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Il nome, gli aspetti archeologici, “A’ppiett” e il tracciato viario.
Il tratturo Metaponto
Il paese di Montalbano sorge su uno dei punti più elevati (
Il suo nome pare abbia un’etimologia latina, ma ha fatto nascere le
teorie più disparate sulle sue origini e il suo significato da parte di
studiosi locali interessati a dare lustro al centro jonico.
Per il Troyli, il nome era derivato dal colore chiaro, tendente al
bianco, dell’argilla dei calanchi, tipici della collina su cui sorge il paese.
In realtà sono diverse le colline dell’entroterra ionico che
presentano un aspetto calanchivo e non è detto che sia sempre stato così:
senza scomodare il mondo antico, già nel Medioevo è possibile che i terrazzi
marini lucani fossero ricoperti di boschi.
Secondo il Flechia, importante filologo e linguista di fine Ottocento,
invece, i nomi dei centri dell’Italia meridionale che finiscono col suffisso –ano
e presentano una chiara etimologia latina denotano un’origine di età
repubblicana (III-II sec. a.C.). In un primo momento questi nomi indicavano le
proprietà fondiarie che appartenevano ad antiche famiglie italiche (gentes)
e successivamente gli insediamenti nati per aggregazione delle abitazioni dei
lavoratori dei medesimi fondi [1].
Il Racioppi si servì di questa teoria, a mio modo di vedere razionalmente, scrivendo nel 1889 che per Montalbano il suffisso “–ano” fu aggiunto al nomen gentilicium Albius. In effetti il gentilizio Albius - così come la forma Albanus [2] - è attestato nell’Italia meridionale [3].
Un ulteriore sostegno a questa ipotesi è fornito indirettamente da
Giandomenico Serra, topografo antichista della prima metà del Novecento. Egli
afferma che quando in epoca romana fu individuato il fundus (latifondo), con una sua precisa forma ed identità,
attribuitagli dal catasto romano e fu confermata, poi, ai fini fiscali
dell’imposta fondiaria dal Digesto
di Giustiniano, l’unità del fundus
sarebbe rimasta intatta «in età barbarica» e per tutto il Medioevo,
nonostante nuovi acquisti, vendite o cessioni di sue parti e nonostante la sua
disgregazione in portiones o la
parcellizzazione in petiae fra più
eredi o nuovi possessori
[4]. Gli appezzamenti, aggiunti o divisi,
conservarono perciò il nome dell’antico fundus da cui erano stati ricavati e di cui continuarono a far parte
per l’unità fiscale di un qualsiasi “fondo”.
Nel Medioevo, ogni petia di
cui era composto il fundus fu
designata con una particolare aggettivazione o con un nome, ma ciò non fu
sufficiente a cancellare «l’unità catastale maggiore», e dunque il nome
originario.
I fundi che avevano
terminazioni in –(i)anus e –(i)acus
(continua Serra) avevano quindi un’origine risalente al nomen
gentilicium, in quanto indicanti la proprietà o una qualsiasi relazione in
rapporto al proprietario, di un antico o del primo possessor
fundi o ancora del caseggiato
costruito sul medesimo. Ritengo che questa ipotesi di lavoro sia molto
interessante e da approfondire in futuro.
Tuttavia esiste un’altra possibile etimologia, da non escludere a
priori, sebbene possa apparire solo provocatoria: la matrice araba. Sappiamo che
i Saraceni, al di là delle scorrerie e delle razzie nell’Italia meridionale,
fondarono degli stanziamenti sul territorio lucano, come ad Abriola, Pietra
Berciata (l’attuale Pietrapertosa), Castelsaraceno, Tursi e Tricarico [5].
L’antica origine di Montalbano, supposta da questi dati linguistici e
da osservazioni topografiche, non era mai stata supportata dal dato certo e
scientifico della ricerca archeologica, almeno fino a questo momento: ma occorre
procedere con ordine.
Il Quilici riferisce che gli archivi della Soprintendenza di Taranto
conservano la notizia di un ritrovamento archeologico avvenuto nel 1952 nei
pressi del centro di Montalbano: si tratta di un oscìllum
[6] fittile a disco, con testa raffigurata a
rilievo.
