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Palermo, San Giovanni degli Eremiti
La Sicilia durante l'alto Medioevo ha avuto una storia che presenta caratteristiche peculiari. Sono
mancati, in primo luogo,
stanziamenti stabili di popoli germanici sul substrato sociale romano o
romanizzato, come è invece avvenuto nelle altre province dell'impero d'Occidente. Per questo motivo non ritroviamo nella realtà isolana molti dei
caratteri distintivi del Medioevo europeo (niente guglie che dopo aver trafitto
gli uomini feriscono il cielo). A una breve e poco incisiva fase barbarica, in
netta contrapposizione al progressivo ridursi della presenza bizantina nella
penisola italica proprio a causa delle invasioni barbariche, seguì la
dominazione bizantina, che durò oltre tre secoli, orientalizzando
l'isola.
Ma l’evento che più di tutti
rivoluzionò definitivamente la realtà geopolitica del Mediterraneo, mutando il
ruolo dell’isola, fu l'espansione
musulmana che ebbe inizio, dapprima, con sporadiche scorrerie, per poi culminare
nello sbarco nel 827 e si concluse nel 902, quando tutta l'isola divenne
una provincia periferica dell'ecumene musulmana, un impero che si estendeva
dall'Indo ai Pirenei.
La
conseguenza fu che mentre in Europa si assisteva ad un lungo periodo di
stagnazione, in Sicilia maturava
quella che viene giustamente definita "la rivoluzione economica
musulmana" il cui esito più importante, in controtendenza con la
rarefazione della circolazione monetaria che colpì il resto dell'Europa, fu la
circolazione di monete basata sull'oro. Non solo, ma mentre la cristianità si
espandeva nel nord e nell'est, in
Sicilia si diffondeva il Corano e si parlava l'arabo.
Tuttavia, già prima dell'anno 1000 l'espansione musulmana inizia a esaurirsi. Nella penisola iberica si comincia a assistere al contrattacco dei piccoli stati cristiani sopravvissuti (la Reconquista), accompagnata dall’attività militare ed economica delle emergenti potenze marinare di Genova e Pisa. Approfittando delle divisioni e dei contrasti interni nel mondo arabo siciliano, di lì a poco irromperanno sulla scena anche alcune poche centinaia di avventurieri normanni, fra cui i figli di Tancredi d'Auteville, Roberto e Ruggero, che, nell'arco di un trentennio, strapperanno l'isola al dominio musulmano.
Ovviamente
la storia dei musulmani in Sicilia non finì con l'invasione normanna. Infatti
i normanni, per dominare la società
islamica, più evoluta, si adattarono a convivere con essa, creando
un’organizzazione statale originale rispetto al resto d'Europa. La conquista
normanna, comunque, ebbe come conseguenza quella di rimettere la Sicilia nel
corso della storia del continente europeo, rientro che si completerà con
Federico II che, nel volgere di pochi decenni, causò l’eliminazione completa
delle sacche di resistenza islamica
ancora presenti nell'isola.
Le
fonti
Tutta la
documentazione araba prodotta dall'amministrazione musulmana in Sicilia è
andata perduta. Ci rimangono solo cronache
storiche,
geografiche, giuridiche
o
letterarie in genere, di scrittori vissuti
durante
il periodo normanno, che scrivono attingendo a fonti, oggi, non più reperibili.
Gli studi
sul periodo musulmano iniziano con il Fazello
(1498-1570), con le
sue
Deche della Storia di Sicilia. Poco o nulla si scrisse nei due
secoli successivi fino a quando
- grazie alla "arabica impostura"
organizzata dall'abate Giuseppe Vella che, spacciandosi per profondo conoscitore
della lingua e della storia araba,
si
inventò due codici arabi
- si rinnovò
l’interesse per questo periodo storico.
L'abate fu appoggiato dal governo borbonico che cercava, ispirandosi alle
antiche amministrazioni arabe, di ridimensionare la pratica del latifondo e il
potere baronale. Per lui fu creata una cattedra di arabo, e la clamorosa truffa
durò parecchi anni,
fino a quando il canonico Rosario Gregorio
riuscì ad imparare l’arabo smascherando così il Vella. L’”arabica
impostura” diede comunque
l'avvio
ad una serie di studi
condotti da
Salvatore Morso, successore del Vella
nella cattedra di arabo, da Saverio
Scrofani, Vincenzo Mortillaro, Giuseppe Caruso ed infine da Michele Amari con la
sua colossale opera Storia dei
Musulmani di Sicilia.
All'Amari
sono seguiti molti orientalisti, il maggiore dei quali, a parere di molti, è
stato Umberto Rizzitano.
La
conquista
Abbiamo già
detto che poco o nulla influirono le invasioni barbariche sulla Sicilia. Data la
sua posizione geografica l'isola poteva essere conquistata solo dal mare. Solo i
Vandali riuscirono a creare una flotta e ad effettuare qualche incursione ma non
lasciarono alcuna traccia del loro passaggio. Analogamente possiamo dire dei
Goti. L'isola tuttavia faceva gola a
Bisanzio, in quanto base logistica per la riconquista di Roma e facilmente
Belisario ebbe ragione dei Goti. Alla conquista militare seguì il
riordinamento politico e con un documento solenne (la
Prammatica
Sanzione) la Sicilia
divenne dominio privato dell'imperatore. L'isola allora aveva una economia
fiorente basata sull'agricoltura e sull'artigianato ed era ricca di legname
usato sia come combustibile che per la costruzione di navi, case, armi ed
utensili.
