella Corporazione dei notai
cittadina ne é una conferma. Nella tipologia cittadina l'uomo di legge
rappresentava una figura di rilievo poiché l'acquisizione dell'istruzione
legale era assai lunga e dispendiosa. I magistrati cittadini, almeno nella prima
fase della vita comunale, provenivano dalle famiglie nobiliari, mentre i notai
(o notari) raramente potevano contare su una nobile discendenza. Con lo sviluppo
del Comune, il lavoro di entrambi divenne fondamentale poiché la maggior parte
delle transazioni commerciali richiedeva un atto trascritto e doveva essere
registrata; i funzionari comunali spesso avevano sotto di sé un buon numero di
assistenti costituiti da notai. I giudici e i notai videro aumentare sempre di
più il loro ruolo e peso politico partecipando alle riunioni del Consiglio (nel
1250 su un Consiglio comunale di 247 membri, si contarono ben 18 notai e 10
giudici), limitandosi non soltanto a votare le varie delibere, ma anche tenevano
discorsi e davano consigli. Per l'alto livello della scuola aretina e per
l'importanza dei suoi giuristi, Federico II di Svevia si avvalse dell'opera di
quattro dottori in legge, provenienti proprio dallo Studium aretino, per
sostenere le sue ragioni nei confronti del Papato.
Anche se la cultura aretina del Duecento, fino al 1289, l’anno della
disfatta di Campaldino, fu nttamente superior a quella di altre città toscane,
Siena e Firenze in primo luogo, la vita universitaria venne gravemente
disturbata dagli avvenimenti politici e militari che susseguirono in quegli
anni. Lo stesso Rofredo di Benevento si lamenta del lima politico accusando gli
Aretini di essere troppo sediziosi e violenti, dediti ai tumulti ed alle lotte
intestine. Al predominio ghibellino degli anni 1249-1255, seguì l’occupazione
guelfa del potere cittadino dal 1255 al 1260 e quindi il ritorno dei fuorusciti
ghibellini nel 1260, dopo la battaglia di Montaperti. Lo stesso Federico II di
Svevia, che aveva soggiornato in città nel 1240, definì Arezzo “amara come
il fiele” per l’insopportabile e mutevole atmosfera politica all’interno
delle mura cittadine. Tutti questi continui sconvolgimenti portarono alla
chiusura dell’Università aretina in due occasioni: una nel 1260, per poco
tempo, però, poiché riaprì i battenti già nell’anno successivo, e nel
1289, fino ai primi anni del ‘300, quando i professori e gli studenti
lasciarono Arezzo per trasferirsi a Siena, che aveva visto accresciuta
l’importanza del suo Studium, dove tra l’atro già insegnavano alcuni famosi
magister aretini. Un ulteriore colpo fu l’apertura dello Studium Generale di
Firenze nel 1321, che prse come modello di riferimento proprio quello aretino.
Molto probabilmente, dopo la vendita della città aretina aFirenze nel 1337,
l’Università aretina chiuse nuovamente nel periodo compreso tra gli anni 1341
e 1356, quando l’imperatore Carlo IV, dietro raccomandazione del papa
Innocenzo VI, concesse nuovamente ad Arezzo il privilegio di avere uno Studium
Generale all’interno della sua cerchia muraria. Gli sconvolgimenti degli anni
1380-1384, causati dal passaggio delle compagnie di ventura, da carestie e
pestilenze, imposero una sua nuova chiusura. Ma nonostante tutto, l’Università
aretina riuscì a sopravvivere, pur tra mille difficoltà, fino al 1520 circa,
quando i Medici favorirono ad ogni costo l’Università di Pisa, città dove i
Medici stessi e le grandi famiglie patrizie fiorentine avevano importanti
investimenti fondiari e mercantili. A caro prezzo gli Aretini pagarono i
numerosi tentativi di rivolta (ben 7 dal 1384 al 1529) ed una delle conseguenze
fu la scelta di trasformare la loro città in un centro agricolo, povero e
spogliato completamente della sua millenaria cultura. Firenze ormai rivolgeva le
sue attenzioni altrove.
