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La concessione di Corleone da parte di Federico II ai lombardi di
Oddone de Camerana e la loro adesione quasi immediata al tumulto del Vespro
sono gli eventi che caratterizzano la storia di questa terra nel corso del
XIII secolo ed i cui esiti, gravidi di conseguenze sul piano etnico,
religioso, socio-economico e politico, si protrarranno nel secolo
successivo. Mutamento etnico e religioso innanzitutto poiché ai musulmani
di religione islamica, messi in fuga sulle montagne circostanti Corleone
dagli incalzanti assalti di Federico II, si sostituiscono i lombardi,
cristiani di religione e di fede ghibellina, con ovvie ripercussioni
sull’economia, sulla composizione sociale e sulle scelte politiche
conseguenti. Infatti al villanaggio che caratterizzava il regime delle
terre, i musulmani erano villani ascrittizi, legati cioè al padrone della terra con un vincolo
significativamente riduttivo delle loro libertà personali, si sostituisce
la concessione delle terre con tutti i diritti di possesso; ai lombardi che
trasferiscono la loro residenza a Corleone vengono concesse terre e diritti
di erbatico e legnatico nei boschi demaniali.
Ad un’economia più libera corrisponde una maggiore circolazione
di prodotti e di scambi ed una diversificazione a livello sociale: non
soltanto contadini, ma anche commercianti a medio e lungo raggio.
L’incardinamento dei lombardi a Corleone si riflette
sull’impianto urbanistico dei quartieri della città, mutandone
l’aspetto e ridisegnandone talvolta il tracciato all’interno della sua
cinta di mura. L’adesione sollecita dei lombardi alla rivolta del Vespro,
a quasi cinquant’anni di distanza dal loro arrivo a Corleone, avviava quel sodalizio con Palermo foriero, da un lato di
privilegi economici, i corleonesi venivano infatti esentati dal pagamento di
tutta una serie di tributi, dall’altro di scelte politiche precise come la
successiva adesione ai Chiaromonte, alleanza che in più occasioni nel corso
del XIV secolo avrebbe diviso la città all’ interno, opponendo il
quartiere alto a quello basso, fedele sostenitore del potere regio.
I lombardi dunque costituivano un valido alleato per Federico II nella lotta contro i saraceni, come del resto era già avvenuto in età normanna durante il cancellierato di Stefano di Perche (1166-68), quando, come ci racconta nella sua Historia Falcando, un cronista del XII secolo, ventimila lombardi avevano scacciato i musulmani da quelle città della Sicilia orientale, che successivamente avevano occupato, rilatinizzandole1.
Anche Federico II ricorreva ai Lombardi e con le stesse
motivazioni: lotta ai Saraceni e ripopolamento su base latina degli spazi
urbani lasciati da loro disabitati. E per questo rispondeva affermativamente
alla richiesta del miles
Oddone di Camerana e nel 1237 da Brescia concedeva, a lui ed agli hominibus
de partibus Lombardiae, la terra
di Corleone2.
Questa concessione costituiva dunque la giusta risposta non soltanto alle
esigenze dell’imperatore, ma anche alle necessità di un gruppo, che,
deciso a dare un taglio netto al proprio passato, cercava nuove terre da
abitare e nelle quali esportare e mettere a frutto le esperienze politiche
maturate nelle regioni di provenienza.
In effetti in un primo momento Federico II aveva offerto ad Oddone
ed ai suoi lombardi la terra di Scopello, nel Val di Mazara, e solo in
seguito e su richiesta dello stesso Oddone, poichè il sito non era
risultato sufficiens nec aptus ad
habitandum, lo sostituiva con Corleone3,
terra supramodum dives, populata et
munita e soprattutto
apta hostilibus insultibus ad resistendum opportune4
ed importante nodo viario sia nei collegamenti tra Palermo e Trapani,
attraverso Salemi e Calatafimi, che tra Palermo ed Agrigento.
Lo stanziamento dei lombardi a Corleone, pur con connotazioni
sociali diverse, non avveniva in un unico momento ed in maniera
massiccia, ma gradualmente e
con una certa continuità nel corso del XIII secolo; una fase successiva al
primo impianto lombardo è infatti documentata nel gennaio del 1264, quando
la Curia di Corleone affidava al nobilis vir Corrado di
Camerana, figlio di Oddone, l’incarico super
donandis et distribuendis casalinis pro faciendis domibus hominibus
venientibus habitare Corilionem. Tra gli altri Corrado concedeva
appezzamenti di terra ad Enrico Curto, giunto a Corleone cum
eius familia ed ai suoi
eredi5.
Nella concessione ad habitandum
della terra
di Corleone si precisava che essa apparteneva al demanio e
pertanto non si può parlare di infeudamento, né del resto i de
Camerana vengono mai
indicati come signori della città.
Pur non essendo gli unici ad abitare Corleone, definita «populata» nell’atto del 1264, i lombardi ne costituirono il nerbo
vitale, poichè con la loro partecipazione agli eventi politici successivi,
determinarono l’evoluzione delle sue vicende storiche.