Gli scambi
commerciali erano intensi e la realtà sociale era composita dal punto di vista
etnico e linguistico. Il primo, se non l'unico fattore di coesione era il
cristianesimo, la cui diffusione fu favorita da Bisanzio, sradicando le ultime
sacche di paganesimo.
La
popolazione era distribuita tra città costiere e villaggi rurali, accanto ai
quali sorsero in questo periodo numerosi insediamenti rupestri (Ispica e
Pantalica sono le più importanti) da molti
ritenuti un segnale di imbarbarimento, di regressione. Queste abitazioni
erano tuttavia funzionali
ed
economiche; per intenderci, erano una sorta di “case popolari” non gestite
dal governo.
In Sicilia si protrasse a lungo la distinzione tra potere militare e civile mentre già nel resto della penisola le invasioni longobarde imposero la concentrazione dei poteri nelle mani dell'esarca e solo nel settimo secolo il pericolo musulmano adeguò le istituzioni al resto dell'Italia.
Costante
II fece una brutta fine: morì, nel 668, vittima di una congiura di palazzo.
La Sicilia
venne fortificata, come riporta il cronista Ibn al Athir: «i Rum
(i romani, i
bizantini ) ristorarono ogni luogo dell'isola, munirono le castella e li
fortilizii». Le ricerche archeologiche testimoniano queste fortificazioni.
La Sicilia
era ormai divenuta una terra di frontiera.
La
situazione era convulsa: rivolte, tentativi di secessione, intrighi e
patteggiamenti con i musulmani.
L'immagine
negativa della Sicilia bizantina è dovuta soprattutto a questo periodo. Questo
stato di cose, questa situazione di incertezza,
furono
mantenuti per qualche
decennio, fino a quando un dissidio, forse di carattere personale, per una
questione di donne narra la storia o meglio la leggenda, spinse un ufficiale
delle forze navali bizantine, Eufemio, a ribellarsi
a Bisanzio, a proclamarsi imperatore ed a chiamare
a suo sostegno (come più
tardi avrebbero, a loro volta fatto, i musulmani di Sicilia con i Normanni) i musulmani d'Ifriqiya.
Non
aspettavano altro!
L'armata
sbarcò in Sicilia il 17 giugno dell'827. Il primo scontro, in un luogo
imprecisato della Sicilia occidentale, nei pressi dell'odierna Mazara, avvenne verso la metà di luglio; l'esercito bizantino venne distrutto
ed i musulmani iniziarono una rapida avanzata, ma nei pressi di Siracusa la
marcia trionfale si arrestò.
Asad capì
che non sarebbe stato facile conquistare la cittadella fortificata. Le difficoltà
di approvvigionamento ridussero alla fame gli assedianti e Asad fu costretto a
chiedere rinforzi. Ma i rinforzi
arrivarono anche ai bizantini e lo scontro fu tremendo. I musulmani fecero
strage dei nemici, l'assedio fu ulteriormente stretto e Siracusa stava per
crollare quando un'epidemia di colera scoppiò tra le fila dell'esercito
musulmano. Lo stesso Asad pare
ne rimanesse vittima. I musulmani tentarono dapprima di ritornare in Africa ma
furono bloccati da una flotta veneta giunta in aiuto dei bizantini. A questo punto, racconta il Fazello, i musulmani bruciate
le navi per precludersi, volontariamente, qualsiasi voglia di fuga verso l’Ifriqiya,
iniziarono a ripiegare verso l'interno.
Durante la ritirata conquistarono varie
città e posero l'assedio a Castrogiovanni (l’odierna Enna). Qui Eufemio fu
attirato in un'imboscata e ucciso. La conquista della Sicilia era ormai
completamente in mano saracena ma non si dimostrava facile. Ma una successiva spedizione, composta questa volta da ben
40.000 soldati, comandata dal generale Alcamet, sbarcò in Sicilia nell'831. Le
forze congiunte della prima e della seconda spedizione investirono le grandi
città siciliane. Palermo cadde, dopo un anno di assedio, nell'832;secondo una
fonte islamica dei 70.000 uomini rinchiusi a Palermo ne rimasero in vita solo
3000. Successivamente caddero
Lilibeo (oggi Marsala) e poi Trapani ed Erice.
Ma la
totale conquista dell'Isola durò altri quaranta anni ancora. Difatti
Castrogiovanni, formidabile fortezza naturale arroccata su un acrocoro a circa
1000 metri d'altezza, cadde nell’859, solo per l'aiuto di un traditore che
indicò ai musulmani l'imboccatura di un acquedotto, che permise ai musulmani
di penetrare nella città, Siracusa
nell'877 e solo nel 902, per ultima, Taormina.
La
conquista impegnò le truppe
islamiche per ben 75 anni, e non fu facile né breve come comunemente si suol
far credere. Né, inoltre, i Bizantini si rassegnarono alla perdita della
Sicilia. Furono inviate in Sicilia due armate da Costantinopoli, una marittima
ed un'altra di fanteria, ma furono inesorabilmente sconfitte, a Rometta, nel 965.