Il rapporto tra l'Università e il Comune aretino fu sempre piuttosto
buono, poiché il potere politico comunale vedeva nello Studium Generale un
centro di formazione di funzionari ed amministratori preparati, motivo di
prestigio per l'intera città. Non a caso il promulgamento degli Ordinamenta del
Collegium del 1255 venne effettuato all'interno del Palazzo del Comune, alla
presenza del podestà, mettendo così in risalto il valore politico che la città
attribuiva alla sua Università. Il Comune aretino si avvalse dell'opera
universitaria per importanti espedienti politici. Con lo Stilus Altus, sviluppatosi durante la lotta tra l'Impero ed il
Papato che coinvolse i vari Comuni italiani, il Comune di Arezzo, come tutti gli
altri Comuni toscani, trovò nella retorica epistolare un eccellente mezzo per
perorare e sostenere la giustizia della propria causa o per screditare le
motivazioni degli avversari. Ottenuto il diritto all'autorità e alla sovranità,
ci si accorse ben presto che questo nuovo stile si legava molto bene alle
pretese comunali e, per avere documenti comunali con un linguaggio ufficiale
eloquente che contribuisse al prestigio del Comune, le autorità aretine
trovarono conveniente avvalersi dell'opera di importanti docenti di retorica;
pare che lo stesso giurista Martino da Fano, uno dei più famosi in quell'epoca,
abbia insegnato questa disciplina durante i suoi anni di insegnamento nello
Studium aretino, che si arricchì anche dell'importante opera di insegnamento di
Rainerio di Civitella, autore nel 1272 di una “Ars tabellionatus”. Il primo nome che incontriamo
nell'insegnamento dell'Ars Dictaminis aretina é quello di Bonfiglio d’Arezzo,
di cui ci sono pervenuti alcuni testi. Tra i suoi scritti pervenuteci,
particolarmente bello ed interessanti é il discorso accademico per la
riapertura dello Studium Generale nel 1261, “Rei Publice Aretine Navicula”,
chiuso nell’anno precedente in seguito agli aspri contrasti che seguirono la
battaglia di Montaperti. Possiamo poi ricordare una lettera scritta nel 1258-59
al Pontefice Alessandro IV per conto del Comune di Arezzo, retto allora dalla
parte guelfa, intitolata “Intolerabilis turbationis”, per esprimere
l’insoddisfazione dei cittadini per la condotta del loro vescovo Guglielmo
degli Ubertini, implorando il Pontefice liberare la città dalla presenza dello
stesso e sostituirlo con un prelato migliore, che non fomenti le fazioni
cittadine e che non complotti contro il libero Comune aretino, guidando la città
verso la pace e la concordia (“non ad pestem sed ad pacem”). La crescente
reputazione di Bonfiglio e della sua scuola di retorica accrebbero il prestigio
dello Studium che mantenne per tutto il secolo una posizione predominante nello
scenario culturale toscano nei campi del Diritto, della Dialettica, della
Medicina e della Grammatica. E' un vero peccato che Bonfiglio non abbia raccolto
assieme i suoi dictamina, che vennero poi dispersi, in singole copie o in
piccoli gruppi, poiché usati come modelli nelle altre scuole toscane, ma non
solo in queste, per redigere documenti di stato. Bonfiglio fu uno dei primi
dictator a scrivere in quello stilus altus della scuola siciliana del famoso
cancelliere di Federico II, Piero della Vigna, che con il suo “stilus altus o
