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Era
il giovedì santo dell’anno 1307 quando i “crociati” chiamati da papa
Clemente V misero fine all’avventura dolciniana sul Monte Rubello in Alta Val
Sesia, portando a compimento uno degli episodi ereticali tra i più singolari
del Medioevo ed unico nel suo genere, capace di richiamare uomini, donne e
bambini, provenienti un po’ da ogni dove dall’Italia centro-settentrionale e
dalla Toscana. La loro era una comunità di uomini liberi ed uguali, fondata
sulla comunanza dei beni. Rifiutavano qualsiasi forma di gerarchia e anelavano
ad una riforma, ma sarebbe più giusto dire rifondazione, della Chiesa dal basso
per recuperarla ad un piano puramente spirituale. Privi di ogni logica
conventuale, sostenevano la parità uomo-donna, la libertà sessuale, la venuta
di una società più giusta ed egualitaria, e l'avvento di un nuovo papa santo
espresso da un nuovo ordine di monaci, perfetto perché nella più totale povertà.
La “Chiesa” che professavano era una chiesa priva di ricchezze e potere, che
sapeva parlare alla gente, esprimendosi in volgare e non in latino, priva di
preclusioni, con forti contenuti sociali oltre che religiosi, come la negazione
del giuramento feudale e del pagamento delle decime.
Sui
fatti e avvenimenti che contraddistinsero quella tragica epopea è stato scritto
e molto dovrà ancora essere scritto (pensiamo, ad esempio, ai lavori di Raniero
Orioli e, in particolare, di Corrado Mornese, tanto per citare alcuni degli
studiosi che hanno iniziato un processo
di revisione storico teso recuperare la dimensione autentica di Gherardo
Segalelli e del suo movimento con occhi diversi da quelli di una certa
storiografia tradizionale ed ufficiale). Non è compito mio e non è
quanto mi accingo a fare in questa sede. Quello che mi preme da “non
storico” quale io sono è dare una mia interpretazione personale di ciò
che può aver significato, agli occhi di un contemporaneo di Dante, il messaggio
che uomini come questi andavano in giro a predicare.
L'iniziatore
del movimento Apostolico fu Gherardino Segalello, o Gherardo Segalelli, forse da
Ozzano Taro, intorno al 1260. Tradizione vuole che Gherardino chiese di essere
accolto nel convento dei frati minori di Parma, venendone, però, respinto. Fu
così che vendette i suoi averi, donando il denaro ricavato per iniziare una
vita vagabondante ispirata alla povertà, fatta di assistenza ai malati e ai
bisognosi. Lui e i suoi seguaci, votati alla preghiera e alle elemosine, per differenziarsi dai francescani “conventuali”, si fecero chiamare
“Apostolici” (o “Minimi”), conducendo una vita a imitazione di Cristo e dei primi apostoli ed evidenziare la loro collocazione al livello più basso della scala sociale. Nel convulso scenario sociale dell’Italia centro-settentrionale di quel tempo, quella degli Apostolici conobbe una vasta credibilità popolare, soprattutto nelle città emiliane. Testimonianze storiche di quel periodo, annotate con stupore anche dal frate minore Salimbene de Adam, uno dei più accesi critici dello stesso Segalelli, riferiscono che la gente accorreva ad ascoltare i sermoni di questi nuovi predicatori svuotando le chiese degli ordini mendicanti.
Conducevano
una vita semplice fatta di digiuni e preghiere, vivendo di carità. E la loro
scelta di assoluta povertà, che si traduceva in rifiuto di qualsivoglia
gerarchia, e il loro spiritualismo, intriso di misticismo e nomadismo, erano
visti dal “popolo” come tratti salienti di una comunità libera e aperta,
rinnovatrice del messaggio cristiano. Perfettamente inseriti nelle attese
millenaristiche così diffuse nella metà del Duecento, ispirate dalle profezie
di Gioacchino da Fiore (non a caso il Segalelli comincia la sua predicazione, se
non in concomitanza, poco dopo il movimento dei flagellanti), gli Apostolici
richiamavano al pentimento: la loro massima più famosa e tramandataci era «Poenitentiam
agite» ("fate
penitenza"),
contaminato poi in Penitençagite.
Il loro fu un movimento aperto, capace di accogliere istanze ed
esperienze religiose e sociali diverse, dai valdesi ai gioachimiti, compresi
molti “fraticelli”, quei francescani appartenenti alla corrente
“spirituale” che osservavano alla lettera la Regola ed il Testamento di
Francesco d’Assisi, mantenendo inalterato lo stile di vita originario
predicato dal santo, basato sulla povertà e rinuncia di ogni privilegio.