La pace
che ne seguì, nel 967, decretò la perdita dell'Isola per Bisanzio.
Ma,
nonostante le vittorie sui Bizantini, la Sicilia musulmana non ebbe mai pace. A
cominciare dal 910, pochi anni dopo la presa di Taormina, iniziarono nell'Isola
le lotte intestine tra i capi musulmani, riflesso, d'altronde, di ciò che
accadeva in Asia ed in Africa, nel cuore dell'impero arabo.
La Sicilia
era stata conquistata dagli Aghalabiti ma, alcuni decenni dopo, i Fatimidi
avevano sostituito con la forza i principi aghalabiti nel governo dell'Isola,
dopo una feroce lotta che si era svolta in Sicilia ed in Africa.
Il
governatore nominato dai Fatimidi, però, non si mostrò all' altezza della
situazione, per cui l'emiro Qurhub, legato agli Abassidi di Bagdad, dichiarò
l'Isola indipendente; ma i Berberi di Sicilia consegnarono il ribelle ai
Fatimidi, che lo fecero uccidere; così questi ultimi ritornarono al potere;
siamo nel 917.
Questo
periodo non fu felice per l'Isola perché caratterizzato da sommosse e
violenze inaudite. Solo nel 948, dopo decenni di lotte, con la vittoria di Hasan
Ibn Alì, ritornò la pace, e con la nuova dinastia Kalbita la Sicilia conobbe
una benefica prosperità e Palermo emulò in splendore Bagdad e Cordova.
Con la
morte dell'emiro Yusuf nel 998, cui successe il figlio Giafar (998-1019),
ricominciarono i disordini e le congiure, e i Berberi, considerati la causa di
tali torbidi, furono espulsi dall'Isola. Successivamente, i musulmani di Sicilia
si divisero in tre fazioni: una capeggiata da Ibn ath Thumma nella Sicilia
orientale, quella dei Musulmani “siciliani” nella Sicilia occidentale, e quella di Ibn al Awas nell'Ennese.
Per meglio
difendersi dai suoi avversari, Thumma si rivolse ai Normanni, che vennero
nell'Isola come mercenari e finirono per conquistarla.
Le
ripercussioni sociali ed economiche
Le
grandi stragi dovute a 70 anni di guerra e
la fuga di molti avevano depauperato
l’isola e l'arrivo di immigrati musulmani servì dunque a ripopolare intere
città, ma dopo due secoli di
conquiste l'Islam aveva adottato una serie di norme che coniugavano da un lato
il gihad, la guerra santa, e
dall'altro i rapporti con la gente non musulmana sottomessa. Quando non ci si
trovava di fronte ad un eccidio, dovuto all'eccitazione delle truppe dopo un
lungo assedio (come avvenne per Enna, Siracusa, Taormina e Rometta, dove la
popolazione fu ridotta in gran parte in schiavitù e gli uomini adulti passati a
fil di spada), i musulmani, dopo due secoli di conquiste, avevano messo a punto una sorta di “protocollo” che regolamentava sia il gihad
sia i rapporti con i non musulmani sottomessi. Più che la strage o la riduzione in schiavitù molto
più spesso si preferiva la sottomissione che avveniva dietro negoziati e quindi
a “patti” (minuziosamente descritti nell’accordo di Umar (Amari,
Storia
dei musulmani in Sicilia). Ai non islamici l’Islam riconosceva il diritto
a vivere ed esprimersi, anche se
come “altri”, all’interno delle proprie strutture sociali.
Ai
cristiani di Sicilia che accettavano i patti veniva concesso l’aman
(la sicurezza, la protezione) e da quel momento venivano chiamati ahl
adh dhimma (gente del patto) e
veniva loro riconosciuto il diritto all’incolumità, alla libertà personale,
alla libertà religiosa, alle proprie usanze, al possesso degli averi in tutto o
in parte. La dhimma
aveva come contropartita il pagamento di un’imposta sulla persona (la giziah)
e di una tassa fondiaria (il kharag) e
tutta una serie di limitazioni e obblighi come, ad esempio, il divieto di
erigere nuove chiese, di fare processioni, di suonare le campane, di portare
armi, di bere vino in pubblico, l’obbligo di porre contrassegni di
riconoscimento sulla persona e sulle case, di cedere il passo ai musulmani…
Dalle imposte della dhimma i musulmani
erano, ovviamente, esentati ma erano tenuti al versamento della zakàt
(elemosina legale), che serviva e serve tuttora per il mantenimento ed il
soccorso dei meno abbienti.
Nonostante
questo fenomeno di persistenza del cristianesimo, nell'arco di circa due secoli
la Sicilia conobbe un processo di
acculturazione arabo-islamico assai profondo. All'islamizzazione e all'arabizzazione
concorsero gli immigrati dell'ecumene musulmana provenienti da diverse parti del dar al-Islam, i loro discendenti e
l'imponente numero di conversioni che affrancavano gli indigeni dal pagamento
della giziah,
ed infine un ruolo
importante ebbero anche i matrimoni misti.