Ma chi erano questi lombardi e da dove venivano? Anche se con il
termine “lombardo” si fa riferimento in modo generico a quanti
erano approdati in Sicilia dalle città e dalle campagne dell’Italia
padana, travagliate da una profonda crisi economica e sociale, i lombardi di
Corleone, diversi per origine geografica e per formazione politica da quelli
stanziatisi nelle altre colonie lombarde intorno all’XI secolo, erano
soprattutto piemontesi, esuli da Alessandria e dalla sua provincia,
come è ampiamente testimoniato dalle fonti documentarie, dove
vengono menzionati con l’indicazione della località di provenienza: de Alexandria, de Salis (Sale),
de Pontecurone, de Vultaggio (Voltaggio), de Ponzono (Ponzone), de Ceva,
de Monte de Vi, de Alba, de
Caramagna, de Coronato (Cocconato)
e più genericamente de Monferato,
ma non mancavano quelli provenienti da città della Lombardia, come Milano,
Pavia, Voghera, Cremona e Brescia6.
Si trattava di una zona che aveva il suo confine più orientale nel Veneto e
quello più meridionale nei centri liguri di Ortovero, tra la riviera ligure
di ponente e la regione piemontese a sud delle Langhe, e di Sarzana, sulla
linea di confine tra la Liguria e la Toscana.
L’evento clou che
connotò definitivamente la storia di Corleone e che legò indissolubilmente
i destini dei lombardi di Corleone a quelli degli altri abitanti
dell’isola in particolare di Palermo, fu la loro adesione immediata e
spontanea alla rivolta del Vespro; avvenimento che avrebbe coinvolto
siciliani, angioini ed aragonesi per circa cento anni ed i cui esiti
sarebbero stati carichi di conseguenze per la stessa vita del Regnum.
I corleonesi, restando fedeli alla causa sveva, avevano mandato le
loro milizie in soccorso a Corradino contro Carlo I d’Angiò, la cui
risposta fu l’invio di 36 milites
e 67 armigeri per presidiare i territori intorno a Corleone, in
particolare le tenute reali alle quali il re Carlo era particolarmente
interessato. Queste erano state ampliate a danno dei corleonesi, cui furono
imposti divieti sull’uso del pascolo e del taglio della legna, riducendo
così quei privilegi concessi loro da Federico II, in particolare ai
lombardi stanziatisi a Corleone7.
Spia del disagio e dello stato d’indigenza in cui versavano i
corleonesi tra il 1270 ed il 1280 è la vexata
quaestio tra l’Universitas di Corleone e l’arcivescovo di Monreale, nata in
seguito al mancato pagamento delle decime ecclesiastiche; questione
conclusasi nel maggio del 1280, quando ad un primo accordo che prevedeva un
pagamento in natura, in verità poco affidabile e pericoloso perchè
suscettibile di interpretazioni diverse, se ne sostituiva un secondo che
fissava il pagamento in denaro e precisamente in cinquanta onze d’oro8.
Lo scoppio della rivolta del Vespro, nel marzo del 1282, vedeva
dunque i lombardi ghibellini di Corleone tra i primi ad aderire con
entusiasmo; nell’ambasceria inviata il 3 aprile alla città di Palermo,
per offrire fedeltà e fraternità, era presente Guglielmo Curto di origine
lombarda. E lombardo, figlio di Oddone di Camerana, era quel Bonifacio,
capitano del popolo di Corleone, che insieme a tremila uomini faceva strage
di gallicos , infierendo su di loro come se ognuno dovesse vendicare la
morte del padre, del fratello, del figlio. E aggiunge Saba Malaspina:iungunt
se simul Lombardi de Corillione cum Panormitanis, ad quod etiam illa tota
contrata una eodemque spiritus furia concitata concurrit, conflunt omnes
sanguinem gallicum sitientes9
In cambio del soccorso portato prontamente a Palermo i corleonesi
chiedevano aiuto per conquistare il castello di Calatamauro, sito nei pressi
di Contessa Entellina, dove si erano rifugiati gli angioini, e che
costituiva una spina nel fianco per Corleone in quanto probabile rifugio in
caso di rinnovate offensive nemiche.
La partecipazione dei lombardi corleonesi alla guerra del Vespro
non fu un episodio isolato: nel 1288 infatti, su invito del re Giacomo,
Bonifacio ed Obberto di Camerana accorrevano in difesa di Marsala, «con
gli uomini di lor terra, sì feroci nel primo scoppio della rivoluzione« a
portare rinforzi a Berardo de Ferro, cui era stato affidato il comando10.
E fatalmente l’ultimo episodio bellico, così come il primo, vedeva
Corleone al centro degli eventi, poiché nel 1302, in seguito allo sbarco di
Carlo di Valois presso Termini, Corleone diveniva centro strategico di
notevole importanza per la duplice possibilità di comunicare sia con
Palermo che con Sciacca.
Ancora una volta si trattò di una partecipazione particolarmente
sentita: i corleonesi infatti tesero un’insidia presso la porta
settentrionale più vicina al castello superiore e dall’alto delle mura
bersagliarono il nemico con pietre e dardi; una donna poi, lanciando un
sasso o un mortaio di pietra, uccideva il fratello del duca di Bramante.
Questa notizia viene riferita, nella Historia
Sicula da Nicolò Speciale, che così descrive l’episodio: atque
in eodem conflictu inter alios frater ducis Brahamantis, qui se bello plus
aliis ingerebat, iactu lapidis, quem mulier quedam
projecit e menibus, inter claustra portarum extinctus est11.