obscurus”, dotato di un tono solenne e grave, fuso ad una prosa ritmica e
rimata, emanava i bandi , le lettere di stato ed i proclami imperiali, grazie
alla quale, secondo un preciso schema retorico, era possibile modellare i
documenti ufficiali. Bonfiglio, però, non fu soltanto un imitatore passivo
della prosa di Piero della Vigna, ma arricchì il suo stile con una prosa
musicale e rimata che, assieme a numerose allegorie, metafore, similitudini ed
immagini, aumentava la magnificenza e l'oscurità del significato dei suoi
scritti. Suggestiva è l'immagine di tempesta e naufragio che utilizza
nell'introduzione (o exordium) della lettera Rei Publice Aretine Navicula per
descrivere i travagli interni che avevano scosso Arezzo. Dopo la morte di
Bonfiglio, avvenuta sicuramente dopo il 1266, l'Ars Dictaminis venne continuata
da Mino da Colle Val d'Elsa che, dopo esser stato espulso da questa città poiché
di fede ghibellina, insegnò per alcuni anni retorica ad Arezzo. Questi, esperto
di composizione retorica, sviluppò ulteriormente l'arte retorica aretina e i
modelli elaborati da Bonfiglio con nuovi contenuti ed espressioni. Mino da Colle
venne influenzato anche dagli studi culturali aretini della Dialettica e della
Filosofia, in particolare le opere di Aristotele e di altri filosofi classici e
le fonti arabe sull'Astronomia e l'Astrologia, che permisero a Ristoro d'Arezzo
di scrivere la sua opera scientifica cosmologica: lui stesso rivendicò il
titolo di filoso durante la sua permanenza in Arezzo. Negli anni compresi tra il
1261 ed il 1289 va menzionata anche l’opera di Benincasa di Laterina,
ricordato dallo stesso Dante Alighieri nella Divina Commedia (Purgatorio 6,13),
che esportò il modello di insegnamento del modello aretino a Siena,
riorganizzando lo Studium di quella città,
di Tebaldo di Orlando, senese, e di Bandino di Arezzo, poeta e scrittore.
Manoscritto contenente opere di Guittone d'Arezzo.
Arezzo vide prosperare e rinascere anche la letteratura, divenendo uno
dei più antichi centri di poesia italiani assieme ai circoli letterati
siciliani. Fu con Guittone d'Arezzo che la città assunse la posizione di guida
nella scuola poetica toscana fino a quando non nacque la scuola poetica
fiorentina. E' assai probabile che Guittone, nato ad Arezzo nel 1225, ebbe come
maestro lo stesso Bonfiglio. La sua prima grande epistola, “Infatuati mizeri
Fiorentini”, é stata, infatti, scritta nel 1260 secondo la più classica
tecnica di stilus altus e costituisce un'autentica invettiva contro i
Fiorentini. Grazie a Guittone e agli altri Aretini che crearono il circolo dei
rimatori o della prosa rimata, lo Studium Litterarum fece di Arezzo il fulcro
della nuova scuola di poesia italiana che produsse i dictamina italiani o “vulgares
sermones”. Guittone, Arrigo Testa, Ubertino di Giovanni del Bianco,
maestro Bandino e tanti altri artisti aretini, purtroppo anonimi, tutti uomini
di cultura ed esperti nell'uso del latino, furono tra i primi autori che
utilizzarono il volgare come lingua scritta, rivolgendosi ad una cerchia di
persone molto più ampia rispetto a quella che poteva accostarsi alle opere in
latino, ormai divenuto incomprensibile alla grande maggioranza degli Italiani.
