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Vitis mystica: Cristo con la coppa santa e la vite sacra che esce dal suo costato.
Del Santo Graal si è detto e scritto tutto il
possibile, spesso concentrandosi più su dove quello che, erroneamente
[1], viene considerato il Sacro Calice dell'Ultima
Cena potrebbe essere che sulla natura di questo simbolo medievale così
affascinante e misterioso.
Nonostante i fiumi d'inchiostro versati per
dimostrare questa o quella localizzazione o questa o quella teoria, però, il
significato stesso del Graal rimane ancora misterioso e incerto.
Che cos'è, dunque, realmente il Graal?
Due linee di pensiero sembrano contrapporsi: una
linea, più comune, che potremmo definire “lineare”, che vede nel Graal un
oggetto sacro (dal Calice di cui si è detto, alla lancia di Longino, a un
Vangelo segreto, a mille altre ipotesi) dai poteri misteriosi e una linea, per
alcuni versi più profonda, che vi legge una progressiva oggettualizzazione
simbolica medievale di istanze morali ed etiche. Su quali siano tali istanze, le
opinioni sono notevolmente divergenti. Secondo
Julius Evola, per esempio, il Graal rappresenterebbe la Tradizione occidentale
ghibellina
[2],
contrapposta a quella giudaico-cristiana. Per René Guenon sarebbe simbolo del
Sacro Cuore di Cristo
[3].
Per Emma Jung, un archetipo dell'inconscio
[4].
Per Jesse Weston, un simbolo sessuale e di fertilità
[5].
Una delle ipotesi più recenti, di Franco Cardini, indica nel Graal «il risultato di una serie di acculturazioni – dal
mondo biblico a quello latino, da quello celtico a quello germanico con le
rispettive, e per molti versi coincidenti, radici indoeuropee- che finiscono con l'indicarci il medesimo tema mitico: la conquista
della regalità, il viaggio verso un'oltremondana sedes
sapientiae,
l'acquisizione della potenza-sapienza che rende immortali, la vendetta di
sangue, la purificazione iniziatica necessaria per riuscire nell'impresa»
[6],
cioè, fondamentalmente, una sorta di catalizzatore mitico, quasi di “minimo
comun denominatore” che carica su di sé, a opera, chiaramente, di gruppi
intellettuali elitari, depositari della tradizione culturale precedente, gran
parte del bagaglio morale che va a confluire nella tradizione cavalleresca.
Questa
seconda linea, simbolico-culturale, appare, per le sue implicazioni, sicuramente
più produttiva dal punto di vista di un'analisi che si ponga come obiettivo la
ricerca più di un significato che di una localizzazione del Graal.
Compiuta
una tale scelta di campo, restano, però, da tracciare le coordinate
metodologiche per lo sviluppo della ricerca stessa.
è
sicuramente evidente che la strada tracciata da Cardini nell'individuazione più
di una istanza astratta che informi di sé l'agire umano che di uno specifico
posizionamento politico-simbolico (Evola, Guénon) o istintuale (Jung, Weston)
dell'inconscio collettivo meglio si attaglia alle significazioni successive
espresse lungo il peraltro breve (a conti fatti circa un secolo) corso della
letteratura romanza di stampo graaliano.
è
pur vero, però, che l'individuazione di tale istanza rimane, nel saggio di
Cardini, pur nella interessantissima collazione e analisi di fonti storiche, un
po' generico e, come chiaro dalla citazione riportata, legata ad una confluenza
di “radici culturali” in cui risulta difficile risalire ad una linea
centrale di pensiero.
Alla
ricerca di una tale linea, è, allora, probabilmente utile tentare di partire da
altri punti e, in particolare dalla etimologia della denominazione del simbolo.
