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di Pierfrancesco Nestola

 

Masseria Castello sorge in contrada Recoleta, oggi frazione di Montalbano Jonico (Matera).

La masseria si presenta nella sua veste settecentesca. Non si hanno notizie dirette, d’altra parte, di una fortificazione anteriore a quel periodo: tenteremo da questa indagine di ricavarne alcune.

Le prime notizie della masseria si hanno nel Settecento, quando, a detta del Rondinelli [1], il dottor Francesco Federici acquistò i terreni della «Ricoleta dal dottor Pietrantonio Rapone con atto 23 Ottobre 1745 di notaro Francesco Saverio Arezza di Montalbano per duemila ducati e con trecento cinquanta tomoli di terre d’antica misura». Non si capisce bene, stando al Rondinelli, se la masseria fosse preesistente a questa data, in quanto si limita a dire: «indi i Federici costruirono gradualmente quella gradevole borgata», non specificando se per borgata debba intendersi o meno la masseria.

Tuttavia partendo dal toponimo si può giungere a deduzioni interessanti. La prima comparsa del nome di luogo Ricoleta risale al 1699 nell’atto di morte di Giovanni Sillenzio da Laurenzana, custodito nei Libri parrocchiali di Montalbano Jonico.

L’etimologia popolare vuole l’origine del nome Recoleta dalla rucola, la rughetta, pianta che, secondo un racconto popolare, salvò l’unico figlio del predetto “barone” Federici da morte certa: il fanciullo soffriva di un morbo sconosciuto e nessuno sapeva come curarlo. Una donna, tuttavia, predisse che solo un’erba «dolce e allo stesso tempo amara» avrebbe salvato il rampollo. Il barone mandò quindi a raccogliere un po’ di quell’erba un contadino che gli portò della rucola. Poggiando la bisaccia vicino al letto del ragazzo, il contadino ne estrasse il portentoso vegetale e del pane. Il malato addentò, affamato, pane e rucola. Dopo un po’ il contadino venne chiamato dal barone e vi andò timoroso, ma pronto a pagare per la morte del ragazzo. Il barone invece lo abbracciò ringraziandolo per aver salvato la vita di suo figlio.

Sulla questione intervenne il Rondinelli, che specificò come il nome Recoleta in spagnolo significasse «religiosa», mettendo pertanto il toponimo in relazione ai resti del cenobio di San Nicola de Sylva, al quale sarebbe appartenuto tutto il territorio, che acquistò pertanto una connotazione “sacrale”.

Un diploma datato 1232 di Federico II di Hohenstaufen, riportato dall’Ughelli [2], ci fornisce delle informazioni importanti in proposito. Il diploma riguarda una donazione da parte dello svevo al monastero di sant’Elia di Carbone. La descrizione del territorio oggetto della donazione è fin troppo precisa: «[il territorio] quod est in Pollicorio inter flumen Acri, ab Occidente territorium Sancti Nicolai de Sylva conjunctum territorio Montis Albani. Ab Aquilone tenimentum Scanzanae»: in Policoro, tra il fiume Agri, e ad ovest il territorio di pertinenza di San Nicola de Sylva, congiunto al territorio di Montalbano, e a nord il “tenimento” di Scanzano.

Resti di San Nicola de Sylva

  

Al di là dell’attendibilità o meno dei lavori dell’Ughelli, ciò che importa notare è che San Nicola aveva verosimilmente un territorio in gestione. Che tipo di territorio? Da chi era amministrato il cenobio? Che tipo di attività vi si svolgevano?

Unica informazione aggiuntiva fornita dal detto diploma è che Federico II concedeva ai monaci il diritto di traghettarsi sul fiume Agri con una barca della capienza di dieci cavalieri (o dieci cavalli: «equorum decem»). Ci si potrebbe chiedere, relazionando l’interrogativo a quello che ci si è posti sulle attività del monastero, se i «dieci cavalieri» non fossero anche l’unità di misura [3] produttiva del tenimentum del cenobio.

E se un nucleo originario di masseria Castello fosse stato già allora presente? Nessuna informazione ci viene data riguardo il nome della masseria: perché si chiama “castello”? Era una masseria fortificata? Se la barca trasportava «dieci cavalli» c’era forse nei paraggi o nel sito un’aratia? [4] Le fonti purtroppo, se esistono, sono molto ben nascoste.

Indubbiamente la politica territoriale dello svevo diede un posto di primo piano all’opera colonizzatrice dei cistercensi, i quali furono capaci di far fruttare al massimo le risorse delle aree  sottoposte al loro controllo. Lo stesso Federico si fece seppellire col saio grigio dei cistercensi come «veste angelica».

Tommaso Pedio, consultato il cedolario angioino del 1277, ne ha dedotto che in quell’anno il “Casale Sancti Nicole de Sylva» constava di fuochi 6, ovvero  36 abitanti. Oltre all’interessante notizia storico-demografica, apprendiamo dal Pedio un elemento di grande importanza, che può tuttavia sfuggire all’attenzione: San Nicola de Sylva era un casale, termine che compare almeno in due toponimi di masserie della zona, di cui una fortificata: Casale Andriachium (Andriace, quella fortificata) e Santa Maria del Casale di Pisticci. Inoltre la parola stessa «casale», dal latino  medievale casāle(m), dal tardo casalis «relativo alla proprietà agricola», der. di casa «capanna, casa rustica» [5], sta ad indicare un’attività produttiva.