A questo proposito l’erudito corleonese Giovanni Colletto narra che «fu
dato il nome di via del Mortaio alla strada, dove si apriva la via» e che
ai suoi tempi il mortaio era collocato nella sala del Municipio12.
La pace di Caltabellotta, conclusa nell’agosto del 1302, poneva
fine a vent’anni di guerra, almeno momentaneamente, poiché il trattato
assicurò soltanto una precaria tregua; vent’anni durante i quali si era
stretto il sodalizio tra Palermo e Corleone e che avevano visto Corleone in
primo piano in tre momenti particolarmente significativi: nel 1282 a
Palermo, nel 1287 a Marsala e nel 1302 nel suo stesso territorio.
Le nozze stipulate tra Federico III d’Aragona e la figlia di
Carlo II d’Angiò, Eleonora, non riuscirono a consolidare la pace sancita
tra i due regni e la guerra riprese nell’agosto del 1313 quando, dopo
avere aderito alle istanze di Enrico VII, Federico III per ordine
dell’imperatore si accingeva a muovere contro Roberto d’Angiò. E
nonostante la morte di Enrico VII ponesse una battuta d’arresto, la
proclamazione nel parlamento di Messina del 1314, da parte di Federico III
del suo primogenito, Pietro II, ad erede del regno di Sicilia, costituiva
una gravissima infrazione al trattato di Caltabellotta, in virtù del quale
alla morte del re di Trinacria ai suoi eredi sarebbe stato assegnato un
altro regno, poiché la Sicilia era considerata dominio personale di
Federico III.
La guerra dunque riprese con alterne vicende ed agli scontri armati
si succedettero momenti più o meno lunghi di tregua, a volte rispettata
altre volte infranta sia dall’una che dall’altra parte. Corleone fu
coinvolta in più occasioni: nel 1316, quando gli angioini si diressero con
la loro armata verso Marsala, Salemi e Palermo, le truppe corleonesi
combatterono a fianco di quelle palermitane ed il territorio corleonese
venne devastato, furono bruciate le messi ed il paese fu ridotto alla fame13
ed una seconda volta nel 1325, quando la flotta angioina al comando del duca
di Calabria, primogenito di Roberto d’Angiò, puntò su Palermo. Anche in
questa occasione gli angioini non riuscirono ad avere la meglio e a distanza
di un mese circa si ritirarono a Marsala e, dopo avere attraversato
Risalaimi, Corleone e Salemi, le truppe di terra si riunirono alla flotta14.
A distanza di dieci anni, nel 1335, una spedizione angioina
composta da 60 galee e 1000 cavalieri, tra i quali 100 fiorentini, come
riferisce Nicolò Speciale, si accingeva a sbarcare a Brucato, sulla costa
occidentale siciliana tra Termini e Cefalù15.
Ancora una volta Corleone si trova impegnata in prima persona, come si
evince indirettamente da un accenno di Michele da Piazza16
e come è testimoniato, con maggiore dovizia di particolari, da una
pergamena del Tabulario di Santa Maria del Bosco di Calatamauro, dalla quale
si apprende che il castello superiore di Corleone veniva rifornito di armi e
viveri per sei armigeri in occasione dell’adventu
infellicium hostium qui in Sicilia eorum malo omine applicaverunt, ad opera di Pietro de Pontecurono, mercante ed imprenditore di origine
lombarda, stabilitosi a Corleone intorno al 1285, proprio gli anni della
rivolta del Vespro17.
Nella pergamena sono descritti in dettaglio l’armamento fornito
agli armigeri, i viveri e la durata del periodo di rifornimento; Pietro de
Pontecurono infatti aveva fatto portare al castello armi per sei servientes (consistenti in coracias
sex, corgerias sex, capellinas sex, balistas sex, centinaria quadrolorum sex) e 12 salme di frumento, aveva fatto riempire d’acqua la cisterna del
castello e soprattutto s’impegnava a consegnare altre armi e vettovaglie
qualora fosse stato necessario. I rifornimenti vennero lasciati al castello
a disposizione serviencium... a dicto
adventu hostium usque quo ipsi infellices hostes eorum malo omine de Sicilia
et terre Brocati infeliciter recesserunt.
La morte di Federico III, il 25 giugno del 1337, non poneva fine ai
problemi che avevano travagliato il Regno, anzi il continuo ed esasperante
stato di guerra con gli angioini aveva messo in evidenza una condizione
endemica di lotta strumentalizzata dalla classe feudale, che ogni giorno di
più andava dilatando i suoi spazi a danno dell’autorità regia. La
situazione non migliorò durante gli anni ‘40 del Trecento, poichè alle
guerre esterne si aggiunsero quelle intestine che portarono in alcuni casi a
veri e propri episodi di guerra civile.
