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Le
isole pugliesi rappresentarono un prezioso punto di appoggio per la Repubblica
di Venezia, sulla rotta che conduceva a Levante. E furono un importante centro
di raccolta delle notizie sui movimenti dei Turchi in Adriatico
Durante il Medioevo, sullo sfondo di tutte
le vicende adriatiche, è sempre presente la Repubblica di Venezia, che
controlla periodicamente anche i litorali pugliesi. Dopo dure lotte contro i
pirati slavi e illirici, annidati nelle coste istriane e dalmate, la Serenissima
era riuscita ad estendere il suo
dominio sull’Adriatico
e ad impadronirsi
delle città costiere dell’Istria e della Dalmazia. Dal 1004 il doge Pietro
Orseolo II si era autoproclamato Duce dei
Veneziani e dei Dalmati: un evento storico ricordato con la festa annuale
dello «Sposalizio del mare». Ogni anno, il giorno dell’Ascensione, il Doge
si imbarcava sul Bucintoro. Arrivato all’imboccatura del porto di S. Niccolò
di Lido, versava in mare l’anello benedetto dal patriarca, pronunciando
l’epica frase: «Sposiamo te, mare nostro, in segno di vero e perpetuo dominio».
La caduta di Costantinopoli, avvenuta il 29
maggio 1453, destò un’enorme impressione in tutto l’Occidente. I Turchi non
si accontentarono del grande successo conseguito e, sfruttando l’ondata di
panico suscitato nel mondo cristiano, si lanciarono in una serie di campagne
militari a lungo raggio. Arrivarono a controllare tutto il bacino del
Mediterraneo, ma le ripercussioni più traumatiche si ebbero nelle zone più
direttamente coinvolte. Sotto costante pericolo furono soprattutto i vicini
territori veneti dell’Istria e della Dalmazia, fu allertata la stessa
inviolabile Venezia.
Sui litorali del Gargano Nord, le
incursioni turche continuarono per tutto il 1600 e persino agli inizi del secolo
successivo. La dinamica era la seguente: veloci navi da corsa (le fuste)
giungevano improvvisamente a poca distanza dalla riva. I turchi irrompevano
nelle campagne, operando sistematiche razzie di bestiame, ma soprattutto di
giovani validi d’ambo i sessi: era estremamente rischioso avventurarsi fuori
dalle mura per attendere ai lavori dei campi. In quegli anni, per le popolazioni
costiere dell’Adriatico, il pericolo di finire, da un giorno all’altro,
schiavi nei mercati d’Oriente era reale: i turchi rappresentarono una minaccia
perenne.
Porto
sicuro, rifugio per le navi minacciate
Le isole Tremiti costituirono per la flotta
veneziana un prezioso punto di appoggio sulla rotta che conduceva in Levante.
Tre o quattro volte l’anno, mentre erano impegnate nella loro campagna di
perlustrazione delle coste adriatiche, le galee della flotta veneziana usavano
rifornirsi a Tremiti di biscotto (gallette) e di pane fresco, confezionato con
il grano che affluiva al monastero dalle sue pertinenze in terraferma.
Le Isole furono soprattutto un importante
centro di raccolta delle notizie sui movimenti dei corsari e dei Turchi in
Adriatico: vi si rifugiavano tutte le navi minacciate da qualche pericolo. I
capitani delle imbarcazioni vi approdavano per chiedere se in quel tratto di
mare vi fossero dei corsari. Se vi era pericolo, si fermavano in porto per una
quindicina di giorni, a volte anche per un mese e più ed erano rifocillati per
qualche giorno.
Essendo
l’unico porto sicuro, d’estate vi facevano scalo tutte le navi che facevano
rotta da Venezia in Puglia e dalla Dalmazia a Manfredonia.