Resti di San Nicola de Sylva

  

Continuando a consultare il Rondinelli siamo informati addirittura di un diploma del 1070 di Roberto conte di Montescaglioso, inserito poi in un altro diploma di Carlo II d’Angiò, entrambi riportati nell’opera di Antonio Zavarroni [6] vescovo di Tricarico. Il Lacava, nella sua Idro-Orografia di Basilicata, dichiarò interpolato tale diploma e di questo non ci si dovrebbe meravigliare: lo Zavarroni era coinvolto, sempre a proposito dei privilegi normanni, in un bellum diplomaticum contro l’abate Placido Troyli, un altro storico non esattamente attendibile.

La probabilità di trovarci di fronte ad un’interpolazione è quindi veramente alta.

Lo Zavarroni nella sua opera dichiarava che nel 1123 papa Callisto II, con una bolla emessa da Benevento, concesse il cenobio a Pietro vescovo di Tricarico. Questo possesso da parte dell’episcopato tricaricense, secondo lo stesso Zavarroni, fu confermato da papa Lucio II nel 1183 al vescovo di Tricarico Roberto. Anche in questo caso il Lacava dichiarò interpolato il diploma.

Il Catalogus Baronum [7] ci dice che effettivamente donazioni di territori attigui alla badia di Carbone furono fatti già in età normanna: nel 1125 Guglielmo figlio di Arnaldo e Pietro figlio di Baronio sottoscrissero la donazione del ponte di Policoro e della chiesa di Santa Maria di Scanzano fatta da Alessandro e Riccardo Chiaromonte alla badia di Carbone.

Anche Ughelli [8] riporta altre donazioni di età normanna a quella badia: Boemondo di Taranto avrebbe donato i territori allora congiunti di Policoro e Scanzano all’abbazia in questione.

Di una cosa, in fin dei conti, possiamo stare certi: quella fascia di territori produceva, e produceva parecchio, se era oggetto di tante attenzioni.

Il Rondinelli ci informa ancora, sulla base di un atto datato 24 aprile 1597 [9], che San Nicola de Sylva aveva, ancora alla fine del XVI secolo, dei possedimenti.

Nel 1643, come il Rondinelli ebbe modo di evincere dal Focolario di Montalbano di quell’anno (conservato all’Archivio di Stato di Napoli, quindi in tutta probabilità ormai distrutto dal rogo nazista del 1945), la seguente notizia: «D. Marco Antonio Quinto di Giov. Francesco oblato di S. Nicola della Certosa e là celebra messe da 35 anni».

Il cenobio dovette essere in seguito soppresso e i suoi beni furono per buona parte incamerati dal pertinace (come abbiamo visto) episcopato di Tricarico.

Oggi è possibile vedere solo le mura diroccate del monastero. Delle sue vestigia solo una statuetta in legno di san Nicola (secondo chi scrive di età medievale), recentemente restaurata, è custodita presso la Biblioteca comunale di Montalbano Jonico. Una campana della chiesetta attigua al monastero, sempre a detta del Rondinelli (che però in proposito si basa su una "fonte" orale: il già allora defunto sacerdote Ciro Amendola), fu data alla chiesa parrocchiale di Montalbano Jonico e poi venduta, rotta, «per surrogarsi».

   

  

PER SAPERNE DI PIÙ:

Pierfrancesco Nestola Immagini di masserie di Basilicata: masseria castello di Recoleta.

Pierfrancesco Nestola, Montalbano e il Medioevo. La prima cinta muraria.

Prospero Rondinelli, Montalbano Jonico ed i suoi dintorni, memorie storiche e topografiche, Taranto 1913.

Mario Tomaselli (a cura di), Masserie fortificate del Materano, introduzione di Vincenzo Viti, testi di Mauro Padula, Lorenzo Rota e Mario Tomaselli, Roma 1986.

   


1 Prospero Rondinelli, Montalbano Jonico ed i suoi dintorni, memorie storiche e topografiche, Taranto 1913. In questo caso il Rondinelli specifica che l’informazione è stata presa dai «manoscritti di Carlino Troyli di Giuseppe».

2  Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, Venezia 1721, tomo VII, Episcopi Anglonenses.

3  Unità di misura volta a stabilire quanti cavalieri (armamento, cavallo, scudieri e tutto ciò che comportava) armati riuscisse un dato territorio ad assicurare alla milizia.

4  Il termine indica l’allevamento di cavalli da guerra. Si noti che è anche l’etimo dell’italiano «razza».

5  Tullio DeMauro, Dizionario della Lingua italiana, versione cdRom.

6  Antonio Zavarroni, Esistenza  validità de’ privilegi conceduti da’ Principi Normanni alla chiesa Cattedrale di Tricarico per le terre di Montemurro ed Armento, Napoli 1750.

7  Catalogus Baronum. Commentario, a cura di Errico Cuozzo, F.S.I., Roma 1984, nn. 527 e 528.

8  Ibidem.

9  Riporto qui la nota del Rondinelli, in quanto lo ritengo attendibile e soprattutto perché non ci sarebbe motivo alcuno di dubitarne, data la trasparenza dimostrata dall’autore: «Rilevasi da atto 24 aprile 1597 di compra-vendita tra i germani Fra Annibale e Camilla de Troylo, per notaro Pompeo Peloso di Montalbano, di cui esiste copia nell’archivo della comunale Biblioteca Rondinelli per dono del defunto cav. G. Bonelli».

  

  

© 2004 Pierfrancesco Nestola, testo e foto.

  


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