La cosa che più colpisce, leggendo i processi contro gli
Apostolici negli anni a cavallo tra fine Duecento ed il Trecento, compreso
quello del Segalelli, che decretò la sua condanna al rogo, è che non si
possono individuare accuse specifiche e tali che, sulla base del diritto
canonico e dei decreti pontificali, potessero far delineare apertamente il reato
di eresia, come, ad esempio, per il dualismo dei catari. Il movimento degli
apostolici, infatti, non aveva una vera e propria dottrina e non proponeva
particolari letture e interpretazioni del Vangelo, se non un rapporto più
coerente con il primitivo messaggio cristiano.
I germi di questo atteggiamento ostile da parte delle gerarchie ecclesiastiche
li troviamo nel già citato Salimbene de Adam, la principale fonte storica a
riguardo della vicenda del Segallelli. Nella sua Cronaca egli apostrofa gli Apostolici con tutta una serie di
epiteti ingiuriosi, come porcari, idioti, illetterati, stolti, e,
significativamente, usa come spregiativo anche la parola "laici".
Ed è, forse, proprio questa parola, usata come insulto, la chiave che ci
permette di comprendere tutta la vicenda. Salimbene, infatti, che è un
francescano conventuale, patisce la "competizione"
che gli Apostolici suscitano nei confronti del suo ordine, e ritiene
inconcepibile che dei semplici laici possano parlare di dio. Quella di Gherardo
è invece un’apertura al mondo dei laici: tutti possono annunciare dio senza
bisogno di prendere voti (con duecento anni di anticipo rispetto al
sacerdozio universale predicato da Martin Lutero).
Coglie nel segno poiché,
rispetto ai movimenti pauperistici ed ereticali precedenti, la
vera novità del messaggio di Gherardo, e di Dolcino da Novara poi, il suo
epigono, fu la rivendicazione e affermazione del diritto di ognuno a vivere la
propria esperienza religiosa autonomamente, sostenendo che il rapporto diretto
tra Dio e il cristiano dovesse realizzarsi senza l’intermediazione
ecclesiastica. è questa la “vera”
e, forse, più pericolosa eresia ed è questo il vero senso della frase più famosa che ci è rimasta di Segalello: «poenitentiagite,
quia appropinquabit Regnum Coelorum». Non è un Regno dei Cieli astratto,
ma ben concreto, è una comunione di ideali ispirata alla rinuncia, alla povertà,
per poter incontrare dio che ci viene incontro, non nell’al di là, ma oggi,
nella vita di tutti i giorni: è oggi che si deve agire. La “Chiesa”
di Gherardo è una chiesa che cammina nel mondo a fianco del povero e
dell’emarginato; professa un Dio accondiscendente verso tutti coloro che
vivono in povertà e a imitazione di Cristo. In altre parole è il Vangelo “sine
glossa", il Vangelo di Francesco, senza compromessi, da qui la rinuncia
a ogni pur minima forma di accumulazione e la comunione dei beni, il rifiuto di
qualsiasi gerarchia nella comunità apostolica, e l'eguaglianza tra uomini e
donne, così ben sintetizzato nel rito apostolico della expoliatio
o expropriatio a cui dovevano
sottostare i nuovi fedeli, che, riuniti in cerchio, dovevano disfarsi dei propri
abiti per ricevere come unico indumento un saio fatto di rozza tela di sacco. Un
pauperismo così integrale rese la comunità apostolica una comunità
itinerante, senza nessuna sede fissa, casa o convento e al suo interno non vi
era distinzione di ruoli: tutti i fedeli erano pari e lo stesso Segallelli si
rifiutò sempre di essere riconosciuto come capo o guida spirituale.
Forti sono, dunque, le analogie con Francesco. Anche lui è un cantore, o per meglio dire un giullare, della “semplicitas”, del non possedere nulla, unica condizione possibile per incontrare Dio ed essere liberi dai condizionamenti materiali. Anche nel modo di comunicare con il popolo sono simili: entrambi cercavano di attirare l’attenzione dei fedeli ricorrendo alla teatralità, agli atteggiamenti giocosi, all'uso del volgare per essere capiti dal popolo minuto. Altra analogia con il santo di Assisi è l’importanza che avevano le donne all’interno del movimento (pensiamo al peso che ebbe per Francesco la figura di Chiara). Con Gherardo, però, si va oltre poiché la donna apostolica aveva la stessa dignità e rispetto dei suoi compagni, predicando come loro (emblematica a questo riguardo è Margherita di Trento, figura leader come e assieme a Dolcino nella resistenza di Monte Ribello in Alta Valsesia). Il rapporto uomo-donna conobbe un’evoluzione così spinta tale da non riconoscere come sacramento il matrimonio, sostenendo, piuttosto, una libera convivenza, liberando la donna da quella concezione patrimoniale, tipica per la mentalità di quel tempo, che la riduceva a “proprietà” dell’uomo.