Tramite il volgare le massime della morale, la bellezza della natura, i tormenti
e le gioie dell'amore, poterono diventare elementi di una nuova cultura e di un
nuovo modo di concepire la vita strettamente connessi al fiorire della civiltà
comunale. Una grossa sollecitazione in tal senso venne dalla traduzione della
poesia volgare Provenzale (lingua d'Oc) e della Francia settentrionale (lingua
d'Oil), secondo lo stile del cosiddetto “amor
cortese”, assieme alle leggende dei cicli carolingio e bretone (prima fra
tutte la “Chanson de Roland”), che non furono soltanto divulgate in tutta
Italia, ma anche rielaborate ed arricchite. Si superò così l'organizzazione
culturale teologica entro la quale si inquadrava, nel periodo precedente, tutto
lo scibile umano. Le Università italiane, prima di tutte quelle bolognese ed
aretina, innalzarono allo stesso piano della Retorica, della Grammatica, le
scienze dell'Aritmetica, Geometria, Astronomia e Medicina, viste prima con
diffidenza poiché erano considerate elementi perturbatori, per la loro
dinamicità, della staticità del sapere precostituito ed organizzato attorno al
perno della religione cristiana. Arezzo mediante il suo Studium può fregiarsi
dell'onore, e dirsi ben fiera, di essere stata uno dei promotori principali
nelle scelte che poi segnarono la nascita della letteratura italiana. Tutto
questo avvenne spontaneamente, frutto dell'elevato grado culturale che
l'Università aretina seppe infondere ai suoi insegnanti e studenti.
La forte personalità di Guittone pervade tutto il suo ampio canzoniere
che, come la sua vita, si può dividere in due parti. Nella prima prevale la
poesia amorosa sul modello siciliano e provenzale; nella seconda, l'esperienza
religiosa quando entrò a far parte dell'ordine monastico dei Cavalieri di Santa
Maria (detto anche Ordine dei Frati Godenti), fondato nel 1261 a Bologna, che
aveva come ideali la salvaguardia della pace, l'accordo tra le opposte fazioni,
la difesa dei poveri, delle donne e dei bambini. Anche se Guittone difettò di
una grande personalità poetica, grande é la sua importanza nella letteratura
del Duecento, influenzando direttamente Dante e Francesco Petrarca. Per almeno
venticinque anni (dal 1255 al 1280) esercitò una specie di dittatura artistica
ed intellettuale su tutta la Toscana, di stile in primo luogo, ma anche di
moralità e di umanità. Fu un letterato sapiente e un precursore, dando vita a
nuovi schemi e ad un'esigenza di poesia più complessa, atta ad accogliere i
molteplici aspetti della vita quotidiana. Lo stile di Guittone, almeno nella
prima fase, é senz’altro legato al gusto del tempo che intendeva la poesia
soprattutto come un artificio stilistico, rifancendosi soprattutto agli autori
provenzali e al loro linguaggio ermetico (il trobar clus). La novità di
Guittone non fu però lo stile, ma il contenuto, la sua passione morale e
politica che lo portò ad abbandonare Arezzo per entrare nell'Ordine dei Frati
Godenti per le continue lotte tra le fazioni cittadine, con una conversione
simile a quella di Jacopone da Todi. Lamentò più volte nei suoi versi la
condizione di disordine della sua città (“Ahi dolze terra aretina”) che
egli attribuiva alla superbia dei contendenti (“superbia saversì le tolle”).
Le sue canzoni e lettere in prosa, scritte in volgare, erano destinate a tutte
le classi sociali ed avevano come argomenti la religione, la morale e la
politica, fornendo uno dei primi esempi di canzone politico-civile. Dato che il
contenuto delle sue poesie, nuovo per quei tempi, aveva bisogno di un nuovo
linguaggio poetico, tormentato, vigoroso e suggestivo e adeguato per esprimere
compiutamente la sua forte coscienza morale, inventò un innovativo schema
poetico, che mescolava espressioni dialettali con espressioni colte, latine,
siciliane e provenzali, spesso, però, con il risultato di un linguaggio aspro e
disarmonico. Le rime d'amore e le rime sacre sono pervase dalla stessa energia
ed intensità intellettuale e morale; correttore dei costumi e sollecitatore
della virtù, preparò la strada alle grandi canzoni di “rettitudine”, cioé
di esaltazione della virtù, di Dante. Forse la canzone che testimonia più
profondamente la sua passione alla vita politica é quella intitolata “Ahi
lasso, or é stagion de doler tanto”, ritenuta secondo alcuni il suo
capolavoro, che tratta della sconfitta fiorentina di Montaperti del 4 settembre
1260 per opera dei fuoriusciti ghibellini di Firenze, alleatisi con le altre
città ghibelline toscane ed aiutati da re Manfredi. Di sentimenti guelfi,
almeno a partire da un certo periodo della sua vita, visse angosciosamente
questa sconfitta e questa sua opera riporta appieno il suo dolore e la sua
passione. Lo stile particolare delle sue liriche e canzoni, latineggiante e
prezioso, rivela i suoi studi classici e retorici giovanili che doveva aver
effettuato nella scuola di Grammatica aretina (studiando autori classici come
Cicerone, Seneca, Ovidio e Boezio).