Si deve ricordare, inoltre, di un recupero avvenuto negli anni Ottanta
nei pressi della via “extramurale” (oggi scomparsa in seguito ad una frana)
di una matrice fittile riferibile ad un busto di divinità femminile sormontata
da un alto pòlos, della quale non si
sa più nulla. Altre matrici del genere, ma più piccole, sembrano essere state
trovate nel corso degli ultimi anni in più punti del centro storico e nei
pressi dell’attuale campo sportivo comunale.
Diverso per tipologia è, invece, l’oggetto rinvenuto diversi decenni
fa presso Palazzo Fiorentini ad opera di un ignaro cittadino, all’epoca molto
giovane: si trattava (perché di essa oggi si sono perse completamente le
tracce) di una moneta romana che aveva incisa, a detta dello “scopritore”,
l’effige di Giano bifronte sul recto e una prua di nave sul verso. In effetti
monete del genere sono state trovate numerose in tutto il territorio
montalbanese e possono far pensare ad una frequentazione romana di età
repubblicana.
Altre “voci” riferiscono di vasetti a vernice nera venuti fuori
durante alcuni lavori in via Roma, all’esterno della “Porta del castello”,
nel centro storico.
Di natura ufficiale, invece, è la scoperta avvenuta presso l’odierno cimitero, sul tratturo Metaponto, di due tombe di epoca romana [7].
Queste le notizie di ritrovamenti archeologici e di documentazioni
ufficiali che, tuttavia, non danno ancora assoluta certezza su una presenza
stabile in età antica sulla collina jonica.
Novità importanti sono però giunte in seguito ad alcuni lavori nel
centro storico. Si tratta di lavori di rinforzo degli argini della collina
franata negli anni Novanta, presso i giardini di Palazzo Fiorentini (“Lungocalanchi”),
e che riguardano nello specifico la parte superiore della stessa rivolta a
valle: su di essa è stata effettuata una sezione verticale superficiale al fine
di potervi inserire delle travi metalliche da coprire successivamente con colate
di cemento armato.
Durante i lavori è venuta alla luce la stratigrafia dell’altura, che
mostrava una fascia scura e continua di humus a circa due metri dall’attuale
piano di calpestio, indizio di frequentazione antica (dato il ritrovamento nello
stesso di frammenti ceramici risalenti all’età antica), posizionata su strati
sovrapposti di terreno vergine e conglomerati, sotto i quali giacevano
molteplici livelli di arenarie.
Dallo strato di humus è venuto fuori del materiale archeologico
greco-romano, che se vogliamo conferma per Montalbano quelli che finora erano
stati solo degli indizi.
Alcuni cocci sono riferibili a ceramica grossolana, dalle pareti sottili
e dal colore arancio chiaro, la cui datazione va probabilmente accostata a
quella della ceramica a vernice nera trovata, in frammenti, nello stesso
contesto: VI-III secolo a.C., secondo quella che è la sua cronologia attestata
nel metapontino.
Tra i cocci rinvenuti, quello di un coperchio, da associare
eventualmente a ceramica comune da cottura: un tipo con pomello a presa
cilindrica dal profilo irregolare, con pareti oblique, morfologicamente simile
ad alcuni esemplari provenienti dal metapontino e da Torre di Satriano, datati
al IV-III sec. a.C. Il colore dell’argilla è ocra.
La stessa tipologia di ceramica da cottura è rappresentata dal
frammento di un recipiente con coperchio, pertinente forse ad una lopades
[8], con orlo breve e sottile, labbro smussato e piccolo battente interno obliquo.
Colore dell’argilla arancio chiaro.
Unguentari
I pezzi più interessanti sono quattro unguentari – o balsamari –
fittili. Gli unguentari sono vasi globulari o affusolati, di dimensioni e
capacità particolarmente ridotte, solitamente usati per contenere profumi,
unguenti, aromi, polveri cosmetiche e forse medicinali. Le origini dell’unguentario
risalgono al IV secolo a.C., ma la sua evoluzione morfologica, dalle origini al
I secolo a.C., presenta una varietà e complessità di soluzioni, tale da
rendere difficile una classificazione assoluta.