è facile immaginare come una tale concezione fosse ritenuta
scandalosa per la Chiesa romana. Non solo, gli Apostolici affermavano anche che
il corpo non era inferiore rispetto all’anima, ma che ne era unito, negando,
in questo modo, l’utilità della costrizione. Molto più opportuno, piuttosto
che negare la propria natura, era sostenere una libertà consapevole e
responsabile, dove la sessualità assume un valore importante, inteso come
linguaggio, comunicazione, “dell’amore”.
L’unione fisica di una donna e di un uomo (senza la quale non v’è
generazione), era concepita come dono di Dio, del tutto naturale come il
germogliare degli alberi a primavera. La castità, perciò, viene intesa dagli
Apostolici non come un obbligo ma come un gesto volontario, un modo per
perfezionarsi, comunque a discrezione del singolo. Avere
rapporti sessuali è umano, è una condizione assolutamente naturale e come tale
viene considerata, senza complessi, mostrando, in questo modo, una concezione
moderna ma non per questo depravata.
Il mondo umile e povero di Segalello,
il suo rovesciamento dei valori rispetto alla società vigente, è comune a
quello di Francesco. «Seguire nudi il
Cristo nudo» è il messaggio di entrambi. Agli occhi dei suoi
contemporanei, il Segalelli è un secondo Francesco, non
quello consegnatoci dalla tradizione successiva, frutto della rivisitazione
operata da Bonaventura da Bagnoregio, generale dell'ordine francescano dopo
Giovanni da Parma, che emarginò in tutti i modi i francescani “spirituali”,
falsificando la figura di Francesco d'Assisi, privandolo dei suoi contenuti più
innovatori e clamorosi. Il Segalelli, però, va oltre poiché annuncia (e
aspira) ad una chiesa unicamente spirituale, sganciata dal potere temporale
(pensiero che è alla base del moderno concetto di separazione tra stato e
chiesa). La “comunità” apostolica
anticipa anche il principio di uguaglianza moderno ed attuale, così diverso
dalla “dipendenza” in vigore nella società feudale e nella gerarchia
ecclesiale. Predicare l’incontro diretto tra l'uomo e Dio, per la mentalità
dell’epoca, era un atto di libertà estremo: l'unico obbligo che viene
riconosciuto è di tipo interiore, mai esteriore. Tesi, questa che portata nelle
estreme conseguenze, conduceva a ritenere implicitamente superflua
un’organizzazione gerarchica come quella ecclesiastica, intesa come mediazione
tra l’uomo e Dio.
è
questo il motivo principale per cui Gherardo verrà giudicato eretico dalla
Chiesa di Roma nel 1300, anno del primo Giubileo, ben 30 anni dopo l'inizio
della sua predicazione, quando, impegnata più che mai a reprimere il dissenso e
a perseguitare chi criticava il comportamento dei suoi ministri, anche i più
indegni, non poteva certo tollerare una simile ed incomoda presenza. Dapprima,
con papa
Gregorio X (1271-1276), nel 1274 al II Concilio di Lione, si proibì la
fondazione di nuovi movimenti religiosi mendicanti e si stabilì l'obbligo per
quelli esistenti di confluire in organizzazioni ufficialmente approvate dal
clero. Quindi, dato che gli Apostolici ben si guardarono di adeguarsi alle
direttive imposte, sotto Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il
diffondersi della setta, fu promulgata, nel 1286, durante il Concilio di Würzburg,
la bolla papale Olim felicis recordationis,
che ribadiva la condanna del loro movimento, imitato da papa Niccolò IV
(1288-1292), che rinnovò nel 1290 un’analoga sentenza contraria. Ma
non potendo o non volendo contrastare il Segalelli sul piano morale,
l’Inquisizione, che prima aveva cercato di distruggere l’uomo calunniandolo
e facendolo passare per un insano di mente, un esaltato od un rivoluzionario,
per mano dell'inquisitore Manfredo da Parma,
lo processò consegnandolo al braccio secolare.
Significativamente, Gherardo venne arso sul rogo il 18 luglio del 1300, quando
sedeva a Roma sulla cattedra di Pietro un papa, Bonifacio VIII (1294-1303), non
certo tenero con i predicatori “irregolari” e i dissidenti.
Fra' Dolcino in un'immagine di Lorenzo Innaciotti di Romagnano Sesia
Dopo
il rogo del fondatore si scatenò contro gli Apostolici una repressione feroce,
mandando al rogo uomini e donne (i processi di Bologna). Dopo un momento di
sbandamento e incertezza, Dolcino da Novara, con la sua prima lettera, riuscì a riorganizzare le fila
dei fedeli divenendo il capo carismatico
del movimento ed il successore di Gherardo. Dolcino seppe dare un nuovo volto ed
impulso al movimento apostolico, soprattutto quando parla di autodesignazione
degli Apostolici, rendendoli depositari di una nuova missione: la costruzione di
una nuova Chiesa, essere, cioè, promotori non di una “riforma”,
ma della creazione di un cristianesimo essenzialmente alternativo ed innovativo.
