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Prima parte
Introduzione
Nella tradizione
letteraria medievale ci troviamo di fronte a complessi repertori simbolici
fondati su reali e comunemente riconosciute proprietà degli esseri che si
aprono in prospettiva allegorica. Tale prospettiva segna l’intervento
dell’autore a scopo didascalico, che conduce il lettore dall’universo fisico
dei fatti e delle storie, fondato su attributi riconosciuti realmente propri,
come ad esempio quelli animali, a quello moraleggiante della significanza.
L’allegoria
diventa perciò una forma di conoscenza indiretta che parte da un dato concreto
presente alla percezione e assume particolare valore nel rendere chiari e
manifesti i significati nascosti nei miti, di ordine fisico, teologico, morale o
storico.
Per quanto
riguarda invece il mondo del simbolo, la forma simbolica espressa nei termini
del dominio animale è estremamente complessa, anche perché si deve tenere
conto che l’animale passa dall’universo del rituale a quello dell’arte
attraverso un approfondimento, una specializzazione delle sue caratteristiche
antropomorfiche, assumendo nei testi le connotazioni specifiche del personaggio.
L’uso degli
animali e l’assegnazione ad essi di caratteristiche umane, ha assunto un
generale valore tematico non solo nella pratica della scrittura, ma anche nella
produzione artistica, privilegiando, fra le varie forme di rappresentazione
allegorica, quella dei vizi e delle virtù. A sua disposizione in sculture o in
affreschi, corrisponde ad un preciso percorso del fedele sottoposto alla
trasmissione di un messaggio mediante segnali forti che l’allegoria indirizza
all’intelletto.
Su questa base
Goethe distinguerà il simbolo dall’allegoria. «L’allegorico si distingue
dal simbolico perché questo designa indirettamente e quello direttamente».
Se l’allegoria si indirizza all’intelletto, il simbolo si indirizza
alla percezione. Il simbolo è immagine naturale, comprensibile a tutti; mentre
l’allegoria usa il particolare come esempio del generale, nel simbolico si
coglie il generale nel particolare. «Il simbolismo - afferma Goethe - trasforma l’esperienza in
idea e idea in immagine, in modo che l’idea ottenuta nell’immagine
rimanga sempre infinitamente attiva e irraggiungibile, e per quanto espressa in
tutte le lingue, rimanga inesprimibile. L’allegoria trasforma l’esperienza
in un concetto e il concetto in una immagine, ma in modo che nell’immagine il
concetto sia sempre definito, contenuto ed inesprimibile».
Il
Bestiario e il suo messaggio
Nel Medioevo gli
animali sono oggetto di attenzioni e riflessioni costanti. Se addomesticati,
sono ausiliari essenziali della vita materiale ed economica;
allo stato selvaggio, invece, alimentano l'immaginario collettivo e si confondono
con quelli mitici. Reali o fantastici, ambedue le categorie sono sottoposte a
percorsi simbolici o allegorici al servizio della teologia e occupano posto
privilegiato nella letteratura medievale, oggetto di studi specialistici,
moltiplicatisi soprattutto in questi ultimi decenni.
Messo sulle
tracce di un percorso didattico e morale nell'economia di
un “catechismo” al servizio della persuasione l'animale, nelle sue contraddizioni,
esprime l'essenzialità dell'uomo. Da qui l'importanza accordata agli animali nei sermoni e negli
exempla dei predicatori francescani e domenicani
[1]
che, nel secolo XIII, in una realtà comunale in piena esplosione con tutte le
sue fibrillazioni sociali, economiche, culturali e religiose, ponevano l'animale
in rapporto diretto con l'uomo;
quest’ultimo, infatti, godeva di un privilegio da cui l'animale era escluso: credersi
fatto ad immagine di Dio e, pur
animale simbolico egli stesso, di considerarsi distinto dalla
natura.
Ma l'animale è stato sempre là a
ricordargli la sua appartenenza alla natura
[2].
I1 percorso di questo rapporto
era stato pensato e trasferito nell'arte nelle sue linee essenziali, già nei
secoli precedenti il XIII, e soprattutto in Occidente, tanto che sin dalla fine
del secolo X gli animali proliferavano
nelle chiese e nelle abbazie. Reali o fantastici, sono stati messi
in scena su capitelli, portali,
doccioni, talvolta anche con grande scandalo da parte di eminenti uomini
di Chiesa, come san Bernardo, che vedeva in quelle sculture solo distrazione
dalle verità eterne[3].
Ma, nonostante le vibrate proteste di san Bernardo, non si può disconoscere la grandezza dello scultore romanico che stabilisce nuovi valori, per i quali non vi era nessun modello diretto. «Il fenomeno della fioritura della scultura romanica - scrive Beat Brenk - a partire dall’XI secolo non è deducibile o determinato dall’esterno, bensì è innanzitutto un processo creativo sui generis, del quale possiamo prendere atto senza comprendere lontanamente le cause». Perché i bestiari di pietra delle cattedrali?
La
decisione di decorare facciate e capitelli con soggetti animali proveniva
dall'artista o dal committente? E fino a che punto la Chiesa ne fu coinvolta?
Sono stati gli artisti a dare l’impulso iniziale?
La
tematica dei bestiari di pietra e perciò non biblica e non religiosa può
essere compresa probabilmente solo come invenzione senza precedenti da parte
degli artisti, invenzione non solo tollerata ma anche approvata dalla gerarchia
ecclesiastica e, successivamente, gradita al popolo e al clero.