Numerosi furono anche i pellegrini che si
recavano nelle isole per venerare la Vergine. Le persone "di rispetto"
venivano ospitate nel Castello per tutta la sosta. Talvolta, gli illustri ospiti
superarono, con il loro seguito di servitori, il numero di duecento persone. Fra
questi il capitano Girolamo Martinengo, che morì, da eroe,
nel 1572, a Famagosta.
Importanza
strategica difesa dal Senato veneto
L’importanza strategica delle Tremiti per
Venezia è testimoniata dalla preoccupazione che nell’anno 1638 suscitò, nel
Senato veneto, la notizia di un possibile presidio militare spagnolo delle
isole. La Serenissima rivendicò a sé, nel suo "golfo", il diritto
assoluto di "polizia" che le conferiva il dominio dell’Adriatico. Si
mosse a tutti i livelli per neutralizzare il tentativo di spostare, in senso a
lei ostile, l’equilibrio politico dell’Adriatico. E ci riuscì: a difesa
delle Tremiti restarono soltanto i monaci che le abitavano... Naturalmente,
sotto la sua vigile supervisione.
Alla ricerca di possibili collegamenti
della storia garganica con quella della Serenissima Repubblica di Venezia, è
emerso un dato interessante: numerosi Canonici Regolari di sant’Agostino, che
subentrarono nel 1412 ai Cistercensi nella guida del monastero di Tremiti, erano
di origine lombardo-veneta. A questi monaci bisogna riconoscere il merito di
aver ottemperato ad un compito arduo: la ricostruzione del patrimonio monastico
usurpato dai feudatari e dalle Università locali. Ci fu un minuzioso
riordinamento dell’archivio dell’abbazia e un’attenta ricognizione degli
antichi diritti un tempo goduti in terraferma dai Benedettini e dai Cistercensi.
Il livello culturale dei canonici
lombardo-veneti era alto.
4
settembre 1680: i Saraceni sbarcano fra Peschici e Vieste
La Cronica
di Giuseppe Pisani, relativa all’ultimo scorcio del Seicento, ci fornisce una
drammatica visione dei lidi e delle campagne del Gargano invase dai Saraceni.
Tra i vari episodi, ne citiamo uno: il 4
settembre 1680, verso l’alba, nel tratto di costa tra Peschici e Vieste,
sbarcarono 160 Turchi. Si recarono nella chiesa della Pietà, delle Grazie e del
Carmine di Vieste, dove ruppero candelieri, carte
di gloria, lampade, arredi d’altare e il SS.mo Crocifisso grande. I
predoni si diedero al saccheggio e alle solite ruberie: fecero schiavi sei
contadini, ammazzarono sette buoi e andarono a bollirne la carne sotto la Gattarella,
dove erano ancorate le loro navi; altri assaltarono la Torre
di Porto Nuovo. Finalmente, da Peschici sopraggiunsero due galee veneziane,
fra cui la capitana del golfo, guidata da Geronimo Garzon. I Turchi,
riconosciutala, si imbarcarono celermente sulle loro fuste, dandosi alla fuga
verso Levante: lasciarono sulla spiaggia le caldaie ancora fumanti ed un barile
di polvere da sparo.
Era stata la guarnigione spagnola che
presidiava il Castello di Vieste a dare l’allarme: con dei colpi di cannone
aveva allertato gli abitanti, ma soprattutto le galee veneziane che
controllavano la costa di Sfinale, verso Peschici. Inseguiti dalle due galee
veneziane, i Turchi si rifugiarono a Ragusa vecchia, da dove contavano di
ripartire all’assalto di Vieste. Se questo progetto non si concretizzò come
ai tempi di Draguth, fu solo grazie alla vigile presenza delle navi della
Serenissima sul tratto di mare antistante le coste garganiche.
© 2003 Teresa Maria Rauzino. Articolo pubblicato sul «Corriere del Mezzogiorno» (quotidiano pugliese allegato al «Corriere della sera») del 18 marzo 2003, pag. 14 ("Cultura"), e qui ripresentato con il consenso dell'autrice