Operazione sicuramente non agevole, dal momento che persino per quanto riguarda la parola ‘Graal’, le interpretazioni riguardanti la sua origine
sono numerose. Le tre più diffuse e, apparentemente, più motivate dal punto di
vista storico sono:
- Graal dalla corruzione vetero-francese del latino ‘gradalis’ o ‘cratalis’ (piatto di portata largo e profondo in cui a Roma venivano serviti cibi in successione, cioè ‘gradatim’, ai ricchi) lascerebbe intendere che il Graal sia, in effetti, il piatto usato da Cristo nell'Ultima Cena. In realtà, però, questa interpretazione sembra basarsi su una confusione tra nucleo mitico-graaliano e un testo del cronachista cistercense Elinardo (circa 1230) che narra del sogno di un eremita del 717 riguardante il piatto dell'Ultima Cena e del conseguente libro, scritto dall'eremita stesso, intitolato Gradale [7];
-
Graal
dall'unione corruttiva del latino ‘gratus’ (piacevole) con il francese ‘agréèr’ (dare piacere), da cui ‘Greal’ o ‘Greel’, portato col tempo alla forma che conosciamo.
Numerosi filologi
[8] diffidano di una tale interpretazione, ritenendola
etimologicamente, se non impossibile, scientificamente troppo azzardata. Per
altro, si tratta di un'ottica che nulla aggiunge al nostro campo di conoscenza
sull'oggetto della ricerca, dicendoci unicamente che il Graal è una cosa bella,
ma non spiegando minimamente di che cosa si tratti;
-
infine,
Graal dalla mozzatura erronea del termine, ancora una volta francese, ‘Sang Real’ (Sangue Reale), da cui San Greal (in vetero-francese appunto Santo Graal). Si tratta di una interpretazione più tarda
rispetto alle precedenti (si comincia a diffondere solo intorno alla fine del
Medioevo) ma, come avremo modo di osservare, gravida di implicazioni (al di là
delle ormai note fantasiose deduzioni su legami dinastici tra Gesù Cristo e i
Merovingi di Lincoln, Baigent e Leigh
[9] utilizzate nel notissimo Codice da Vinci di Dan Brown), in particolare riguardo alle
interpretazioni dei reali significati di quel termine ‘sangue’.
Dal momento che l'ultima ipotesi appare essere
quella meno discutibile, possiamo provare a partire da questo punto per tentare
di capire qualcosa di più del mito fondativo graaliano.
Ovviamente, la prima domanda che sorge spontanea
riguarda il significato di tale termine.
Le ipotesi a proposito sono state le più
disparate. Forse la più nota
[10]
riguarda
una presunta linea che unirebbe dinasticamente Gesù Cristo (all'interno di
questa ipotesi sposato con la Maddalena e con figli!) ai re merovingi e, in
discendenza diretta alla famiglia Gisors (il cui ultimo rappresentante, tale
Plantard, sarebbe, per sua propria ammissione, l'attuale Gran Maestro del
fantomatico Priorato di Sion)
[11]. Si tratta di una ipotesi difficilmente
sostenibile, non tanto per i suoi assunti di base (per quanto riguarda, per
esempio, il presunto matrimonio di Gesù, sarebbe altrettanto difficile,
basandosi su fonti bibliche, sostenerne sia la ragionevolezza che l'impossibilità),
né per i suoi richiami storico-testuali (basati su documenti di cui è
impossibile accertare l'attendibilità), quanto, semplicemente, per l'assoluta
mancanza di prove per sostenere quella che, si badi bene, viene presentata come
una certezza assoluta e non come una semplice ipotesi di lavoro.
Ora proviamo a dare una diversa interpretazione, più
spirituale rispetto a quelle comunemente diffuse, del termine, a partire da
quello che doveva essere il testo di riferimento assoluto per qualunque
intellettuale medievale: la Bibbia.
Cosa potrebbe significare, in questo nuovo
contesto, il termine ‘Sang Real’?
Una risposta immediata è rinvenibile già nella Genesi,
Capitolo 1
[12]:
«[26]E
Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini
sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie
selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
«[27]Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò».