è questo un problema nuovo, non comprensibile attraverso le fonti e
finora trascurato dalla ricerca sulla base di
indagini condotte da Beat Brenk
[4].
Comunque stiano le cose, la scultura animale delle cattedrali non doveva
essere intesa, come pensava Emile Mâle [5], solo come decorazione, ma anche e soprattutto come
messaggio. Così, l'originalità creativa degli artisti si articolò nel
contesto ecclesiastico e funse da fonte di ispirazione per i predicatori nello
sforzo di catechizzazione del popolo.
L'età romanica che si contraddistinse per la sua
propensione per le cose nascoste e per le verità soprannaturali, sentiva la
necessità di punti di riferimento capaci di orientare le coscienze, di
ammonirle. E il bestiario di pietra non era solo osservazione, ma speculazione
e ammonizione. Né pertanto bisognerebbe considerare anacronistico
l'atteggiamento di S. Bernardo. Anacronistico sarebbe considerare il Medioevo
come un tutt'uno, a dimenticare che esso dura convenzionalmente circa mille anni
e a non considerare l'evoluzione del pensiero e delle conoscenze, i valori e i
loro significati che non sono gli stessi
dell'età di
Carlo Magno
o di
S. Francesco d'Assisi. Il
pensiero medievale non è assolutamente immobile; i modi di porsi nei confronti
dell'animale sono in continua evoluzione: si trasformano e si diversificano. E
tale diversificazione la si osserva sia nel diretto rapporto con gli animali
vivi, sia nella loro messa in scena ideologica e simbolica [6], laddove la metafora animalesca, così ricorrente nella
agiografia monastica altomedievale, è vista come forza polare fra Dio e Satana.
L'animale
nei sermoni dei predicatori
è evidente come il mondo animale abbia costituito un
imprescindibile punto di riferimento nel lavoro di redazione dei sermoni da
parte degli specialisti della predicazione del XIII secolo. L’immagine
sensibile serviva a fissare meglio il testo nella mente e, nello stesso tempo,
fungeva da guida verso l'invisibile. è comunque innegabile che già nelle
prime artes praedicandi, l’impiego del regno animale nei sermoni
era stato consigliato dalla gerarchia ecclesiastica. Il Maestro Generale dei
frati predicatori Umberto di Romans, nella seconda parte della sua De
Erudicione praedicatorum ha lasciato dei modelli di sermoni nei quali non
esita a ricorrere alla favola animale e ai trattati di storia naturale,
assicurandosi un uditorio socialmente ed intellettualmente diversificato: dai
chierici dell'Università ai semplici cives.
Tra i primi
autori di artes praedicandi, il francescano Luca da Bitonto
[7] che scrisse i suoi sermoni tra gli anni venti e gli anni
quaranta del Duecento, fa largo uso di similitudini e metafore riferite al regno
animale. Né pochi sono gli exempla che
hanno come protagonisti animali di ogni specie
I sermoni del predicatore bitontino, come quelli di sant'Antonio da Padova, suo contemporaneo, rispecchiano in modo chiaro immagini della
vita naturale, colte nella osservazione diretta del mondo circostante, a secondo
le conoscenze che essi ricavavano dalla scienza naturale, da opere di autori
antichi come Aristotele, Plinio e Solino e dalla filologia. L’uno e l’altro
guardano al mondo delle cose materiali come effetto della sapienza di Dio, che
si manifesta nella Creazione.
In una delle sue prediche, Antonio da Padova afferma che «L’opera del Signore è la Creazione la quale, bene considerata, porta colui
che la considera all’ammirazione del suo Creatore. Se c’è tanta bellezza
nella creatura, quanta ce ne sarà nel Creatore?»
In tutte le creature, in particolare in quelle del mondo animale, Luca, così come Antonio, percepiva la sapienza di Dio attraverso un percorso solo apparentemente tortuoso, quello del simbolo, che travalica la luce dei sensi e si immerge nel trascendente della bellezza creata, che trova la sua giustificazione nella finalità della salvezza delle anime. Compito assolutamente non facile per un predicatore non adeguatamente istruito. Anche sant'Antonio, come Luca da Bitonto, non si serve dei trattati animali per acquisire di essi conoscenze più precise, ma li utilizza come miniera inesauribile di nuove allegorie. Questo tipo di apostolato attraverso la predicazione richiedeva la padronanza di una tecnica necessaria alla strutturazione dei sermoni che Luca da Bitonto poté, probabilmente, apprendere alla scuola di Parigi [10].
La potenza
esemplare delle metafore e delle similitudini animali
è ampiamente attestata nel contesto omiletico della predicazione
mendicante dei secoli XIII e XIV; la fruizione simbolica dell’animale ricorre
spesso nelle raccolte di exempla,
veicolate da una tipologia animale o, il più delle volte, da una
classificazione per rubriche [11].