Da questa scuola prestigiosa uscirono tanti altri autori e studiosi
aretini minori e spesso anonimi che, sul finire del XIII secolo, trasformarono
lo Studium di Arezzo in uno dei primi centri culturali a coltivare gli studi di
lettere umanistiche, interpretando in anticipo quella spinta alle humanae
litterae (ovvero lo studio delle espressioni filosofiche e leterarie maturate
nell'antichità classica) che caratterizzò gran parte della cultura toscana
successiva. Lo stesso Coluccio Salutati, uno dei principali esponenti
dell'Umanesimo del '300, e gli altri umanisti del suo circolo, ricercando i
propri predecessori, indicarono Arezzo e Padova come i due luoghi dove, in mezzo
al buio culturale generale, “la luce iniziò a splendere”. Vennero così
riesumati testi classici sepolti da secoli nelle biblioteche dei conventi
cittadini, ormai dimenticati del tutto o grossolonamente interpretati. Questi
anonimi autori aretini non si limitarono però soltanto a pratiche
contemplative, ma utilizzarono i filosofi dell'antichità per preparare l'uomo a
tutte le possibilità che l'esistenza terrena offriva, dalla pura speculazione
alle tecniche, dall'arte alla scienza e alla politica. In questo dinamico quadro
culturale, significativa fu l'opera di Ristoro d'Arezzo, la “Composizione del
Mondo”, probabilmente terminata nel 1282. Quest'opera é assai interessante
perchè è una delle prime opere scientifiche in cui sia possibile avvertire i
primi segnali di una conoscenza diretta del mondo naturale, fondata sulla
personale osservazione e sperimentazione, in netto contrasto con la scienza
ufficiale del Medioevo che si basava su una visione della natura oscillante tra
il simbolismo e le superstizioni. Ristoro non perseguiva lo stile forbito ed
eloquente degli altri prosatori a lui contemporanei, ma seguiva un gusto
stilistico elementare, sintetico, aperto a tutti e volto a fare un ricco
inventario delle cose, del mondo, con la curiosità dello scienziato ma anche
con il senso e l'ammirazione del bello.