Dio, dunque, creò l'uomo a Sua immagine. Di
conseguenza, l'uomo conserva in sé il seme di Dio, l'immagine del suo Creatore:
ne diviene ‘creatura’ in senso proprio e, come ogni creatura, egli è
sangue del Creatore. Un Creatore che è anche e soprattutto Re.
Il temine Re (Re del cielo, Re del creato, Re
dell'universo) è, infatti, un'attribuzione divina usata molto spesso in ambito
ecclesiastico. Già biblicamente l'uso dell'attributo è piuttosto diffuso. Si
vedano per esempio:
- Tobia 13:9 «Io esalto il mio Dio e celebro il re del cielo ed esulto per la sua grandezza»;
- Tobia 13:17 «Gerusalemme sarà ricostruita come città
della sua residenza per sempre. Beato sarò io, se rimarrà un resto della mia
discendenza per vedere la tua gloria e dar lode al re del cielo»;
- Giuditta 9:12 «Sì, sì, Dio del padre mio e di Israele tua
eredità, Signore del cielo e della terra, creatore delle acque, re di tutte le tue creature, ascolta la mia preghiera»;
- Daniele 4:34 «Ora io, Nabucodònosor, lodo, esalto e glorifico il Re del cielo: tutte le sue opere sono verità e le sue vie giustizia; egli può umiliare coloro che camminano nella superbia» [13].
Se si analizza poi il discorso più propriamente
legato all'ambito teologico medievale, si può notare che: «La Figura divina che si sviluppa in ambito
tardo-alto medievale e proto-basso medievale e si diffonde ad opera della Chiesa
è una figura di stampo fortemente teo-legalistico [...] La visione
preponderante è quella di un Deus
Iudex,
Deus Vindex e Deus
Rex che, se da un lato appare probabilmente non
completamente confacente alle aspettative ecclesiologiche di un'alta borghesia
in fase di nascita e sviluppo, dall'altra è perfettamente in linea con le
richieste spirituali di una plebe che necessita di riscatto (se non immediato,
almeno teleologico) dai soprusi cui è sottoposta e, soprattutto, è
completamente funzionale alle gerarchie nobiliari, Imperatori e Re in testa,
che, nell'essere depositari terreni di caratteristiche divine trovano
legittimazione formale alle loro istanze di potere. Appare dunque naturale che
con il progressivo smantellamento del mondo cavalleresco-nobiliare a favore
dello sviluppo del mondo mercantile duecentesco, correnti ugualitarie e di
proclamazione di Deus
Amoris, quali quelle proto-riformistiche e, come
frangia di riassorbimento di queste ultime, francescane, trovino maggior spazio
di manovra, mettendo in ombra proprio quell'immagine di Dio Padrone che fino a
quel momento (e ancora per almeno un secolo) aveva caratterizzato la
predicazione ufficiale del cattolicesimo»
[14].
Se, dunque, Re (o Re dei Re) è, in primo luogo,
attribuzione divina, allora appare chiaro come l'attributo ‘Sangue reale’ possa avere senso come metafora per l'uomo,
creatura (sangue) di Dio (Re), e in particolare in riferimento alla sua parte
spirituale, quella parte che dovrebbesgrossarsi
per ritornare allo stato primigenio di ‘immagine e somiglianza di Dio’.
Se, dunque, il “Sangue reale” può essere, in
realtà, interpretato come la parte divina dell'uomo, difficilmente possiamo
affermare che il Graal si trovi in qualche luogo del mondo, o meglio, in qualche
modo esso è rinvenibile ovunque, come simbolizzazione della filiazione divina,
nel senso guenoniano del termine.
Per comprendere questo punto, è necessario,
infatti, rifarsi alla concezione di uomo universale di René Guénon
[15]: l'uomo universale è, in qualche modo,
tradizionalmente, l'uomo perfetto, che riscopre, attraverso un sistema
progressivo di purificazione, quella scintilla divina che lo rende partecipe
dell'essenza di Dio, in un processo di elevazione dalle passioni che, per alcuni
versi, ha un corrispettivo nel concetto di “atman”
[16] della tradizione vedica.