Pur
nell'apparente affinità o analogia tra
le due figure retoriche, similitudini e metafore fanno parte di un procedimento
retorico che permette di inscrivere una grande diversità di forme narrative in
un processo di persuasione. è chiaro che tra le due figure esiste una notevole
diversità non percepita da un uditorio poco colto, in quanto l’una
è soprattutto un fatto di linguaggio, l’altra un fatto di poetica. La
metafora, per dirla con Aristotele, ‘insegna’ qualcosa e allena la mente a
cogliere analogie, mentre la similitudine è
un ‘fare’ essenzialmente poetico. Attraverso la metafora l'uomo ‘impara’,
viene costretto alla riflessione, attua un'operazione di natura filosofica e
realizza conoscenze. La similitudine, invece, non elabora una realtà
immaginaria, impiega analogie presenti nella realtà, fornisce informazioni più
ampie rispetto alla narrazione, arricchite da connotazioni emotive. Spesso essa
si presenta come una microstruttura che, pur inserendosi nella macrostruttura
del racconto, finisce per avere una relativa autonomia.
Nella predicazione mendicante e nelle raccolte di sermoni
non è stato sottolineato abbastanza
il ruolo delle due figure retoriche
e, in particolare, delle similitudini il cui uso non aveva solo lo scopo di
ravvivare l'attenzione dell'uditorio, ma anche quello di evidenziare virtù
pedagogiche che potevano risultare di grande utilità soprattutto per un
pubblico di fedeli poco colto e, pertanto, incapace di comprendere discorsi
astratti [12].
Le similitudini richiamano in effetti situazioni che
fanno parte talvolta dell’esperienza concreta degli ascoltatori, talaltra,
riferite al mondo animale, ne descrivono comportamenti abituali, non estranei
alla quotidiana conoscenza dell'uomo comune
[13].
Vediamo alcuni
esempi. A più riprese Luca da Bitonto insiste sulla necessità dell’ascolto,
da parte del pubblico dei fedeli, del sermone del predicatore. «Il sermone è
simile alla cetra le cui sette corde hanno la funzione di ammonire e di
esortare, di raccomandare e di correggere, di istruire, di purificare, di
ricordare l'eterno supplizio. Ma molti si comportano come cattivi scolari
che, per timore delle punizioni si allontanano da scuola; o come alcuni
che, colpiti dalle avversità, non ascoltano la parola del predicatore. Ci sono
altri, poi, che sono sordi da entrambe le orecchie perché non rivolgono il loro
animo alle cose buone, né abbandonano i loro vizi. E questi sono i peggiori. La
loro sordità è volontaria ed è per questo che sono simili all'aspide che
schiaccia a terra l’orecchio, per fissare nella mente i piaceri terreni e per
non accogliere la parola di Dio e tura l’altro orecchio con la punta della
coda per rinviare il pentimento alla fine della vita» [14].
Come si vede, le
similitudini sono fatte per immagini che hanno la funzione di mediare fra mondo
interiore e mondo esteriore. Da qui, la necessità e la capacità del
predicatore di controllarle, modificarle, crearne di efficaci perché è dalla
loro qualità che dipende il destino dell'uomo, nel senso che condiziona le sue
conoscenze e le sue scelte morali.
Luca da Bitonto per illustrare un episodio della storia sacra, come il sacrificio di Cristo sulla croce, introduce anche il racconto del suicidio del pellicano, che uccide i suoi piccoli e poi si dà la morte perché una goccia del suo sangue, sprizzato dal suo cuore, li resusciti o allorquando mette in relazione il volo dell'aquila con la Resurrezione [15].
La lettura dei sermoni di Luca da Bitonto evidenzia la disponibilità di una riserva considerevole di similitudini riferite al mondo animale, arricchite da letture, da conversazioni, da osservazioni e riflessioni personali. Tenuto conto della sua intensa attività di predicatore, possiamo inoltre supporre che molte similitudini siano state elaborate nel momento della redazione del sermone, dando prova anche di una creatività che metteva in evidenza le sue capacità e la sua vasta conoscenza della mitologia pagana e di opere di autori dell'antichità classica. La sua creatività si manifestava per ogni tipo di uditorio e la si coglie anche nel passaggio dal piano delle similitudines a quello dell'exemplum [16].
L'esplicazione di un’autorità biblica è spesso sostenuta dalla descrizione del comportamento immaginario di un animale, da un aneddoto o da una favola antica mutuata dalla tradizione pagana. Né sono rare in questo tipo di descrizioni venature poetiche intese ad attirare l'attenzione dell'uditorio colto e meno colto. Il mondo animale è molto spesso richiamato allorquando si tratta di indicare i comportamenti da imitare e quelli da evitare. L'aquila che espelle dal nido i suoi piccoli che non possono guardare il sole, offre a tutti i genitori l'esempio di quello che essi dovrebbero fare: insegnare ai loro figli, sin dalla più tenera età, a guardare a Cristo. «Nel comportamento dell'aquila che provoca al volo i suoi piccoli mentre essa stessa vola ad essi vicino, è da ravvedere quello di nostro Signore. Innanzitutto per la potenza del suo olfatto. Si dice infatti che l'aquila si accorge di cadaveri che sono al di là del mare, così come nostro Signore, pur dimorando nel seno del Padre, mosso a compassione del genere umano, destinato ad essere cadavere in questo mondo, discese dal cielo per vivificarlo. Come l'aquila ha costruito il suo nido in alto sulla cima nel monte, così Cristo ha posto la sua Chiesa in un luogo alto e sicuro. L'aquila è simile a Cristo per 1a grandezza del suo amore. Si dice infatti che essa ami i suoi piccoli più di ogni altro animale terrestre o aereo […] così come Cristo amò noi fino alla morte […]. Si dice che l’aquila deponga tre uova e che per istinto scopre che uno dei tre non è perfetto e lo vuole buttare giù dal nido; quando poi, ancora implumi, volge i piccoli verso il sole, se gli occhi di un aquilotto lacrimano, come figlio degenere viene espulso dal nido, così come il Signore allontana coloro che non contemplano il suo volto e non desiderano i beni eterni. I tre piccoli dell'aquila stanno a significare le tre categorie di uomini: quelli dediti alla contemplazione, quelli che dediti all’azione e quelli che si abbandonano alle passioni. Questi ultimi il Signore caccerà dal nido della Chiesa nelle profondità della geenna per i loro peccati di avarizia, di superbia e di lussuria […]» [17].