A
testimonianza delle facili ed interessate conversioni il viaggiatore Ibn Hawqal, che visitò la Sicilia tra il 972 ed il 973,
riferisce del tiepido slancio religioso dei contadini e della possibilità delle figlie di seguire il credo religioso cristiano della
madre. La lingua (araba) era poi molto rozza, specie all'interno dell'isola e risultava incomprensibile ad Ibn Hawqal.
Un ruolo importante nell'acculturazione lo ebbe anche il programma di "incastellamento" voluto dal califfo Muizz (attorno al 966), per difendersi dalle recrudescenze bizantine, la costruzione cioè di cittadelle fortificate all'interno delle quali la popolazione era invitata a risiedere. Una tale politica aumentava il territorio da coltivare e favoriva il mescolamento fra cristiani e musulmani, favorendo l'insegnamento musulmano. L'effettiva islamizzazione è dimostrata ancor oggi dalla toponomastica. I nomi delle montagne (gebel), delle sorgenti (fawara), dei promontori (rais) ecc., come anche i grandi centri, ebbero il nome arabizzato: ad esempio, Panormus divenne Balarm, Drepanis divenne Itrabnis.
La capitale della Sicilia venne spostata da Siracusa a Palermo provocandone così il passaggio dall’area culturale greco-bizantina a quella del Mediterraneo occidentale.
Palermo,
scelta come sede del governo, fu dotata di tutte le strutture burocratiche e dei servizi che si confacevano ad una capitale amministrativa.
Gli arabi iniziano ben presto un’opera di lottizzazione delle terre e sostituirono in buona parte con colture
intensive le colture estensive del "granaio di Roma"; con l’impianto di ingegnose opere idrauliche i conquistatori migliorano e bonificano le
campagne incentivando, specie nelle zone costiere nord-occidentali e nella piana
di Catania, la coltivazione degli agrumi, del papiro, delle piante di cotone. Si
assiste così, nel giro di pochi anni, al
sorgere di opifici per la lavorazione delle stoffe, dello zucchero e dei papiri
per la scrittura. Palermo, e la Sicilia, diventano un importante emporio per il commercio. Ha inizio un periodo di vero
benessere sotto la dominazione degli arabi, portatori di una vigorosa ed
originale civiltà che ben si armonizzò, modernizzandola, con quella millenaria
locale; la città di Palermo e la Sicilia tutta vivono un eccezionale periodo di
fioritura che investe l’arte, l’edilizia, le scienze, l’agricoltura e la
cultura in tutte le sue manifestazioni, con un conseguente aumento demografico.
Tale
fermento percorre l’intera isola, ma Palermo è al centro di questo risveglio
culturale. A tal proposito l’Amari
riporta un brano di un compilatore arabo del XIII secolo, Ad-Dimasqi, dove si
sostiene che la Sicilia «sotto il dominio musulmano fiorì per dottrina e gran
numero di scienziati, di letterati e di uomini illustri e rivaleggiò con la
Spagna» (Amari, Biblioteca arabo-sicula).
La mancanza di documentazione in tal senso è presumibilmente dovuta alle
distruzioni belliche della conquista normanna che determinarono la totale
scomparsa della documentazione araba nell’isola e alla scarsa ricerca negli
archivi arabi e turchi relativi alla Sicilia di quel tempo.
Di sicuro
c’è il fatto che la Sicilia assurge al rango di emirato, e ciò è di grande
rilevanza politica perché “emirato” equivale a regno (e prima di allora
la Sicilia non era mai stata regno).
La
conquista musulmana significa anche l’aggiunta di un altro pezzo etnico alla
popolazione: ai Sicani, agli Elimi, ai Siculi, ai Fenici, ai Greci ed ai Romani, non volendo considerare le residue minoranze di Vandali e Goti rimasti come
mercenari, si aggiungono gli Arabo-berberi del Nord Africa (mi viene un po’
difficile considerare “pura” la nostra etnia e aver paura di possibili
“meticciati” paventati da qualche miope politico
contemporaneo...).
La
conquista araba portò pertanto un problema di “integrazione” non di poco
conto: gli invasori erano di religione musulmana e di lingua prevalentemente
araba, i vinti erano, ad esclusione
degli ebrei, di religione cristiana e parlavano greco e/o latino. La questione
religiosa fu risolta con l’applicazione dell’aman
e con la tolleranza, ma alle differenze culturali e religiose si aggiungevano
anche quelle etniche, presenti sia tra i vincitori che tra i vinti. Le genti di
religione islamica provenivano da
parti diverse del dar al-Islam: vi
erano arabi provenienti dalla penisola arabica trapiantati nel Magrheb ed in
Egitto, berberi, sudanesi, persiani, andalusi di discendenza indiana, ecc.
Nell’isola vi erano indigeni (ancora gli abitanti non si chiamavano
“siciliani”; solo d'ora in
poisi chiameranno “siqilly”,
dal nome arabo dell’isola, Siqillya)
di lingua greca e latina, antichi immigrati provenienti da varie zone
dell’impero romano-mediterraneo, immigrati
più recenti provenienti da varie zone dell’impero bizantino, vi erano
certamente anche “barbari” arruolati come mercenari e piccoli gruppi di
ebrei.