Il rientro a Palermo di Giovanni Chiaromonte (bandito da Federico
III in seguito al ferimento di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci) a
circa sei mesi dalla morte del re su invito della Magna Curia (che gli
restituiva la contea di Modica e condannava il Ventimiglia) e l’allenza
con un’altra potente famiglia siciliana, quella dei Palizzi, rientrati in
Sicilia dopo lunghi anni di esilio nel 1348 dopo la morte del duca Giovanni,
faranno culminare l’insurrezione della città nell’episodio
dell’assedio del castello di Vicari; episodio che con il pretesto di una
rivolta contro gli stranieri, questa volta i catalani, opponeva fazione a
fazione al grido di Morano li Catalani e Viva
Palici et Claramunti , poichè i sostenitori dei Chiaromonte non
sfogavano le loro ire soltanto sui Catalani, ma anche sugli stessi siciliani
nemici dei Chiaromonte e fautori del ripristino dell’autorità regia, vero
bersaglio della sommossa.
Preludio a questi eventi si devono interpretare i disordini
avvenuti a Palermo tra il 1339 ed il ‘40 sollecitati dalla carestia che,
seppure endemica in alcune città siciliane come Messina, non aveva ancora
assunto toni così allarmanti a Palermo. In effetti tra il 1340 edl 1341
alcuni provvedimenti erano stati presi da Manfredi Chiaromonte, figlio di
Giovanni senior, regio siniscalco
e capitano di Palermo, che acquistava 600 salme di frumento e vietava
(tramite uno dei giurati inviato dall’università e dal pretore) alle
terre ed ai casali dell’hinterland
palermitano, tra i quali Corleone, di portare frumento alle
spiagge e di esportarlo se non dopo il raccolto ed in ogni caso dopo essersi
assicurati del rifornimento della città18.
Probabilmente alle cause delle sommosse degli anni ‘39-’40 si
devono fare risalire gli episodi di guerra civile scoppiati a Corleone tra
opposte fazioni, concretizzatisi nell’opposizione del quartiere alto, di
fedeltà chiaromontana, a quello basso, episodi documentati in alcuni atti
inediti del Senato della città, in uno scambio di lettere tra l’Universitas di Palermo e quella di Corleone nell’agosto del 134119.
L'ostilità tra
quartieri non era un fatto nuovo né limitato a Corleone, già negli anni
trenta del Trecento, si verificava in
altri centri lombardi, come San Fratello e Nicosia, in lotta tra loro per la
conquista di una maggiore fetta di potere all’interno
dell’amministrazione municipale; a Corleone la rivalità andava al di là
degli orizzonti municipalistici, per aderire alla causa chiaromontana ed al
partito angioino in opposizione al potere regio sostenuto dai Ventimiglia.
A questo tipo di conflitti si può fare risalire la prima diaspora
di lombardi corleonesi verso Palermo, tra il 1333 ed il ‘34, in
particolare nel quartiere del Cassaro, il più antico tra quelli
palermitani, che proprio in quegli anni cominciava a svuotarsi, perchè i
suoi abitanti cercavano scampo verso la campagna come si può leggere tra le
righe del privilegio che concedeva la cittadinanza palermitana e i diritti
relativi a coloro che avessero ripopolato il quartiere20.
Il Cassaro non era l’unico quartiere scelto dai corleonesi per
trasferirsi e fissare la residenza, infatti la loro presenza si espandeva da
un lato verso il Seralcadi e dall’altro verso l’Albergheria. Gli atti
della città di Palermo ci testimoniano della vendita di una casa, avvenuta
nell’agosto del 1333, da parte di Benvenuta di Corleone, vedova di Giacomo
di Corleone, cittadino di Palermo, ad un’altra vedova, Isabella de
Barbera; si trattava di una casa terranea,
sita nel quartiere Seralcadi,
arricchita da un cortile nel quale si trovavano un forno ed un albero di
arance21.
Nel quartiere dell’Albergheria, in contrada ecclesie sancti Iohannis de Tartaris, erano ubicati il fondaco e le
case, una coperta e l’altra scoperta, che nel settembre del 1337 il
corleonese Guglielmo de Monte Aguto,
cittadino di Palermo, e sua moglie Rosa concedevano dietro corresponsione di
un censo annuo, ad un loro concittadino il quartararius
Luca de Senisio22;
sempre nell'Albergheria si era trasferito da Corleone Giacomo Binelli che,
nel maggio del 1342, faceva richiesta della cittadinanza palermitana al
pretore di Palermo, il nobile Giovanni Tagliavia, poiché vi aveva fissato
la sua residenza insieme alla moglie e cum
tota familia23.
E d’altro canto la presenza corleonese nel quartiere era già attestata
nel 1328 dal notaio Giovanni de
Cisario, che non solo vi abitava, ma era il magister
xurte del quartiere, come risulta dall’elenco degli ufficiali della
città24.
Non erano soltanto i conflitti interni a spingere i corleonesi a
trasferirsi a Palermo ed a richiederne la cittadinanza, ma si può parlare
di un vero e proprio fenomeno di pendolarismo tra Corleone e Palermo, poiché
se da un lato Corleone rappresentava il centro di produzione agricolo,
dall’altro lato Palermo costituiva per i corleonesi il referente cittadino
e lo sbocco al mare. Numerosa è la documentazione notarile relativa ad atti
di compravendita di derrate alimentari, formaggi, carni e relativo trasporto
da Corleone a Palermo, un esempio per tutti il fondaco che Carlino de Nazano,
lombardo di Corleone,civis Panormi,
gestiva insieme alla moglie Margherita e che riforniva di formaggi e carni
salate acquistati a Corleone dal vaccaro Guglielmo de Randazzo (1342)25.