Il frequente ricorso di Luca da Bitonto al mondo animale,
ispiratore di similitudini, metafore e allegorie, è determinato dalla semplice
considerazione che la ragione umana assimila naturalmente e spontaneamente
quegli argomenti e quelle realtà a lei più vicini. Ed
è per questo motivo che le similitudini riferite alla natura hanno una
forza di persuasione ben più grande in quei sermoni destinati ai laici. Di
questo ricorso alla natura, al mondo animale e alle similitudini derivanti era
pienamente convinto anche Thomas de Chobham che scriveva: «Infatti la ragione
umana dal momento che è connaturata all'uomo, apprende più facilmente quelle
cose che si presentano a lui in forma naturale piuttosto che in modo astratto.
Per cui le anime vengono persuase più facilmente attraverso le similitudini
naturali che non con le parole comuni» [18].
La
tradizione enciclopedica
La lettura dei sermoni del francescano pugliese denota anche una conoscenza niente affatto superficiale della tradizione enciclopedica medievale che trova il suo punto di partenza nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia e, in particolare nel libro XII, privo di allegorie esplicite riferite ai comportamenti umani, ma attinenti al mondo animale. Sarà poi Rabano Mauro ad offrire, verso la metà del IX secolo, una versione allegorizzata dell'opera di Isidoro con la sua De Naturis rerum [19].
è nel XII secolo che si ha il rilancio della tradizione enciclopedica, che trova nel secolo successivo la proliferazione di grandi opere sul mondo animale, in particolare del De naturis rerum di Alessandro Neckam [20], del Liber de natura rerum di Tommaso di Cantimpré [21] e del De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, il testo allegorico più letto e punto di riferimento imprescindibile per altri autori contemporanei e successivi [22].
Le enciclopedie prodotte nel XIII secolo rispondono
all’esigenza di rendere accessibile il sapere ad un pubblico di lettori più
vasto possibile. La loro funzione è quella di diffusione e mediazione culturale
a mo’ di prontuario sostitutivo di una molteplicità di libri ad uso “dei
semplici e dei piccoli”. La cultura espressa dagli enciclopedisti risente
dell’approccio simbolico e spirituale al libro della natura la cui conoscenza,
se da un lato aiuta ad intendere i significati riposti nella Sacra Scrittura,
dall’altro fornisce materiali utili alla predicazione.
Considerevole è dunque il ruolo dell'allegoria animale
nelle enciclopedie medievali e nei testi che ad esse si ispirano direttamente,
compreso i sermoni di Jacques de Vitry, Maurice de Provins, Nicolas de Biard,
Luca da Bitonto, Antonio da Padova nei quali è ampiamente sviluppata la
concezione medievale della lettura allegorica della natura che segnala la strada
al cammino dei predicatori nella loro ricerca dei diversi sensi dei testi
biblici. In questa ottica, ogni animale diventa portatore di uno o più sensi,
secondo le proprietà ad esso attribuite: un senso allegorico per le analogie
con la storia sacra; un senso tropologico e morale allorquando l'animale è
portatore di una lezione che concerne il comportamento umano; un senso anagogico
se esso offre una immagine del destino dell'anima [23].
Pur nella differenziazione dei loro procedimenti, le raccolte dei sermoni dei predicatori recuperano parte del materiale già utilizzato e poi redatto in funzione di una predicazione orientata verso i bisogni reali o supposti del laicato. Costantemente presente, inoltre, è in questi autori, il bisogno di mettere a profitto il Libro della Creazione, dando ampio risalto alle proprietà di questo o quell'animale [24], messe in rapporto ai comportamenti dell’uomo. Luca da Bitonto, ad esempio, sottolinea come l'uomo debba considerare la sua natura per rendersi conto della fragilità della sua condizione e insiste a più riprese sulla necessità di conoscere le differenti proprietà degli animali, proponendo un certo numero di esempi per insegnare in quale modo utilizzarli. Così per predicare contro coloro che agiscono in modo empio, il francescano bitontino mette in scena il pavone: «Il pavone provvisto di occhi significa circospezione. Per cui l’Apocalisse (IV) ‘gli animali erano pieni di occhi davanti e da dietro’. Il pavone, infatti, ha la testa di serpente, per essere accorto; ha il passo del cacciatore perché nasconde la sua umiltà; ha penne di angeli per la grazia con cui se ne serve; ha un suono terribile di voce, come gemito di pentimento nella riflessione della morte. Sta tutta qui la perfezione del sentimento religioso affinché la carità alberghi nel cuore, la dolcezza e la purezza siano di ornamento alla conversazione. Bisogna imitare tutto ciò che è buono e giusto, e usare prudenza nei rapporti con gli uomini malvagi» [25].