Nonostante queste “diversità” in Sicilia si verificò un vasto movimento di acculturazione e integrazione che
determinò l’islamizzazione e l’arabizzazione dei residenti; ma si assistè anche
alla “sicilianizzazione” degli invasori,
così come a suo tempo si erano sicilianizzati i Greci ed i Romani. A tale
fenomeno concorsero gli immigrati provenienti dall’ecumene musulmano
(soprattutto dall’Ifriqiya) che si
insediarono soprattutto nelle città della Val di Mazara e della Val di Noto (più di tre quarti dell’Isola, per intenderci) che
dopo qualche generazione cominciarono a “sentirsi” “siqiylli” (siciliani). Le città che erano state distrutte dopo lungo assedio, come
Siracusa, Rometta, Taormina ed Enna, divennero totalmente musulmane. Numerose
colonie musulmane si immisero nelle città costiere abitate dai siciliani come
Palermo, Messina, Marsala, Girgenti. E fu proprio l’insediamento nei centri
urbani che determinò la sicilianizzazione dei musulmani. Qui i vincitori si
trovarono di fronte ad antiche società urbane, ricche di storia millenaria, di
arte e di cultura, ricche di case, di strade, di teatri! Palermo all’epoca
aveva già più di 1500 anni! Scegliere fra la tenda e la casa, tra una città
ed un villaggio non fu difficile. E i musulmani conquistatori non tardarono ad
adattarsi “sicilianizzandosi” pur mantenendo un forte carattere islamico
nell’organizzazione dello Stato. Fu così che in Sicilia si ebbero più città
musulmane che in tutta l’Ifriqqya”.
Il
processo di acculturazione si riflesse anche sulla lingua, dove troviamo una
situazione assai complessa ed intricata.
La lingua
ufficiale dello Stato era l’arabo classico del Corano (come il latino per la
chiesa di Roma), poi vi era la lingua ufficiale
delle istituzioni locali, della burocrazia, dei letterati, che era soprattutto
una lingua scritta e colta, peculiare delle classi dominanti, ed infine
l’arabo veicolare, quello di uso comune; data però la multietnia si
parlavano anche il greco veicolare, il latino veicolare, l’ebraico veicolare,
tutte lingue assai lontane dai corrispettivi classici.
Ricordiamoci
che la maggior parte della popolazione non era in grado di leggere e scrivere.
L’arabo
veicolare era a sua volta un ibrido tra arabo, berbero e parlate isolane,
diverso da quello dell’Ifriqiya”,
una parlata “originale” che chiameremo “arabo-siculo”, così come
c’era l’arabo-ispanico o l’arabo-persiano, ad esempio.
Insomma
per farla breve si venne a creare una sorta di parlata mista, una specie di Sabir
costituito da qualche migliaio di parole in buona parte arabo-siciliane, e
in minor parte greche e latine, la cui percentuale era in relazione alla
maggiore o minor presenza di musulmani nei vari distretti dell’isola.
Un
raffronto simile a quello linguistico si è avuto anche in altri campi, ed in
particolare in quello dell’agricoltura, ed anche in questo caso più o meno
pregnante in relazione alla presenza islamica.
Rivoluzionaria
è la scomparsa del latifondo romano-bizantino in seguito all’applicazione
dell’iqta, cioè della legge agraria
islamica. L’iqta per l’Islam era
quella che per Roma era stata la legge agraria per la colonizzazione delle terre
occupate. Ad ogni cittadino islamico o convertito che ne avesse fatto richiesta,
veniva assegnato un pezzo di terra da coltivare (come coltivatore diretto o con
l’aiuto di servi, a secondo della grandezza e della posizione sociale ma che non poteva in ogni caso superare certi
limiti) e su cui pagare le tasse. Da queste terre ogni coltivatore cercò di
ottenere il massimo, grazie alle moderne tecniche di coltivazione che si
sovrapposero, arricchendole, alle tecniche agricole presenti nell’isola che
fino ad allora aveva prodotto prevalentemente grano,
olio e vino. Ma questa
società agricola ebbe un limite che
la indeboliva: ne beneficiavano soprattutto i Musulmani, conquistatori o
convertiti, che erano in gran numero nelle campagne centro-occidentale. Troviamo
pertanto una società egalitaria nella parte più musulmana dell’isola, quella
centro-occidentale, che era la più grande, e assai meno egalitaria nelle zone
orientali, dove solo i musulmani conquistatori e i pochi convertiti avevano
diritto all’iqta.
Le
maestranze arabe seppero utilizzare al meglio le risorse idriche del sottosuolo;
recenti ricerche di speleologia urbana hanno rivelato nel sottosuolo di Palermo
e della Conca d’Oro una straordinaria rete di condotti sotterranei di
drenaggio delle acque. Analoghe strutture sono tuttora in funzione a Marsala.
Essi sono costruiti secondo la tipologia dei qanat,
strette gallerie scavate artificialmente e collegate alla superficie da pozzi
seriali. Grazie alla leggera ma costante pendenza dei cunicoli, l’acqua scorre
dal punto di captazione per centinaia e centinaia di metri, a volte per
chilometri.