Per il piccolo repertorio di soli quattro pezzi ho tenuto conto della
classificazione dei balsamari ellenistici elaborata dalla Forti.
Purtroppo due balsamari sono frammentari, ma in un caso, in base alla
distinzione formulata dalla Forti, si può parlare di tipo IV, caratterizzato da
un corpo globulare o piriforme su alto stelo con piede a ventosa (o ad anello
pieno) e lungo collo cilindrico terminante in un’imboccatura larga con orlo a
sezione triangolare.
Degli altri due balsamari uno ha il corpo centrale più affusolato e
dipinto a vernice nera e può essere considerato tipologicamente una via di
mezzo tra la classe IV e la classe V della Forti - ritenuta una semplificazione
del tipo IV e caratterizzata appunto da un affusolamento del corpo e da una
progressiva tendenza a ridurre la lunghezza del gambo del piede - mentre
l’altro presenta una superficie dall’impasto molto chiaro, dal corpo
centrale globulare e con due anse verticali sulla spalla, da accostare alla
classe IV.
La datazione del tipo IV è compresa tra la fine del IV secolo a.C. e la
fine del III secolo a.C.; per il tipo V si va dall’ultimo quarto del III
secolo a.C. al II secolo a.C.
Tra i reperti anche un rocchetto da telaio greco-romano.
Il rocchetto da telaio di età greco-romana.
Queste scoperte gettano nuova luce sulle origini di Montalbano: mai si
era dimostrata una frequentazione greca sulla collina jonica.
Inoltre, la stessa altura potrebbe essere stata abitata in epoca romana
fino all’età imperiale: le scoperte appena elencate insieme ai ritrovamenti
di età romana - la moneta con l’immagine di Giano incisa, l’oscillum, la presenza delle due tombe presso il cimitero, sul
tratturo Metaponto, indirizzano in tal
senso.
Resta da stabilire la continuità di vita di Montalbano anche attraverso
il tardo-impero e alto Medioevo. Sappiamo, per ora, che Montalbano è stata
sicuramente abitata già in età bizantina.
Allo stato attuale delle ricerche si deve affermare che il centro jonico sia stato frequentato almeno a partire dal VI-IV secolo a.C. fino alla piena età imperiale per poi essere abbandonato in età tardo-imperiale (IV-V secolo d.C.) ed essere rioccupato dai bizantini.
L’esistenza di Montalbano per l’epoca greco-romana può chiarire
inoltre il motivo per cui diverse strade antiche si incrocino nel paese o lo
attraversino ancora oggi in direzione del mare o verso l’interno: si tratta di
tratturi e di mulattiere che erano molto più frequentati di oggi.
Una delle strade più importanti di Montalbano fin dall’antichità (già
dall’epoca greca) era sicuramente il cosiddetto A’ppiett u’ Castìedd (tradotto sommariamente “sentiero in
ripida salita diretto al castello”), oggi abbandonato e degradato, non più
frequentato da alcuni decenni. Questa strada collegava il centro alla vallata
dell’Agri, fertilissima fin dall’Età del ferro, e alla strada che giungeva
dal nord della regione e che costeggiava nell’ultimo tratto l’Agri fino ad Heràkleia: questa arteria in età romana partiva dalla via
Hercùlia, nei pressi di Venùsia
(Venosa, PZ) e proseguiva per Forèntum
(Forenza, PZ), Acerùntia (Acerenza,
PZ) e raggiungeva Caeliànum (Cirigliano?,
MT) prima di arrivare ad Heràkleia.
Nei pressi di Montalbano, tra Caelianum ed
Heràkleia si collegava ad essa A’ppiett
u’ Castìedd che saliva fin su per la collina.