Gli animali e le loro proprietà sono inoltre messe in
relazione con i vizi e i peccati capitali o con questa o quella virtù: il
peccato di gola con il porco [26];
l'ostinazione nel peccato e l'avarizia con il lupo
[27];
la lussuria con il cavallo
[28];
l'ira con l'orso
[29];
l’orgoglio e la lussuria con il
leone [30];
l’invidia e l’insaziabilità con il cane
[31];
l'ipocrisia e l'astuzia con la volpe
[32];
l'accidia con il corvo che, nel Bestiario rappresentato da un manoscritto della
fine del XII secolo, a dispetto del suo colore nero, significa il
bravo predicatore e simboleggia il distacco dalle delizie del mondo [33].
Tuttavia, a parte il lupo, dinanzi al quale il Medioevo cristiano si trova in
presenza di una radicale condanna, altre creature godono di una ambivalenza
simbolica, secondo quanto già dichiarato dal Physiologus greco, per cui
«tutte le creature sono di duplice natura, positiva e negativa» [34].
Ne consegue che
«nel Medioevo, il Bestiario di Cristo e il Bestiario di Satana
siano rappresentati dagli stessi animali, e tendono pericolosamente a
confondersi» [35]. è il caso, ad esempio, del serpente la cui prudenza fu rimarcata da Matteo (10,
16) e la cui positività simbolica fu rimarcata nelle antiche tradizioni
[36];
o dell'avvoltoio che si ciba di cadaveri: il suo comportamento è simile a
quello dell’aquila che gode di una reputazione totalmente positiva
[37].
Del cane, Luca da Bitonto sottolinea i differenti
comportamenti e caratteri: l'aggressività nel cacciare la preda; l'astuzia e la
malvagità; la vanità e
l’insaziabilità, ma anche la generosità quando lecca le piaghe del povero
fornendogli la medicina messa a disposizione dalla natura
[38].
La tipologia comportamentale del cane è simile per diversi aspetti a
quella del lupo la cui assunzione a simbolo totalmente e radicalmente negativo
di ogni realtà condannata e il concreto pericolo da esso rappresentato finivano
per creargli un circolo chiuso. L'identificazione con l'eretico si estende poi
ad un'ampia serie di dati terrificanti che prendono riferimento dall'immagine
concreta dell'animale divoratore perché “può divorare una enorme quantità
di cibo senza bisogno di farlo a pezzi
né di masticarlo”
[39].
Al contrario di quelli reali, poco interesse hanno invece
nei sermoni di Luca da Bitonto, gli animali fantastici ed esotici. Certo, non
sono assenti il basilisco, la
sirena, il
drago, il cammello, il dromedario o
l’elefante, ma la loro presenza è del tutto marginale. Una sola volta
infatti è menzionata la sirena in associazione col peccato di lussuria.
«Esse sono le passioni carnali che, come dice Isaia (XII), dimorano nei luoghi
delle voluttà; sono le figlie dei moabiti che trassero in inganno i figli di
Israele» [40].
è la Bibbia comunque a fornire ai predicatori un
catalogo esaustivo di animali fantastici, striscianti e impuri al servizio di
una simbologia negativa, che si manifesta con la vittoria sulla bestia
demoniaca. Incarnata spesso dal serpente o dal dragone essa si appoggia sulla
tradizione biblica del Salmo 91 (90),
13:
«Sull'aspide e sul basilisco tu camminerai e calpesterai il leone e il
drago» [41].
Almeno dall’XI secolo, il dragone, la bestia per
eccellenza, viene sistematicamente interpretata come l’immagine vivente del
male e delle sue ramificazioni. Da Onorio di Autun a Riccardo di San Vittore e
poi via via per tutto il basso Medioevo, le sette teste della bestia sono
identificate con i sette vizi capitali. La bestia dell’Apocalisse
rappresenta il simbolo vivente del settenario malefico; è la summa
del peccato e della molteplicità
delle sue manifestazioni che, a metà del XIII secolo, sotto lo sguardo
‘sociologico’ del predicatore, fornirà il polso della situazione morale
dell’Occidente medievale.
Note
1
A
proposito dell’exemplum animale nei sermoni di Jacques de Vitry,
Jacques Le Goff scrive che «les trois sermons sont riches en exempla animaliers,
fables moralisèes qui constituent un instrument très
efficace non seulement de rhètorique homilètique mais aussi d’arme
idèologique, l’assimilation à un animal présentant une grande efficacité» :
Un autre Moyen Âge, Paris 1999, qui 676.
3 J. Leclercq, C. H. Talbot e H. Rochais (a cura di), Apologie à Guillaume de Saint-Thierry, in S. Bernardi opera, III, Roma 1977, 127-128.
4
B. Brenk, Originalità e innovazione nell’arte medievale, in
E. Castelnuovo e G. Sergi (a
cura di), Arti e storia nel Medioevo. Tempi Spazi Istituzioni,
Torino 2002, 3-69, qui 53-69.
5
E. Mâle,
L’art religieux du XII siècle en France. Etude sur les origines de
l’iconographie du Moyen Âge , Paris 1947, 23-62.
6
M. Pastoureu,
Figures et couleurs. Études sur la symbolique et la sensibilitè médiévale,
Paris1986, 159-175; Idem, L’animal et l’historien du Moyen Âge,
in Jacques Berlioz et Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura di), L’animal
exemplaire au Moyen Âge (V-Xv siècle), Rennes 1999, 13-26 ; G.