Grazie al
razionale utilizzo delle acque in Sicilia compaiono e/o si diffondono le
coltivazioni di cotone, lino, canapa, ortaggi, legumi, papiro, canna da
zucchero, agrumi, datteri e anche i gelsi, necessari per l’allevamento dei
bachi da seta. Dello sviluppo dell’orticoltura e di coltivazioni arboree
pregiate sono ancora oggi testimonianza termini come nuara,
senia, cubba, gebbia, vattali, garraffu,
ecc. Si continuò a produrre ancora grano, olio e vino ma in quantità minore,
anche in considerazione del fatto che per via delle guerre erano andati perduti
i mercati esteri tradizionali, in particolare Roma. Dello sviluppo
dell’agricoltura e dell’arricchimento del patrimonio botanico non poca parte
ebbero l’estensione dell’ecumene islamico e l’intensificarsi dei commerci
con le regioni asiatiche fino all’India. Per intenderci si verificò
un’apertura di commerci paragonabile a quella che qualche secolo più tardi
causò, ma in campo atlantico, la scoperta delle Americhe.
Palermo, la Zisa
Balarm, la Medinah
I
conquistatori arabi, come precedentemente detto, non sono intervenuti a
modificare il tessuto urbano: piuttosto che adattare la città ai loro modi di
vivere, si sono adattati loro a quella di città quali Messina e Palermo, fra
le più importanti del Mediterraneo.
Palermo,
secondo l’usanza magrebina, da città marinara sarebbe dovuta diventare una
città interna lontana dalle insidie e dai pericoli del mare, ma non fu così e
la grande strada centrale che dal
mare portava a piedimonte, fino al vecchio nucleo fortificato (Qasr, castello,
da cui cassaro), venne mantenuta ed arricchita.
Gli
scrittori arabi la descrivono affiancata da botteghe e pavimentata (simat
al balat)
Oltre alle
botteghe, che occupavano determinate vie della città in ragione della categoria
merceologica, si svilupparono i suq
(mercati). Ibn Hawqal ci descrive i suq
di Palermo indicando per ciascuno il luogo ed il tipo di commercio che vi si
svolgeva.
Un’altra
cittadella fortificata, la Eletta (al-khalisah,
l’odierna Kalsa) venne edificata, successivamente, nei pressi del porto.
Attorno alle due cittadelle fortificate sorsero numerosi quartieri aperti,
popolarissimi ed attivissimi.
Palermo
si arricchisce, in quest’epoca, di palazzi, di moschee e di parchi diventando
una metropoli orientale; fioriscono scuole di medicina, di matematica, di
diritto, di teologia musulmana, poeti e storici fanno splendere il suo nome nel
mondo intero. La città araba esercita un ruolo predominante su tutta la
Sicilia; questa posizione elitaria è sottolineata anche dal nome significativo
di Medinah con il quale viene
chiamata, termine che sta a significare città capo di molti domini.
Nel
linguaggio comune, comunque, la città continua ad essere chiamata con il suo
antico nome anche se si assiste alla trasformazione fonetica del toponimo
Πανορμος (Panormus) in Balarm o Balarmuh.
Nel
X secolo i due viaggiatori arabi, Al-Muqaddasi ed Ibn Hawqal, forniscono delle
descrizioni dettagliate della città; Al-Muqaddasi nella sua opera intitolata Ahsan
at-taqàsim fì mà rifat al-aqalìm (La migliore delle ripartizioni per la
conoscenza delle regioni) scrive: «Palermo capitale di Sicilia, è situata sul
mare in quell’isola. È più grande di al-Fustàt (il Cairo vecchio), ma è ripartita in diversi settori; i fabbricati
della città sono di pietra e calce ed essa appare rossa e bianca. La circondano
sorgenti e canneti, le fornisce acqua un fiume chiamato Wadì
Abbàs (l’odierno fiume Oreto). I mulini
sono numerosi nel suo mezzo ed essa abbonda di frutta e di produzioni del suolo
e d’uva. L’acqua batte le sue mura. Possiede una città interna, nella quale
si trova la moschea gàmî; i mercati
sono nel sobborgo (rabad). Ha inoltre
una città esterna dotata di mura e chiamata al-Halisah,
in cui si aprono quattro porte»
(De Simone A., Palermo araba, in La Duca).
Sul
punto più alto della città gli arabi costruiscono il primo nucleo
dell’attuale Palazzo dei Normanni. L’emiro e la classe dirigente risiedono
all’interno delle mura dell’antica città di impianto punico-romano fino al
937-938; le antiche mura racchiudevano i quartieri della Galka (al-Halqâh,
la cinta), sede degli spazi amministrativi, e quello del Cassaro (al-Qasr, il castello), corrispondenti rispettivamente alle primitive
paleopoli, e neapoli attraversati dalla simat al balat, l’odierno corso Vittorio Emanuele (Cassaro). Al
di fuori delle mura, via via che aumenta il numero degli abitanti per il
naturale accrescimento demografico, si vanno formando altri quartieri: l’hârat
al masgid Ibn Siqlâb (quartiere della moschea) e l’hârat
al gadîdah (quartiere nuovo) che
abbracciano quelli che saranno i quartieri dell’Albergheria e dei Lattarini,
compresi fra le mura meridionali della città e l’odierno corso Tukory; l’hârat
as Saqâlibah (quartiere degli Schiavoni), sede di mercanti e milizia
mercenaria, situato a settentrione, al di là delle rive del Papireto; il muaskar,
sede di stanza delle truppe, una vasta contrada suburbana scarsamente edificata
situata ad occidente. Tutti i quartieri che vengono edificati al di fuori delle
antiche mura vengono indicati dagli arabi con il termine di rabad,
cioè borgo.