A Palermo i lombardi di Corleone mandavano i figli ad imparare un mestiere
presso magistri
lombardi, come nel caso di Baiamonte de Crissuta che impiegava il
figlio Giacomino, per quattro anni, presso il fabbro, mastro Matteo Lombardo26,
o quello di Ricca di Corleone che metteva a servizio il figlio quindicenne
Perrono, come bovaro, presso il palermitano Guglielmo di Barbera27.
Palermo inoltre era punto di transito e d’incontro di lombardi provenienti
dalle altre terre lombarde di Sicilia, come Nicosia, Aidone e Piazza.
Nell’agosto del 1341 uno scambio di lettere tra l’Universitas
di Palermo e Corleone testimonia la presenza di un focolaio di guerra tra
gli abitanti; in una prima lettera inviata al baiulo, ai giudici, ai giurati
ed agli uomini di Corleone, si rendeva noto che era giunta fama
di un detestabilis furoris
e che cotidie bellum civile preparare e pertanto si comunicava che il
capitano della città, il magnifico et
egregio domino Manfrido comite Claromonte regni Sicilie senescalco ac iusticiario, aveva deciso di inviare
come nuncium specialem
il miles Abbo Barresi, probabilmente
per verificare la veridicità della notizia28.
Con un'altra lettera Manfredi Chiaromonte comunicava al re, Pietro II, che i
corleonesi cotidie adversus se ipsos
invicem bellum detestabile peragebant e la decisione di inviare il miles
Abbo
Barresi a far da paciere29.
Il 23 agosto il capitano di Corleone, il
miles Riccardo de Manuele di Trapani, faceva presente che i
corleonesi non desistevano dai loro eccessi e che si temeva che la sommossa
si potesse estendere aliis terris
proximis con esito ruynosum, dal momento che la missione del nobile Abba Barresi,
inviato per riportarli ad una situazione di pacifico
statu, aveva avuto esito negativo30.
A seguito di questa comunicazione l'Universitas
di Palermo consigliava al re, con un’altra lettera, di disinteressarsi
della questione fintantoché i corleonesi avessero perseverato nella loro fatua
presumpcione31.
Quale fosse stato
l'atteggiamento assunto dal re, relativamente a questi fatti, e quale la
conclusione di questi eventi, che costituivano materiam scandali, non c'è dato sapere, né i documenti sono più
espliciti sulle cause di questa rivolta; possiamo però avanzare l’ipotesi
che i motivi non fossero riposti soltanto in problemi a carattere locale o
di tipo municipalistico, ma fossero di portata ben più ampia, se il
capitano di Corleone, temeva che la rivolta si potesse propagare ad altri
centri prossimi, forse quegli stessi - Prizzi, Cammarata, Ciminna e
Castronovo - ai quali qualche anno più tardi si rivolgeranno i Chiaromonte
nel richiedere aiuti nella lotta contro i Catalani.
E la fatua presumpcione che in quel momento istigava alla rivolta e dalla quale veniva messo
in guardia il re, non era spia di una precisa presa di posizione a favore
dei Chiaromonte e contro il potere regio?
La fedeltà corleonese alla causa chiaromontana si rinnovava
infatti a distanza di qualche anno, nel 1348, con l’adesione alla parzialità
latina cui facevano capo
anche i Palizzi, appena rientrati dall’esilio dopo la morte del duca
Giovanni, di contro alla parzialità
catalana, raccolta intorno a Blasco d’Alagona; e non si trattava di
una ribellione contro lo straniero, di un altro Vespro, questa volta
anticatalano, ma di una guerra civile che opponeva ai sostenitori dell’autorità
delle grandi famiglie, quelli dell’autorità regia, messa in crisi dalla
morte del duca Giovanni e dalla giovane età di Ludovico.
Di nuovo la rivolta palermitana si diffondeva a macchia d’olio
coinvolgendo i centri del Val di Mazara, Prizzi, Castronovo, Cammarata,
Ciminna, oltre naturalmente Corleone, poichè uno degli episodi più
rilevanti riguardava il
castello di Vicari, dove si erano asserragliati i catalani che erano
riusciti a sottrarsi con la fuga all’impeto dei palermitani. La vicenda è
ampiamente documentata negli atti della città, dai quali traspare però un
atteggiamento ambiguo nell’apportare aiuti, come del resto dimostrano le
reiterate richieste da parte dell’Universitas.
Ma seguiamo l’evolversi dei fatti fin dalle prime battute: il 12 febbraio
del 1349 l’universitas di Palermo scriveva a quella di Corleone perchè fossero
inviati in aiuto al castello ed alla terra di Vicari, assediati dai
catalani, 15 cavalieri e 30 fanti; la stessa richiesta veniva rivolta il 15
maggio a Corleone, a Castronovo e a Cammarata32.
Non avendo avuto alcun riscontro il 2 ed il 9 giugno ed il 9 luglio lettere
più perentorie venivano inviate a Corleone e agli altri centri, tra i quali
questa volta anche Prizzi e Ciminna, e si giungeva anche a minacciare
rappresaglie in caso di inadempimento33.