Penco, Il simbolismo animalesco nella letteratura monastica, in Studia
Monastica, VI (1964), 7-38
8
Cfr. J. Th.
Welter, L’exemplum dans la littérature religieuse et didactique du
Moyen Âge, Paris-Toulouse 1927, 138-139.
9
Sermones S. Antonii
Patavini O. Min. Doctoris evangelici Sermones dominicales et festivi ad
fidem codicum recogniti, curr. B. Costa, L. Frasson, I Luisetto, coad.
P. Marangon, Patavini 1979; Sermones
Dom. II de Adventu, II, 476-7, 4: Opus
Domini creatio, quae bene considerata, suum inspectorem transmittit ad sui
Creatoris considerationem. Si tanta pulchritudo in creatura, quanta est in
Creatore?. Sulla valorizzazione simbolica della natura e degli animali
in Antonio da Padova, si veda: F. Zambon, La
simbologia animale nei ‘Sermones’ di S. Antonio, in Antonino Poppi
(a cura di), Le fonti e la teologia
dei sermoni antoniani, Atti del Congresso Internazionale sui Sermones di s. Antonio di Padova (Padova, 5-10 ottobre 1981), Padova
1982 (Centro Studi Antoniani, 5), 255-268.
10
Cfr. F. Moretti, I
sermoni di Luca da Bitonto, francescano del Duecento, in Studi
Bitontini 68, 1999, 39-60; A. Maierù, Formazione
culturale e tecniche di insegnamento nelle scuole degli Ordini mendicanti,
in Studio e Studia: Le
scuole degli Ordini mendicanti tra XIII e XIV secolo, Atti del
XXIX Convegno Internazionale della Società Internazionel di Studi
Francescani (Assisi, 11-13 ottobre 2001), Spoleto 2002, 5-31.
11
Cfr. M.-A.
Polo De Beaulieu, Du bon usage de l’animal dans les recueils médiévaux
d’exempla, in Jacques Berlioz et Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura
di), L’animal cit., 147-166.
12 Sulla tipologia dell’uditorio e sulle tecniche del predicatore, necessarie ad istruire i simplices, rustici, fideles, cfr. J. Berlioz e M.-A Polo De Beaulieu, Les prologues des recueils d’exempla (XIII-XIV siècle): une grille d’analyse, in La predicazione dei Frati dalla metà del ‘200 alla fine del ‘300, Atti del Convegno Internazionale (Assisi 13-15 ottobre 1994), Spoleto 1995, 268-299.
13
Sull'efficacia
delle similitudini animali, si veda per esempio Thomas de Chobham, Summa
de arte praedicandi (Corpus Christianorum Continuatio medievalis), 82,
Turnhout 1988, 282-283. Su
Thomas de Chobham si veda ancora F. Morenzoni, Des écoles aux paroisses.
Thomas de Chobham et la formation de la prédication au début du XIII siècle,
Paris 1995; Idem, Les animaux exemplaires dans les recueils de
Distinctiones bibliques alphabétiques du XIII siècle,
in Jacques Berlioz et
Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura di), L’animal
cit.,
171-190.
14
Luca
Apulus, Sermones ‘Narraverunt
mihi’. Di questa
raccolta esistono numerosi codici; si veda Moretti, Luca
Apulus cit. Ma vedi ora anche J. D. Rasolofoarimanana, Luc
de Bitonto, O Min, et ses sermons, in Predicazione
e società nel Medioevo: Riflessione etica, valori e modelli di
comportamento, Atti/Proceedings of the XII Medieval Sermon studies
Symposium (Padova, 14-18 luglio 2000), a cura di L. Gaffuri e R. Quinto,
Centro Studi Antoniani, Padova 2002, 239-247. Ma ho tenuto presente l’Incun.
T. 16 della Stedelijke Openbare Bibliotheek
di Bruges: S.
44, ff. 176-178: […] Cythara est
sermo predicationis, cuius corde sunt septem, effectus illius qui in hiis
versibus denotantur : increpat atque vocat, iubet, ammonet, instruit,
ungit; promissis patrie pungit terrore gehenne […] Sed quidam sunt sicut mali scolares qui propter flagella fugiunt de
scola; quidam cum aliqua affliguntur aversitate, avertunt auditum a
predicatione […] Quidam surdi
sunt utraque aure qui nec bonis intendunt nec mala deserunt, et tales aliis
sunt peiores. Horum surditas est voluntaria. Ideo comparantur aspidi qui
unam aurem terre imprimit; idest appetitum terrenorum infigit, ne verbum dei
percipiat […] Alteram aurem immissione caude obturat, dum in fine penitentem se sperat […].
15
Luca da Bitonto, Sermones cit.,
Sermo 17, ff. 73-74: […] Pellicanus est avis egipciacus
habitans in solitudine vili, qui fertur totidem pullos suos rostro occidere
eosque per triduum lugere. Deinde seipsum vulnerat et aspersione sanguinis
eos vivificat. Pellicanus significat penitentem; solitudo est a secularibus
separatio […] Pro sanguine capitis obtulit sanguinem apostolorum
quos in capite ecclesie posuit […] La storia del pellicano è
molto diffusa; cfr, F. C. Tubach, Index exemplorum. A Handbook of medieval religious tales,
16 Cfr. F. Moretti, I sermoni di Luca da Bitonto fra cattedra e pulpito, in “Il Santo”, XXX (2000), 49-69. Ma sull’aspetto generale di queste tecniche creative, si veda L.-J. Bataillon, Sermons rédigés, sermons réportés (XIII siècle), in Dal pulpito alla navata, Medioevo e Rinascimento, 3, Firenze 1989, 69-86.