Vengono
costruiti numerosi bagni pubblici, gli hammâm,
profondamente legati alla cultura ed alla religione islamica. Oggi l’unica
testimonianza di bagni arabi in Sicilia è data da quelli di Cefalà Diana che
rappresentano anche una delle poche opere appartenenti con certezza a questo
periodo, tutto il resto è stato distrutto o modificato o costruito dai re normanni.
La città
manterrà la sua egemonia per tutta
l’età araba manifestando tutto il suo fasto ed il suo splendore all’arrivo
dei nuovi dominatori normanni.
Una delle più belle descrizioni della Sicilia di quel felice periodo è quella offertaci dal geografo e scienziato Al-Idrisi il quale afferma: «Diciam dunque che l’isola di Sicilia è la perla del secolo per abbondanza e bellezze; il primo paese del mondo per bontà di natura, frequenza di abitazioni e antichità. Vengovi da tutte le parti i viaggiatori e i trafficanti delle città e delle metropoli, i quali tutti ad una voce la esaltano, attestano la sua grande importanza, lodano la sua splendida bellezza, parlano delle sue felici condizioni, degli svariati pregi che si accolgono in lei e dei beni d’ogni altro paese del mondo che la Sicilia attira a sé. Nobilissime tra tute le altre che ricordi la storia, furono le sue dominazioni; potentissime sopra tutt’altre le forze che i Siciliani prostrarono chi lor facesse contrasto. E veramente i re della Sicilia vanno messi innanzi di gran lunga a tutti gli altri re, per la possanza, per la gloria e per l’altezza de’ proponimenti».
La cultura
arabo-islamica elaboratasi in Sicilia è di stampo maghrebino e quindi
fortemente dipendente da quelle dell’Ifrìqiya
e della Spagna islamica con la quale l’isola ha molteplici scambi culturali.
La
vita quotidiana è scandita dall’osservanza degli insegnamenti del Corano e
dalle attività religiose legate alla preghiera.
Nella prima fase che segue la conquista dell’isola si assiste ad una sorta di conversione di massa; la gente del libro abbandona il proprio credo per avvicinarsi alla nuova religione islamica. Questa ondata di “islamizzazione” non è legata tanto a motivi religiosi quanto alla possibilità di godere dei privilegi riservati ai musulmani e di evitare il pagamento della jizya e della kharàj. Non c’è da stupirsi quindi se questo primo periodo è segnato da una totale assenza di rispetto verso le leggi coraniche, come è sottolineato da Michele Amari il quale, riportando le impressioni di Ibn Hawqal sulla gente siciliana, afferma che «Non usano la circoncisione, né osservano le preghiere, né pagan la limosina legale, né vanno in pellegrinaggio; appena avvien che digiunino il ramadhan e che facciano il lavacro in un sol caso. […] non essere in Palermo begli ingegni né uomini dotti, né sagaci, né religiosi, non vedersi al mondo gente meno svegliata, né più stravagante; men vaga di lodevoli azioni né più bramosa di apprendere vizi».
I
musulmani siciliani amano molto la vita sociale; sono soliti riunirsi il venerdì,
giorno di festa, per banchettare, danzare e suonare. Gli strumenti musicali più
diffusi in Sicilia sono l’oboe, l’arpa, il liuto e il tamburo come ricorda
Ibn Hamdìs nei suoi versi: «le cantatrici toccan le corde, calmano i moti del
dolore negli animi degli astanti. Questa qui stringesi al collo un suo liuto;
quella bacia il suo flauto. La ballerina getta il pie’ a misura della mano che
picchia la tamburella». Nei pranzi
del venerdì, ai quali sono invitati solo gli uomini, vengono imbandite
splendide tavole ricche di numerose pietanze; la quantità e la varietà dei
cibi è non solo manifestazione pubblica delle ricchezze del padrone di casa, ma
anche indice di generosità.
La carne
è una delle pietanze principali, ma le tavole abbondano anche di pesci,
datteri, mandorle, frutta fresca, pane farcito di miele e frutta secca, e una svariata quantità di dolci, tra i quali
forse l’antenata della nostra cassata
e i sorbetti alla frutta. Nella preparazione dei piatti si fa abbondante uso di
spezie ed erbe aromatiche.
Le
pietanze non vengono portate una alla volta ma si imbandisce la tavola con tutte
le portate che vengono servite in ampi vassoi di rame. Ogni commensale non ha un
proprio piatto ma si serve dal vassoio comune sistemato sulla tavola.
Particolare
attenzione viene data anche all’abbigliamento e alla cura dell’igiene
personale; la radice culturale di questa pratica è da ricercarsi
nell’applicazione delle Sacre Scritture del Corano.