Uno dei primi passi culturali che portarono agli autori umanistici
posteriori, si può individuare in
uno scritto anonimo intitolato i “Conti dei antichi caballieri”, nel quale
veniva tradotta un'opera francese nel dialetto aretino che, assieme a tante
altre storie, parlava di alcune leggende di antichi Romani come Regolo,
Scipione, Pompeo, Cesare e Bruto. Un certo Gori di arezzo scrisse e commentò
due trattati di grammatica basandosi su antiche fonti latine e fece un commento
sull'autore Lucano. Un contributo determinante venne dalla donazione di una
vasta raccolta di autori antichi, alla biblioteca di un istituto religioso
aretino da parte di un notaio di Arezzo, un certo Ser Semone. Lo stesso Ristoro
d'Arezzo inserì nella sua “Composizione del Mondo” un capitolo dedicato
agli antichi vasi. Fu però con l'umanista Geri, nato ad Arezzo verso il 1260,
che lo studio delle lettere umanistiche aretine, grazie alle sue epistole e
satire in prosa, che si ispiravano allo stile di Plinio il Giovane, ricevette un
grande impulso. Geri sorpassò di gran lunga la maggior parte degli studiosi del
suo tempo nella conoscenza e nell'interpretazione delle opere di Orazio,
Terenzio, Giovenale e di altri autori latini, e questo fu possibile grazie anche
all'alto livello culturale raggiunto dall'Università aretina, dove svolse i
suoi studi. Purtroppo della sua vasta opera letteraria ci sono rimasti pochi
frammenti, sufficienti comunque a farsi un'idea di questo studioso. Geri fu
anche docente di Dictamen e di Diritto nella scuola aretina e professore di
giureconsulto, “advocatus Communis”, e come tale venne invitato a Firenze
nel 1327 dove ebbe modo di conoscere altri studiosi di letteratura classica. Al
filone culturale di Geri, legato agli umanisti fiorentini dei primi decenni del
XIV secolo, si può collegare anche l'insigne aretino Leonardo Bruni nato ad
Arezzo nel 1370, autore di molte opere storiche e cancelliere della Repubblica
di Firenze dal 1427 al 1444, anno della sua morte. Questi svolse i suoi studi a
Firenze, dove ebbe come maestri Coluccio Salutati e Giovanni Malpaghini, città
che fu sempre al centro della sua opera. Tradusse in latino molti classici greci
(Demostene, Platone, Aristotele, eccetera) e disquisì sull'origine del volgare
e sui grandi poeti volgari del Trecento, esaltando in particolare Dante nel suo
“Dialoghi al Petrum Paulum Histrum”.
Lo Studium aretino rappresentò nel corso della sua storia un evento culturale di notevole valore e spessore, spesso in anticipo coi tempi, anche per buona parte del XIV secolo, nonostante la flessione che si ebbe dopo la sconfitta nella battaglia di Campaldino, ed ebbe più di un’occasione per fornire importanti contributi alla cultura italiana. L’attaccamento della città a questa Istituzione è testimoniato dal fatto che dopo la chiusura definitiva del 1289, quando i docenti e gli studenti lasciarono la città per recarsi a Siena, il cui Studium già da tempo annoverava tra il suo collegio di professori stimati magistri aretini, nonostante i caotici e violenti avvenimenti cittadini dei primi anni del Trecento, uno dei primi provvedimenti successivi alla “Pace di Civitella” fu la riapertura dell’Università; molti articoli dello stesso Statuto comunale del 1327 si occupano dello Studio Generale. Ma si rivelarono ben presto dei tentativi destinati a non avere grande fortuna poiché la vera crisi era dietro l’angolo. Un primo colpo durissimo si ebbe, infatti, con l’apertura dello Studium fiorentino, avvenuta nel 1321, che richiamò presso di sé numerosi studenti ed alcuni professori; a questa seguì la vendita della città nel 1337 alla Repubblica fiorentina per 18000 fiorini d’oro: non a caso, tra il 1341 ed il 1355, l’università cittadina conobbe un altro periodo di chiusura (riaperta nel 1356 con l’autorizzazione concessa da Carlo IV). Con la definitiva perdita dell'indipendenza di Arezzo (nel 1384), l'Università aretina vide ridurre notevolmente la sua vitalità e prestigio. E, dopo un periodo di travagli e sofferenze, lentamente si arrivò alla sua definitiva chiusura verso la fine del XV secolo, decisamente voluta da Firenze, che contribuì non poco all'aggravarsi della crisi economica e sociale aretina del XVI secolo. Segno questo della stretta correlazione che c'era tra la vita politica cittadina e l'Università che, allo stesso modo degli altri campi politici, economici, sociali e culturali aretini, risentì fortemente della pressione fiorentina e dell'affievolimento del Comune di Arezzo.
©2005 Andrea Moneti