Sulla vicenda cadeva il silenzio sino al 6 ottobre, quando gli
aiuti venivano sollecitati questa volta in soccorso del castello di Cefalà34.
Non si sa se alla fine i fanti e i cavalieri fossero stati mandati dai
centri del Val di Mazara, si sa invece che Manfredi Chiaromonte inviava a
Corleone 10 balestrieri genovesi, in
subsidium regiorum fidelium superioris capitanei dicte terre, ad confusionem
hostium male eorum omnium degentium tunc in capite inferiori35.
Probabilmente il riaccendersi di focolai di guerra tra il quartiere
superiore e quello inferiore, tra la fazione chiaromontana e quella regia,
era una delle cause del ritardo nell’aderire all’invio di aiuti da parte
dei corleonesi, impegnati a risolvere tali contrasti e soccorsi a loro volta
dai balestrieri genovesi.
Capitano delle truppe palermitane all’assedio di Vicari era il
lombardo corleonese Gandolfo de Pontecorono, che nell’anno successivo
ricoprirà la carica di pretor urbis
Panormi36,
la più alta nell’ambito dell’amministrazione cittadina, già occupata
nel 1329 da un altro membro della famiglia: Guglielmo. Le vicende dei
Pontecorono sono emblematiche degli intensi rapporti tra i lombardi di
Corleone e Palermo e dell'intensificarsi dei nessi politici in due momenti
particolarmente significativi della storia del Regno.
Originari di Pontecurone, nei pressi di Tortona (provincia di Alessandria), i Pontecorono costituiscono un caso particolare nella tipologia delle famiglie lombarde trasferitesi a Corleone, perchè i loro iniziali commerci erano legati al mare più che all’hinterland agricolo. La prima notizia, intorno agli anni del Vespro, ci informa dei rapporti commerciali intrattenuti, tra Corleone e la Toscana, da un certo Bertolino de Coriliono, habitator Pisarum, giunto in Sicilia, non solode suis mercimoniis pertractandis... ut mercator, ma anche a compiere atti di pirateria nel Canale di Sicilia, in mari Pantalarie, a capo di una galea armata de gente Pisanorum37.
Intorno ai primi anni del Trecento avveniva
il definitivo trasferimento a Corleone con
Pietro, homo novus
della famiglia, che spostava gli interessi economici dal mare
alla terra e, attraverso un'abile politica d’investimenti finanziari,
nell'acquisto di beni, urbani ed extraurbani -case, vigne, mulini-, legava
il suo destino e quello familiare alla città e ad un quartiere, quello di
San Giuliano, dove era ubicato il palazzo di famiglia, l’hospicium
magnum, e dove possedeva più di cinquanta immobili38.
Attraverso le consuete vie di consolidamento
delle risorse economiche, da mercante ed usuraio, Pietro, si inseriva nella
gestione politica di Corleone, trovandovi una precisa collocazione. Per due
trienni (1324-26/1334-37) ricopriva la carica di giudice, raccoglieva i
fondi per la ricostruzione del ponte di San Marco, in qualità di sindicus
et procurator, su incarico dell’Universitas
di Corleone39
e partecipava attivamente agli avvenimenti politici quando, in occasione
della conquista angioina di Brucato, riforniva il castello superiore di
Corleone di armi e viveri40.
La sua escalation sociale
nell’ambito della comunità corleonese emerge anche dai termini con i
quali è designato nelle carte notarili:
syr,
discretus vir, che ci testimoniano della reputazione della quale godeva,
ma il salto di qualità e l’incardinamento a Palermo avveniva con Gandolfo.
Notaio e giudice a Corleone, tra il 1323 ed il 1331, Gandolfo, divenuto miles, approdava a
Palermo, dove la sua dichiarata fedeltà ai Chiaromonte ed alla parzialità
latina, in occasione del Vespro anticatalano, gli procuravano nel 1349 la
nomina a capitano delle truppe palermitane in difesa del castello di Vicari
e nel 1351 l’incarico prestigioso di regius
pretor felicis urbis Panormi.
In qualità di pretor
Gandolfo continuerà ad avere un ruolo attivo nei rapporti con
Corleone ed a sostenere l’interesse dei corleonesi a Palermo, come emerge
dagli atti del Senato di questi anni, dai quali risulta come, tra le altre,
avesse perorato la causa del genero, Gugliotta de Craiatore,
accanito sostenitore dei catalani, in una disputa contro Giovanni de
Avisali di Corleone, fautore dei Chiaromonte, dimostrando come la sua
appartenenza alla fazione chiaromontana non gli impedisse di difendere gli
interessi dei corleonesi e dei familiari41.
Si profila così l’appartenenza ad opposte
fazioni nell’ambito della stessa famiglia e Corleone si offre nella
contrapposizione tra quartiere alto, di fedeltà chiaromontana, a quello
basso, fedele al re, come un microcosmo nel quale si riflettono conflitti di
più ampio respiro tra i sostenitori del rientro della Sicilia nella sfera
d’influenza angioina e quelli dell’autorità regia, che tornava ad
appoggiarsi alla parzialità catalana per restare fedele all’ideale
dell’indipendenza.