Perché, allora, non pensare che il Graal altro non
sia che un principio astratto di origine veterotestamentaria, simbolizzato e
oggettualizzato dalla cultura trobadorica, con un processo tipicamente
medievale?
Non si tratterebbe, d'altra parte, di nulla di così
strano, proprio a partire da una definizione stessa di “simbolo”: «Se parliamo di una cosa ‘come
se fosse qualcos'altro’ creiamo un simbolo, un legame tra due cose
che non hanno legami logici tra loro: il simbolo serve per esprimere un’idea
che non può essere espressa con le parole»
[17].
Secondo
Mircea Eliade
[18], forse il più importante studioso di simboli del
nostro tempo, l'uomo appartenente alle società arcaiche riusciva a realizzare
in qualsiasi ambito della sua vita (personale e sociale) una coesistenza tra il
suo essere e la sfera del sacro, che lo proiettava in una situazione in cui
realtà metafisica e libertà erano un tutt'uno. Per la mentalità arcaica, il
mondo è un organismo nel quale tutto è collegato. Ogni segno ne richiama altri
e così i diversi piani della realtà comunicano tra loro. Se un solo oggetto
indica la natura intera, ciò è dovuto alle caratteristiche del simbolo: «Se il Tutto esiste nell'interno di ciascun
frammento significativo, questo [...] avviene [...] perché ogni frammento
significativo ripete il Tutto»
[19]. Di
conseguenza,
«Il pensiero arcaico non procede
esclusivamente per concetti o elementi concettuali, ma si serve anche e
anzitutto di simboli. [...] I simboli vengono «maneggiati» secondo una logica
simbolica
[20]. [...] Si può quindi parlare di una ‘logica
del simbolo’, inseribile a pieno titolo tra i problemi
essenzialmente filosofici: la ‘logica del simbolo’
esce dal campo della storia delle religioni propriamente detta e si schiera fra
i problemi della filosofia»
Questa tendenza all'uso del simbolo perdura lungo tutto l'arco del medioevo: il simbolo «serviva anche per dare insegnamenti alle persone (quasi tutte) che non sapevano leggere. Il simbolo diventò il mezzo favorito per parlare delle possibilità di vita dopo la morte e di come arrivarci. [...] La gente del medioevo creava immagini, rappresentando le figure e lo spazio secondo modelli che tutti allora riconoscevano [...] Noi uomini moderni abbiamo dimenticato i significati di molte immagini del medioevo [...] Ci sono poi significati molto difficili da capire, anche per gli uomini del medioevo, e sono i messaggi legati al mondo soprannaturale» [22].
Un
mondo simbolico, dunque, che amalgama piani universali diversi in un tutt'uno
coeso, con differenti gradi di interpretabilità, tutti legati a una logica che
è altra rispetto a quella comune, una logica propria.
Per avvicinarci alla comprensione di quale potesse essere, in ambito tardo-medievale, questa logica simbolica, leggiamo come tratta l'argomento ‘simbolo medievale’ il grande storico Jaques Le Goff: «[Nel pensiero medievale...] ogni oggetto materiale era considerato come la figurazione di qualcosa che gli corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo simbolo. Il simbolismo era universale, e il pensare era una continua scoperta di significati nascosti, una costante, ‘ierofania’. Poiché il mondo nascosto era un mondo sacro e il pensiero simbolico non era altro che la forma elaborata, decantata, al livello dei dotti, del pensiero magico nel quale si immergeva la mentalità comune [...] si trattava sempre di trovare le chiavi che forzavano quel mondo nascosto, il mondo vero e eterno, quello dove ci si poteva salvare.[...] Un grande serbatoio di simboli è la natura. Gli elementi dei diversi ordini naturali sono gli alberi di questa foresta di simboli. Minerali, vegetali, animali sono tutti simboli anche se la tradizione si contenta di privilegiarne alcuni: fra i minerali, le pietre preziose che colpiscono la sensibilità per il colore e evocano i miti della ricchezza...» [23].