17
Luca da Bitonto, Sermones
cit., S. 68, ff. 294, 295, 296, 297: Sicut aquila provocat ad volandum
pullos suos et super eos volitans. In hac autoritate tria querenda sunt,
scilicet quare dominus aquile comparetur. Qui sint pulli eius et qualiter
eos provocet ad volandum. Aquile comparatur dominus propter septem. Primo
propter odoratus vigorem. Dicitur enim sentire ultramarina cadavera; ita
dominus noster manens in sinu patris, sentit affectum compassionis cadaver
humani generis in hoc mundo protectum et descendit vivificare ipsum [...]
Secundo propter nidi collocationem. In arduis ponit nidum suum aquila et
Cristus in arduo et firmo loco scilicet seipso ecclesiam collocavit [...]
Tercio propter amoris magnitudinem. Fertur
enim plus omnibus bestiis et avibus fetus diligere [...]
ita et Cristus dilexit nos usque ad mortem [...] Quarto
propter pullorum discretionem. Dicitur enim tria ova facere [...]
similiter tercium de nido eicere, quem videt esse ignobilem [...]
cum ad huc parvi sunt trahi eos contra rotam solis et si alicuius oculi
lacrimantur, tamquam degenerem illum proicit extra nidum. Ita dominus non
contemplantes et appetentes eterna, proicit a facie sua. Tres pulli sunt
tria genera hominum: quorum quidam deserviunt contemplationi; alii actione,
tercii voluntati et istos scilicet ultimos proiciet de nido ecclesie in
profundum gehenne propter peccatum avaricie vel superbie vel luxurie [...].
In Antonio da Padova, l’aquila acquista uno spessore allegorico pregno di
poesia. L’aquila -dice il Santo- quando le si ingrossa il becco per
vecchiaia, così da non poter prendere cibo, ricorre ad una pietra e lo
aguzza e così ringiovanisce. Similmente, l’uomo giusto : quando la
sua mente si ingrossa per qualche peccato, così da non gustare più il cibo
dell’interna dolcezza, ricorre alla confessione e così ringiovanisce, cioè
ritorna alla giovinezza della grazia. Cfr. B. Costa, La penitenza in S.
Antonio, in A. Poppi (a cura di), Le Fonti e la teologia cit.,
579-606, qui 593.
18
Thomas de Chobham, Summa de arte praedicandi,
Turnhout 1988, 131: Ratio enim humana, quia homini naturalis est, multo
facilius adquiescit que ei naturaliter conveniunt quam alienis. Unde per
similitudines naturales facilius persuadentur anime quam per verba communia.
Cfr. Morenzoni, Les animaux exemplaires cit., 171-190.
22
Sulla
fortuna di questo bestseller e di altri testi enciclopedici
dell’Occidente latino, si veda B. Van den Abeele, L’allégorie
animale dans les encyclopédies latines du Moyen Âge, in Jacques
Berlioz et Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura di), L’animal cit.,
123-136.
23
Cfr.
C. Bremond, Le bestiaire de Jacques de Vitry (1240), in Jacques
Berlioz et Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura di), L’animal cit.,
111-122; si veda anche The Exempla or Illustrative
Stories from Sermones Vulgares of Jacques de Vitry, ed Th . F.
Crane, Londres 1890, rist. anast. 1967; Morenzoni, Les animaux
exemplaires cit., 174-176.
25
Cfr. Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 84,
f. 376: […] Pavo oculatus signat circumspectionem. Unde dicitur
Apocalipsis (IV): Animalia
erant plena oculis ante et retro. Et nota quia pavo caput serpentis habet
per astuciam provisionis. Passum quoque latronis per absconsionem
humilitatis; pennas angelicas per decorem conversationis; terribilemque
sonum per ululatum compunctionis in consideratione finis. Ecce tota
perfectio religionis, ut caritas sit in corde, mansuetudo et castitas in
sermone, imitatio bonorum atque iustorum, et cautela malorum in
conversatione [...].
27
Ivi,
S. 61, f. 259 Lupus dyabolus; ivi, f. 263: […] lupus
visibile tirannus est, qui per violentiam humiles opprimit; vel hereticus
qui de ovili domini quocumque potest decipere satagit; ivi, f.
264: […] Lupus invisibile est, ipse dyabolus propter octo proprietates:
Primo propter insidias [...] Secundum propter audaciam [...]
Tercio propter seviciam [...] Quarto propter rigorem,
quia nimia rigiditate collum lupi non potest flecti. Ita dyabolus obstinatus
in malo non potest ad bonum converti [...] Quinto propter
impetuositatem [...] Sexto propter ingluviem [...]
Septimo propter ludum [...] Octavo propter vocis impedimentum, quia quadam vi
nature, si prior viderit hominem tollit ei vocem ut non possit clamare [...]
; ivi, f. 392; ivi, f. 412; ivi, f. 447: avarus
ululat ut lupus; ivi, f. 356.