L’attenzione
riposta nella cura dell’igiene personale è testimoniata da un libro arabo
dell’XI secolo, intitolato Il Manuale
dei segreti del matrimonio che, tra le tante raccomandazioni fatte alla
giovani coppie, riporta anche una serie di ricette mediche e cosmetiche: «Per
esempio, per rendere luminosa la pelle del volto, far sparire segni di
lentiggini e anche macchie di lebbra, vaiolo e cicatrici, è consigliato un
miscuglio di zafferano, zucchero candito, gomma arabica, urina di pipistrello,
latte di madre, bianco d'uovo, olio di mandorla, succo di fichi, menta,
pistacchi, mostarda, e così via. Poiché all'uomo è gradevole la donna
prosperosa, ed egli può provare standole vicino un piacere che una donna magra
non sa dare, elenchiamo una lista di cibi sui quali una donna scarna può
contare per ingrassare, rinforzare i tessuti, rendere limpida la pelle, e
accattivarsi i desideri del marito, aumentando di peso». Non garantisco della bontà dell’intruglio!
Gli uomini
portano la barba che, in base alla lunghezza, al colore e alla forma, ne denota
il rango sociale. Un uomo della classe agiata possiede una barba folta e di
media lunghezza tinta di blu, giallo, verde o rosso; gli operai portano una
barba corta; i medici e i giuristi una
barba lunga e bianca. La barba dei militari è divisa in due ciuffi neri. Tutti
hanno i capelli rasati tranne i principi che hanno una pettinatura formata da
lunghe trecce. Gli uomini, oltre a riporre molta cura nella barba, si radono le
ascelle e si dipingono gli occhi con il kajal. Le donne portano i capelli
raccolti in trecce il cui numero e
la lunghezza ne denunciano il ceto sociale.
L’abito
maschile è costituito da una camicia e da un pantalone in
tela bianca. Le camicie, formate da nove pezzi di tessuto cuciti insieme hanno
delle larghe maniche che vengono arrotolate e talvolta usate come tasche. Il
pantalone è trattenuto in vita da un cordoncino intrecciato con fili di cotone
e fili d’oro. L’abbigliamento è infine completato da ampi mantelli e da una
specie di giacca, anche essa formata da nove pezzi cuciti e con lunghe maniche,
aperta sul davanti e stretta in vita da una fascia di tela o di seta.
Le donne
indossano dei larghi pantaloni rigonfi sulle caviglie, una casacca di seta dai
colori chiari con profonde aperture sul seno e sui fianchi che lasciano
intravedere il petto coperto da una leggera camicia di seta con larghe maniche
pendenti.
Le donne usano collane, spille, bracciali e le loro
vesti sono riccamente ricamate. Gli uomini indossano un turbante o un copricapo
adeguato alla propria posizione sociale.
In
Sicilia, come nel resto del mondo arabo, è in uso la pratica della poligamia, a
patto che si possano mantenere più mogli in “egual misura”.
Oltre
che nei costumi della vita quotidiana, gli Arabi lasciano profonde tracce del
loro passaggio nella cultura scientifica; a Palermo si studiano la geometria
della Terra e i punti cardinali e l'astronomia.
La
Sicilia e, più in generale, tutta l'Italia meridionale acquistano nell'epoca
musulmana conoscenze d'ogni tipo: mediche, filosofiche, astrologiche,
scientifiche. Questo fenomeno continuerà durante il periodo normanno,
soprattutto alla corte di Ruggero II, facendo della Sicilia uno dei punti più
importanti attraverso i quali sono penetrati in Occidente gli influssi delle
arti e delle scienze orientali.
Non solo
nelle città ma anche negli insediamenti rurali gli scavi archeologici hanno
riportato alla luce monete e oggetti di uso quotidiano riccamente decorati che
indicano un livello di vita tutt’altro che miserabile. Ancora oggi in certe
zone della Sicilia si costruiscono le case alla maniera elaborata dagli arabi, presumibilmente sui modelli romani: un grande
cortile interno, ornato di piante e fiori e piccole peschiere, sul quale si affacciano le stanze o gli appartamenti.
La fine
Come già
accennato, le lotte intestine che si scatenarono tra gli emiri dei tre valli, in
assonanza con le lotte d’Ifriqya, richiamarono l’attenzione di Bisanzio, che
spedì un esercito al comando di Giorgio Maniace. Dopo alcuni successi iniziali,
questi fu però costretto alla ritirata. Successivamente scoppiarono altre
profonde liti
- la leggenda narra, ancora una volta, per una questione di donne
- che determinarono la chiamata
degli Altavilla, i quali, ben presto, da mercenari al soldo di Ibn
at Thumma, caid di Siracusa, si
trasformarono in conquistatori.
La guerra
di conquista durò 30 anni e alla fine le parti si rovesciarono e
questa
volta furono i furbi normanni ad applicare l’aman
nei confronti dei musulmani siciliani. Riconobbero, comunque, l’alto grado
di preparazione e civilizzazione araba e, apprezzandone la cultura, l’arte e i costumi, si adattarono felicemente continuando quel
periodo di splendore e floridezza. La gestione dello stato cambiò radicalmente
facendo precipitare la Sicilia in pieno feudalesimo quando Federico II
di Svevia avviò un
processo di persecuzione che portò allo sterminio degli arabi e alla
deportazione dei sopravvissuti in Puglia! Le terre musulmane del Val di Mazara
rimaste deserte furono graziosamente donate a profughi ghibellini lombardi, che
però non le coltivarono più “alla siciliana”. E così anche ciò che di materiale rimaneva della cultura dei musulmani di
Sicilia non rimase più niente.
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©2005 Fara Misuraca