In questo quadro, la possibilità che il Graal
risulti propriamente una oggettualizzazione simbolica di concetti di matrice
biblica, si può chiaramente fare strada.
Il periodo post-medievale, incentrando la propria
cultura sulla negazione della logica simbolica e sull'assunzione della logica
empirico-scientifica, ha sovente perduto il senso del legame concettuale tra
significante e significato del simbolo, mantenendo ora l'uno, ora l'altro, in
una situazione di disgiunzione totalmente estranea al pensiero del periodo
storico (tra XI e XII secolo) in cui il mito graaliano si fa largo nella cultura
occidentale.
Ecco, allora, che il Graal diventa puro oggetto
introvabile, laddove, al contrario esso poteva essere nato come simbolo di un
principio morale di perfezionamento interiore: la “quest del Graal”, in
definitiva, poteva essere la ricerca dell'affinamento cristiano, dell'elevazione
spirituale.
Non è un caso che la più antica definizione
graaliana
[24], quella di Wolfram Von
Eschenbach
nel suo Parzival,
definisca il Graal, simbolicamente, come
“lapis exiliis”. Ebbene, in ambito medievale la pietra (lapis) è un simbolo
di estrema densità che, in ultima analisi «[...]
indicando in modo esemplare ciò che è
stabile e imperituro [...] simboleggia la potenza di Dio»
[25]
e
anche Guénon legge il termine come crasi di “Lapis Ex-Coelis”, “pietra
del cielo”, come “chiave di volta”, “pietra angolare” dell'Edificio
cristiano, semioticamente assimilabile al Cristo stesso, avvalorandone
l'interpretazione come oggetto simbolico ierofanico e orizzonte morale e
cognitivo per l'elevazione umana.
Una tale interpretazione si colloca, per altro,
perfettamente nel quadro del sistema di perfezionamento cavalleresco tipicamente
trobadorico (si pensi al Graal di Chretien de Troyes) o templare (si pensi ai
“Templeisen”del
Von Eschenbach) che è “terreno di coltura” dei primi passi del mito
graaliano, così come delineato nelle ipotesi di Franco Cardini.
Ciò che, però, si è tentato di delineare è che,
nel sistema intellettuale che dà vita compiuta al mito graaliano esiste, pur
nella probabile sintesi sincretistica di elementi di provenienza differente
(mistica templare, simbolismo mediorientale, interpretazioni hashishin, morale
egizia, etc.)
[26], una linea che, nel quadro omninglobante del
cristianesimo medievale, risulta naturalmente principale e primaria: la linea
simbolico-religiosa di origine vetero-testamentaria, una linea che si discosta
dall'ortodossia ecclesiastica (per configurarsi come rielaborazione
poetico-teologica di strutture culturali presenti in varie civiltà) tanto da
necessitare di essere resa pubblica in forma velata, simbolica, chiaramente
interpretabile sotto varie forme secondo diversi livelli di profondità
culturale e leggibile nella sua forma più corretta solo da una schiera elitaria
in possesso delle giuste “chiavi di lettura”.
Si tratta, come è ovvio, solo di una ipotesi di
lavoro, ma, dal punto di vista storico, non così campata in aria. Forse,
allora, è tempo di terminare una sterile ricerca oggettuale per incentrarsi
realmente sul significato ultimo della interpretazione morale del Graal,
finalmente contestualizzandolo nel suo ambiente culturale di sviluppo.
NOTE
[1] In realtà il concetto di Graal risulta, nelle sue prime espressioni letterarie, storicamente di quasi cent'anni più antico della interpretazione che lo vuole legato al calice del Preziosissimo Sangue, formulata nelJoseph d'Arimathie di Robert de Boron sono attorno al 1300.
[2] Cfr. J. Evola, Il Mistero del Graal, apparso sul quotidiano «Il Popolo di Roma» il 30 marzo 1934.
[3] Cfr. R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1990, pp. 261-263.