Nell’ottobre del 1353 la rivolta
anticatalana si spegneva e le parti stremate dalla fame giungevano ad una
tregua e ad un successivo accordo. La conclusione di questa vicenda vedeva
Corleone, almeno nella sua parte chiaromontana, allontanarsi da quegli
ideali del Vespro che l’avevano vista insorgere per prima accanto a
Palermo contro lo straniero.
La storia di Corleone continuerà a ruotare
negli anni a venire nell’orbita della politica dei Chiaromonte, coinvolta
com’è con le vicende personali di questa famiglia, anche se è difficile
trovarne tracce nella memoria collettiva, poiché dal 1351 la documentazione
della città di Palermo tace per riprendere, nel 1392, con l’arrivo dei
Martini.
E in questo vuoto documentario si riflette la condanna all’oblio, da parte del duca di Montblanc, di tutto quanto concerne le scelte politiche delle grandi famiglie siciliane negli anni del Vicariato ed anche sulle vicende di Corleone in questi anni cala il sipario.
*
Edito in Corleone.
L'identità ritrovata, a cura di A. G. Marchese, Milano 2001, pp.
26-37.
1
U. FALCANDO,
Historia
o Liber de Regno Sicilie, a cura di G. B. Siragusa, Roma 1897, p. 155.
2
J. L. A.
HUILLARD-BREHOLLES,
Historia
diplomatica Friderici secundi, t.
V, pars I, p. 128.
3
Ivi, p. 129.
4
HUILLARD-BREHOLLES,
Historia
diplomatica cit., t. VI, 2, p. 696.
5
A.S.Pa. Tabulario di Santa Maria del Bosco di Calatamauro (d’ora in
poi Tab. S.ta M.B.C.) perg.1, pubblicata parzialmente e in data 1263 da
G. BATTAGLIA, Diplomi inediti, in Documenti
per servire alla Storia di Sicilia, Palermo
1896, I serie, vol. XVI, fasc. I, parte I, pp. 191-192; interamente edita
nell’appendice di un mio precedente saggio su Una
famiglia “lombarda” a Corleone nell’età del Vespro, in Mediterraneo Medievale. Scritti in onore di Francesco Giunta, a c. del Centro di Studi tardoantichi e medievali di Altomonte,
Soveria Mannelli 1989, vol. III, pp. 913-952. Sull’insediamento di
nuclei lombardi a Corleone si veda I. PERI, Uomini,
città e campagne in Sicilia dall’XI al XIII secolo, Bari 1978,
pp. 148-49 e p. 312 n. 5.
6
ASPa.,
Tab. S.ta M.B.C., Guglielmo di
Alessandria perg.49; Saymus
barberius
de Alexandria perg.
54; Enrico
de
Alexandria pergg. 100,
103; Musso de Alexandria perg.
108; Giovanni
de Alexandria pergg. 129, 205;
Princivali
de Alexandria perg. 210;
Anselmo de Alexandria perg. 202;
Francesco
Grasso di Alessandria pergg. 223, 225. ASPa., NOTAI DEFUNTI, notaio
Salerno de Peregrino, reg.2,
f. 36r. Obberto
de Alexandria di Corleone. ASPa., Tab. S.ta M.B.C.,
Giacomo de Salis
pergg. 102, 204; Gubbiernerius de Salis perg.
207;
ASPa., N.D., notaio Salerno de
Peregrino, reg.3,
f. 21r. Guglielmo
de Salis, lombardo; Acta
Curiae Felicis Urbis Panormi, Registri di Lettere Gabelle e Petizioni,
a cura di F. POLLACI NUCCIO e D.
GNOFFO, I, Palermo 1982, notarius Bondius de Salis p.31.
Sulle origini e le vicende familiari dei
Pontecorono si vedano alcuni miei saggi: Una
famiglia “lombarda” cit.; La
borsa di un usuraio: Pietro de Pontecorono mercante corleonese, in
Aspetti e Momenti di Storia della
Sicilia (sec.IX-XIX), Palermo
1989, pp. 65-78; inoltre per quanto riguarda le proprietà fondiarie: Strutture
urbane e società a Corleone nel XIV secolo, in LA MEMORIA, 7,
Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di
Palermo, 1993, pp. 75-95; ASPa., Tab. S.ta M.B.C., Anselmo
de Vultaggio pergg. 159, 241; Obberto
de Ponzono pergg. 108,
135, 142, 237 e 239; mastro Rofino
de Ponzono perg. 525; Facio de Ceva perg. 158;
Guglielmo de Ceva
perg.175;
ASPa., N.D., notaio Salerno de Peregrino, reg. 5, f. 118v. Gilberto de Ceva; Raimondo de
Monte de Vi perg. 49;
Guglielmo de Monte de Vi perg.
216; Giordano de Alba perg.
18; Francesco de Alba pellipario,
perg. 142; Acta Curiae Felicis Urbis Panormi, Registri di Lettere
(1321-22 e 1335-36), 6, a cura di L. SCIASCIA, Palermo 1987, Pagano Longo de Caramagna de Coriliono, doc. 165, p. 279; ASPa., Tab.
S.ta M.B.C., Sullo de Coronato,
notaio, perg. 138; Guglielmo de
Coconato, notaio, perg. 201; Aycardo
de Monferato, perg. 86.
7
G. COLLETTO, Storia della città di
Corleone, Siracusa 1934, p. 46.