Questa “strada in salita” di sicuro avrà mantenuto la sua continuità
d’uso anche solo come via di transito per la transumanza anche nella tarda
Antichità e, nel Medioevo, probabilmente fiancheggiata da fitti boschi, assunse
un ruolo fondamentale, in quanto collegava direttamente
Il centro jonico possiede un altro A’ppiett,
vale a dire A’ppiett u’ Mulìn’
(sentiero in ripida salita diretto al Mulino), che dall’abitato conduceva (se
vogliamo, ancora conduce, ma è in completo disuso) ad un mulino ad acqua sulla
Valle dell’Agri, ma in questo caso non abbiamo alcuna notizia storica e
archeologica che possa presupporre una sua esistenza nel Medioevo e nel mondo
antico.
Altra via di comunicazione importante per l’economia della zona già
all’epoca dei greci è quella che oggi è chiamata “tratturo Metaponto” (o
tratturo per Pisticci) che collegava Pandosia
(Anglona), Montalbano,
Infine non bisogna dimenticare il percorso che metteva in comunicazione
Montalbano all’abitato del Miglio Federici (d’età ellenistico-romana), alla
Valle d’Ucio (la cosiddetta Valle dei
Greci), presso la quale sorgevano ben tre insediamenti, e ad Andriace, sin
dal periodo ellenistico (se non da epoche precedenti) e protrattosi nel tempo,
senza soluzione di continuità fino ad oggi.
Dunque Montalbano era ben collegato in età antica sia verso il mare sia verso l’interno, mentre nel Medioevo è probabile che perse i collegamenti diretti verso la costa per via dei fitti boschi e della completa insalubrità di tutto il metapontino: l’unica strada in quella direzione sarebbe stata verso Andriace e San Basilio [10].
Secondo il Quilici, invece, Montalbano mantenne un accesso rivolto al
mare che avrebbe condotto direttamente a Santa Maria de Scanzana (oggi Scanzano Jonico).
In conclusione, è possibile che Montalbano abbia avuto una discreta
vitalità fin dalle sue origini (come una semplice fattoria o un insieme di
fattorie oppure come centro abitato) e che probabilmente raggiunse il suo floruit
nel Medioevo, quando assunse un ruolo strategico militare non irrilevante, tanto
da divenire poi una domus con Federico
II.
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«Archeo», Le
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NOTE
1 GIOVANNI FLECHIA, I nomi locali del Napolitano derivati da gentilizi italici, in Atti dell’Accademia delle scienze di Torino. Classe di scienze morali, storiche e filologiche, 10, Torino 1874, pp. 79-134.
2 Questo gentilizio avrebbe una probabile derivazione dal nomen Albius, secondo la normativa dell’onomastica romana (cfr. V. DI STEFANO MANZELLA, Antichità romane. Dispense, Viterbo 1999, pp. 28-43).
3 CIL (Corpus Inscriptionum Latinarum), X, Berlin 1885.
4 GIANDOMENICO SERRA, Contributo toponomastico alla descrizione delle vie Romane e Romee nel Canadese, 1927, pp. 48-276.
5 RAFFAELE LICINIO, Castelli medievali. Puglia e Basilicata: dai Normanni a Federico II e Carlo d’Angiò, Bari 1994, p. 21.
6 L’oscillum è un oggetto discoidale o a forma di mezzaluna, decorato, che può essere in cera, in terracotta, in marmo o in metallo e veniva appeso alle pareti dei templi o sugli alberi sacri per motivi religiosi oppure tra le colonne, sulle finestre o tra gli stipiti di una porta di edifici domestici come apparato decorativo.
7 Ringrazio il dott. A. De Siena, direttore del museo nazionale di Metaponto, per avermi gentilmente fornito questa informazione.
8 Le lopades sono recipienti di medie dimensioni, più o meno profondi, con labbro dotato all’interno di un battente per consentire l’appoggio del coperchio. Si tratta di suppellettile particolarmente adatta alla bollitura dei cibi, ma soprattutto alla cottura in umido e alla realizzazione di pietanze fritte. Datazione: età ellenistica.
9 L. QUILICI, Siris-Heraklea, in Forma Italia, Regio III, I, Roma 1967, p. 232.
10 F. DE LUCA – R. MASTRIANI, Dizionario corografico del Reame di Napoli, Montalbano, Milano 1852.
©2005 Domenico Asprella.