[4] Cfr. E. Jung, Psicologia del Graal, Tranchida, Milano 2005, passim.
[5] Cfr. J. Weston, Indagine sul Santo Graal, Sellerio, Palermo 2005.
[6] Cfr. F. Cardini, Il Santo Graal, Giunti, Firenze 2006, p. 115.
[7] Cfr. Etimologia del Graal in Wikipedia (http://www.wikipedia.org).
[8] Ad esempio Jacques Belmont, Demistification et etimologie, Revue, Paris 1999, p. 86.
[9] Cfr. Lincoln, Baigent, Leigh, Il Santo Graal, Mondadori, Milano1982, passim.
[11] Una delle controversie maggiori sulla Queste du Graal riguarda proprio il Priorato di Sion, venuto alla ribalta nel 1982 attraverso il dossier realizzato da Baigent, Leigh e Lincoln per conto della Bbc. Alcuni anni dopo l'uscita del libro venne annunciato che i documenti sul Priorato sul quale i tre autori inglesi avevano compiuto le indagini erano dei falsi costruiti ad arte nel 1900. Documenti del Priorato che vennero fatti diffondere da Pierre Plantard, il personaggio su cui si innescano una serie di coincidenze. Secondo le genealogie dei documenti del Priorato, Plantard sarebbe stato discendente diretto di re Dagoberto II° e della dinastia merovingia. Una tesi azzardata che ha fatto dubitare sull'autenticità dei documenti, mentre è più facile dire che Plantard era proprietario di numerosi terreni nei pressi di Rennes Le Chateau e di Rennes Les Bains ed amico di politici influenti ed importanti, come il generale ed ex presidente francese De Gaulle. In Circuit, rivista che pubblicò a partire dal 1959, Plantard manifestò le sue idee riformiste per la Francia, da ricostruire «nuova e purificata, con volontà e solidarietà d'azione». Ma nel 1982, venendo allo scoperto, e raccontando al mondo la storia del Priorato di Sion e di tutte le presunte dinastie, l'impressione più comune e diffusa è che Plantard, aiutato da alcune coincidenze storiche che si riferiscono all'area di Rennes Le Chateau (zona di diffusione del movimento cataro, con la vicinanza con fortezze templari e con la presenza di una chiesa dedicata a Maddalena) alla reale esistenza del Priorato nel Medioevo (fondato nel 1099 da Goffredo di Buglione) e sostenuto dal suo entourage di conoscenze, abbia potuto costruire su Rennes-le-Chateau un'industria turistica e letteraria, ricavandone grosse fonti di guadagno e acquisendo quella notorietà forse da sempre sognata.
[12] Genesi, I, vv. 26-27. Cfr. La Sacra Bibbia, CEI, 1974.
[13] Tutte le citazioni bibliche sono tratte dall'edizione C.E.I. citata.
[14] Cfr. Stephen Milton-Dewey, Social Notes to the Theology of Middle Ages in Europe, O.U.P., Oxford 1998, pp. 27-28.
[15] Cfr. R. Guénon, La Grande Triade, Adelphi, Milano1980, pp.150 ss.
[16] Inteso come particella della conoscenza divina.
[17] AA.VV., Un Universo di Segni, Alyseus (http://www.alyseus.com).
[18] Cfr. Mircea Eliade, Storia delle Credenze e delle Idee Religiose, vol. III, Sansoni, Milano 1980, pp. 111 ss.
[23] Cfr. Jaques Le Goff, Alla Ricerca del Medioevo, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1986, pp. 121-122.
[24] Non in termini di pubblicazione, ma in termini di utilizzo delle fonti. Cfr. L. Sudbury, Il Graal è dentro di noi, Il Melograno, Milano 2006, passim.
[25] AA.VV., Enciclopedia dei Simboli, Garzanti, Milano 1991, pp. 399-402.
[26] Sudbury, Il Graal è dentro di noi cit., passim.
©2008 Lawrence M.F. Sudbury.