8
Ivi, pp. 47-52.
9 Historiae Sabae Malaspinae, continuatio ab anno MCCLXXVI ad MCCLXXXV, in
Bibliotheca scriptorum cui res in
Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, a cura di R. GREGORIO,
II, Palermo MDCCXCII, pp. 357-358.
10
M. AMARI, La
guerra del Vespro siciliano,
a cura di F. Giunta, Palermo 1969, I, p.421.
11
N. SPECIALE, Historia
Sicula, in Bibliotheca
scriptorum cit., I,
libro VI, cap. VIII, p. 447. Nell’anonimo Chronicon
Siculum, in Bibliotheca cit., II, cap. 70, p. 180, si parla dell’assedio di Corleone,
ma non dell’intervento femminile: Et
euntes ad terram Corilioni, obsiderunt eam, et tenuerunt eam obsessam
diebus XVIII infra quos proeliaverunt pluries
terram ipsam acriter, et in uno ex dictis proeliis interemtus
fuit ab hominibus ipsius terrae Corilioni inter alios Dominus...
qui erat
de dicto esercitu dicti Regis Caroli, completis dictis XVIII diebus,
multum ignominiose recesserunt de dicta terra Corilioni, et iverunt
abinde ad dictam terram Saccae...
13
R. GREGORIO, Considerazioni sopra
la Storia di Sicilia dai
tempi normanni sino ai presenti, ristampa, introduzione di A.Saitta,
Palermo 1972-73, libro IV,
cap.I.
14
I. PERI, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne 1282/1376, Bari
1990, p. 98.
15
SPECIALE, Historia sicula, in Bibliotheca
cit.,
libro VIII, cap. VI, p. 502.
16
M. DA PIAZZA, Historia Sicula,
in Bibliotheca cit.,
I, pars I, cap. XV, pp. 544-45.
17
A..S.P., Tab.S.ta
M.B.C., perg. 234 edita da H.
BRESC in Brucato, Histoire et archéologie d’un habitat médiéval en Sicile, sous
la direction de J. M. Pesez, Collection de l’Ecole Francaise de Rome-78,
Rome 1984, pp. 82-83; sulla conquista di Brucato da parte degli Angioini
si leggano le pp.52-55.
18
PERI, La Sicilia cit.,
p.160.
19
Archivio del Comune di Palermo, Atti
del Senato, vol. XIII, docc. inediti 85, 86, 88, 92, 93.
20
M. DE
VIO, Felicis et fidelissimae urbis
panormitanae privilegia, Palermo MDCCVI,
p. 138.
21
M. S. GUCCIONE, Le imbreviature del notaio
Bartolomeo de Alamanna a
Palermo (1332-33), Roma
1982, doc. 355, pp. 501-03.
22
A.S.Pa., N. D., notaio Salerno de
Peregrino, reg.4, f. 49 r.-v.
23
A.C.Pa., Atti del Senato,
vol.XIII, ff.69r.-70v.
24
Acta Curiae Felicis Urbis Panormi, Registri di Lettere ed atti
(1328-1333), 5, a cura di P.
CORRAO, Palermo 1986, doc.
I p. 4, e doc. 5 pp. 9-17. Inoltre su Giovanni Sizario e sull’alterco col miles
Giovanni Aiello si leggano le pp. XXVII-XXIX dell’introduzione e n.
28, p. XXIX.2
25
ASPa., N.D., notaio
Salerno de Peregrino, reg. 3, ff. 38v.-39r., la spesa ammontava ad 11
oz. e 10 tr. che Carlino si impegnava a pagare entro il mese di marzo.
Il documento è datato 7 settembre 1342.
26
A.S.P., N.D., notaio
Salerno de Peregrino, reg.5, f.116r.
27
GUCCIONE, Le
imbreviature cit., doc. 356,
pp. 503-504. Il compenso per un anno era di 26 tr. e 3 tumuli di
frumento al mese, oltre ai vestiti che, nel doc., vengono specificati
in dettaglio. Il doc. è datato 17 agosto 1333.
28
A.C.Pa., Atti del Senato, vol. XIII, doc. 85.
29
Ivi, doc. 86.
32
ACTA
CURIAE FELICIS URBIS PANORMI, Registri
di Lettere (1348-49
e 1350), 8, a
cura di C. Bilello e A. Massa, introduzione di L. Sciascia, Palermo 1993,
docc. 78, 135, 136, 137.
33
Ivi, docc. 145, 146,
147, 155, 176, 177, 178, 179.
34
Ivi, doc. 232.
35
Ivi, doc. 272.
36
Ivi, docc. 89, 90.
37
Relativamente ai Pontecurono si veda il mio saggio:
Una famiglia "lombarda"
cit.,
in particolare p. 919.
38
Su Pietro de Pontecorono oltre al già citato saggio si veda MIRAZITA,
La borsa di un usuraio: Pietro de Pontecorono cit.; inoltre
relativamente ai beni urbani ed extraurbani: EAD., Strutture
urbane e società cit., pp. 75-95.
39
MIRAZITA, Siciliani e lombardi
cit., p. 109.
40
Cfr. nota 17.
41
ACTA CURIAE
cit., 8, doc. 91.
©2004 Iris Mirazita