30 Ivi, S. 49, f. 202: Leo propter vehementiam caloris non solum animal voracissimum, sed libidinosissimum perhibetur [...]; ivi, f. 447: Superbus enim rugit ut leo [...]; ivi, f. 470: Leo enim est animal colericum.
31 Ivi, S. 88, f. 408; S. 68, f. 296: Canes autem eam sibi incorporantes sunt vanitatis amatores et sectatores [...] Canes impudentissimi nescierunt saturitatem [...].
33
Ivi,
S. 24, f. 95 : […] Ne tardes converti ad dominum et ne
differas de die in diem sicut corvus qui semper clamat cra cras [...]. Sulle abitudini del corvo così si
esprime Luca da Bitonto: Levate in celum oculos vestros ad premia iustis
promissa, ut concupiscatis ea et videte sub terra deorsum supplicia
peccatoribus preparata. Hos oculos conatur dyabolus eruere peccatori ad
modum corvi qui primo impetit oculum in cadavere ut nihil cogitet nisi de
vita presenti; ivi., S. 44, f. 178. L’uso di cras ricorre nella raccolta di exempla
di Etienne de Bourbon; cfr. A. Lecoy de la Marche, Anedoctes historiques, légendes et apologues tirés du recueil inédit
d’Etienne de Bourbon, dominicani du XIII siècle, Paris 1877, 19, 86.
Il verso del corvo era stato associato al latino cras (domani) già
nel mondo classico e interpretato come segno di speranza. Nella tradizione
cristiana era diventato invece simbolo di un pericoloso rinvio del momento
del pentimento e della penitenza. L’immagine del corvo torna nelle
prediche di S. Antonio da Padova, cfr. Sermones,
I, 293: Corvus est dyabolus. Filii
corvi sunt peccatores in mortali existentes, paternam nigretudinem imitantes,
e ancora in S. Bernardino da
Siena quando vuole convincere chi è in peccato mortale a confessarsi
subito: Ramentovi che vi confessiate, e non vi indugiate, sempre al
venerdì santo. Cavatevi el corbo di gola che dice Cra, cra! Domane, domane.
La citazione è tratta da L. Bolzoni, La rete delle immagini.
Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Torino
2002, 201-202. L’accidia simboleggiata dal corvo è uno dei sette peccati
capitali; si veda C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali.
Storia dei peccati nel Medioevo, Torino 2000, 78-94. Sul manoscritto
relativo alla simbologia positiva del corvo e sulla sua attribuzione a Ugo
di San Vittore o ad Ugo di Folieto, si veda C. Frugoni, Francesco
e la natura, la predica agli uccelli, in Eadem,
Francesco e l’invenzione delle
stimmate, Torino 1995, 243, 262, n. 68.
39
Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 61, f.
264: Lupus sicut dyabolus transglutire potest multa cibaria sine
abscissione et masticatione. Sic etiam dyabolus incorporat sibi illos qui
non resistunt temptationibus suis. Lo
stesso Antonio da Padova si esprime con dati altrettanto terrificanti nei
confronti del lupo specie quando lo associa ai prelati del suo tempo: Dyabolus
et seculi tyrannus faciunt nostri temporis praelatis sicut lupi piscatoribus
Maeotinae paludis. Dicitur quod veniunt lupi ad loca propinqua piscatorum
et, si dederint eis pisces, non nocebunt eis; si vero non dederint,
corrumpent retia … Sic Ecclesiae praelati pisces, idest animas, quae in
aqua Baptismatis vivunt, dant dyabolo et bona ecclesiastica saeculari
tiranno … Cfr., Sermones, I, 268-269. Sul lupo e
ciò che rappresentava nel Medioevo, si veda G. Ortalli, Lupi genti
culture. Uomo e ambiente nel Medioevo, Torino 1997; F. Cardini, Il
lupo di Gubbio. Dimensione storica e dimensione antropologica di una ‘Leggenda’,
in Studi Francescani 3-4, 1977, 315-343.
40
Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 30,
f. 122: […] Syrene sunt voluptates carnales. De quibus Isaye (XIII):
Syrene in delubris voluptatis;
hec sunt filie moabitarum que filios Israel deceperunt [...]. Cospicua
è la bibliografia sulla sirena e su ciò che essa rappresentava
nell’immaginario medievale. Mi limito al fondamentale studio di E. Faral, La
queue de poisson des Sirènes, in Romania,
LXXIV, 1953, 433-506. Si veda
anche V. H. Debidour, Le bestiaire sculpté du Moyen Âge en France,
Mulhouse 1961, 224-234.
41
Cfr. Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 41,
f. 167: Super aspidem et basiliscum ambulabis etc. Aspis fuit
diabolus in deserto temptando de gula; basiliscus in templo temptando
de vana gloria; draco magnus in monte temptando de avarizia [...]. Sul drago, ivi, S.
17, f. 73; S. 19, f. 81; S. 81, f. 402; S. 89, f. 409:
[…] drago est dyabolus qui peccatorum animas devorat […]; S.
108, f. 535. Sull’importanza della Bibbia nel Medioevo, si veda J.
Voisenet, Bestiaire chrétien. L’imagerie
animale des auteurs du Haut Moyen Âge (V-XI s.),
Toulouse 1994, in part. 29-60.
©2006 Felice Moretti. Il saggio è stato pubblicato a stampa nella rivista «Il Santo», 43, Padova 2003.