Con Dolcino l'opposizione alla Chiesa
romana diviene scismatica e il conflitto si radicalizza. Millenarista, riprende
le profezie e le scansioni temporali gioachimite, collocandole in una nuova
dinamica: per Dolcino il clero è apostata e corrotto; Roma, la nuova
Babilonia, ha tradito l'insegnamento di Cristo. E per questo sarà punita da
Dio; nella sua seconda lettera predice che la gerarchia romana verrà eliminata
nel sangue per mano di un re “provvidenziale”, da lui individuato in
Federico di Sicilia, erede degli Svevi,
visto quale il nuovo grande Federico II. Nell'inverno tra il 1305 e il
1306, Dolcino inviò la sua terza e ultima lettera, in cui annunciava come
imminente la venuta dell'Anticristo e in cui si profetizzava che lui e i suoi
seguaci sarebbero stati portati in paradiso davanti ai patriarchi Enoch ed Elia
per scampare alla persecuzione.
Dolcino
è, soprattutto, famoso per la sua resistenza armata (1305-1307) nelle montagne
dell’Alta Valsesia. Ma Dolcino non fu
qualcosa d’altro, qualcosa di diverso, dal Segalelli, poiché rimase nel solco
indicato dal fondatore del movimento. Anche lui anelava e attendeva l'avvento
del Regno di pace, giustizia e amore, annunciato da Gherardo. Nella vicenda
dolciniana dobbiamo anche stare attenti ad evitare un’alterazione dei
fatti storici: sicuramente non avevano alcuna vocazione guerrigliera (non a
caso, quando nel 1303 le prime repressioni iniziarono nel Trentino, con il rogo
di un uomo e due donne, una delle quali era la moglie del fabbro fra' Alberto da
Cimego, il più autorevole seguace locale di Dolcino, essi abbandonarono quelle
valli, dove potevano contare sull’appoggio della popolazione locale, senza
opporre resistenza alcuna). Quando giunse nel 1304 a Gattinara, le cronache ce
lo descrivono come un predicatore che passava di casa in casa, ben lungi dal
capo guerrigliero che la storiografia ha sempre voluto rappresentare. Solo un
anno dopo, nel 1305, le cronache riferiscono che nell'alta valle i dolciniani
sono divenuti un esercito forte ed agguerrito (alcune parlano addirittura di
4000 ribelli); ma come si sono potuti trasformare dei “predicatori”, con al
seguito donne, bambini ed anziani, in ribelli indiavolati, capaci di compiere
scorrerie e mettere a soqquadro la valle? In realtà, è plausibile ritenere che
i dolciniani si inserirono nelle vicende della comunità montanara dell'alta
valle, allora in lotta con i potenti locali, gelosa delle propria autonomia ed
insofferente verso la politica di espansione dei Comuni e dei Vescovi di
Vercelli e di Novara. I montanari accolsero gli Apostolici e il loro messaggio
evangelico, egualitario e fraterno, così vicino al loro vivere solidale e
comunitario. I dolciniani confluirono nella ribellione montanara e,
probabilmente, ne divennero i dirigenti (come quello che successe, poco più di
due secoli quando Tommaso Müntzer sposò la causa dei contadini).
Dopo
la loro morte atroce, il movimento apostolico comunque non finisce. Nel 1310, il
sinodo di Treviri ribadisce la condanna degli Apostolici; nel 1332-1333 a Trento
si hanno i processi a carico di sospetti dolciniani; nel 1368 il sinodo di
Lavaur ribadisce la condanna degli Apostolici; nel 1374, il sinodo di Narbona
sancisce l'ultima condanna ufficiale. Lo stesso Benvenuto da Imola, nel suo Comentum
dantesco, scritto nel 1376-77, 70 anni dopo la vicenda dolciniana, afferma che
«nelle montagne di Trento, dove Dolcino
diede inizio alla sua eresia, rimangono ancora alcuni seguaci che si tengono
nascosti in luoghi segreti, secondo il costume dei religiosi, chiamati Dolcini».
Da cronache dell’epoca e processi inquisitoriali risulta addirittura una
diffusione del movimento di carattere europeo, con una particolare affermazione
in Germania.
Sui temi dei movimenti ereticali, vedi, in questo sito, la rubrica Medioevo ereticale, a cura di Andrea Moneti.
©2004 Andrea Moneti