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Le fonti
La
storia di Matilde di Canossa venne narrata in forma epica dal monaco Donizone
di Sant’Apollonio di Canossa; fu questa la fonte principale spesso ripresa da
letterati e storici, composta presumibilmente tra 1111 e 1112 e terminata
subito dopo la morte di Matilde. Appassionato sostenitore dei Canossa, Donizone
nel suo poema fa narrare in prima persona alla rocca le gesta dei suoi signori:
nel primo libro raccontando degli avi, nel secondo concentrando l’attenzione
su di lei, la contessa, donna bella, capace e colta, che «conosce il
linguaggio dei Teutoni / e sa anche parlare la garrula lingua dei Franchi;
amministra i Longobardi, li governa e li fa grandi»; una donna raccontata in
toni ammirati nelle sue qualità di amministratrice del territorio, di
mediatrice tra il papa e l’imperatore, di decisa antagonista del cugino
Enrico
IV e della ribelle Mantova, un tempo capitale di famiglia.
La lapide della tomba di Bonifacio di Canossa
Figlia di Bonifacio di Canossa e di Beatrice di
Lorena, Matilde nasce intorno al 1046 con il destino già scritto: governare il
vasto dominio familiare comprendente la marca di Tuscia, i ducati di Modena,
Reggio e Mantova, nonché vasti territori di Parma, Brescia, Bologna e del
Veronese, e la città di Ferrara, dapprima insieme alla madre, poi dal 1076,
anno della morte di quest’ultima, da sola. Il padre viene ucciso a tradimento
nel 1052, e negli anni successivi scompaiono anche i fratelli Federico (unico
maschio) e Beatrice, lasciando a Matilde un’eredità complessa ed eterogenea.
Matilde di Canossa in una miniatura di un codice trecentesco della Vita Mathildis di Donizone (Bibl. Vaticana, mss. Turri E52, c. 1r.)
Matilde è a questo punto protagonista assoluta del tentativo di riconciliazione tra il papa e l’imperatore (di cui è seconda cugina), tentativo estremo di fedeltà alla politica filoimperiale dei suoi avi: lo dimostra nel 1077 l’incontro organizzato a Canossa che, al di là dell’enfasi data all’umiliazione subìta da Enrico e al di là della drammatizzazione imposta dall’importanza dell’evento, rende possibile – proprio attraverso la necessità del perdono papale – un rilancio dei margini di manovra dell’imperatore.
Nel 1080, colpito dalla seconda scomunica, Enrico
IV fa deporre Gregorio VII nel Concilio di Bressanone e fa eleggere antipapa il
vescovo di Ravenna Guiberto, con il nome di Clemente III. Di fronte
all’insuccesso della sua mediazione, Matilde subisce le conseguenze della sua
scelta quando viene privata dal sovrano di gran parte delle sue terre, fino a
doversi arroccare all’interno dei castelli appenninici rimastile fedeli, dai
quali riuscirà ad infliggere una sconfitta all’imperatore soltanto nel 1092.
Le principali città dei domini matildici si ribellano, dapprima Mantova, poi
Lucca e di seguito Ferrara, Modena, Parma, tutte città governate da vescovi
scismatici e vicine al partito dell’imperatore e dell’antipapa. Il
tentativo di Matilde di opporre ad Enrico IV un altro imperatore, prima con
Rodolfo di Svevia (morto prematuramente) e poi con Corrado III (primogenito
dello stesso Enrico, perito in circostanze misteriose nel 1101 a Firenze)
fallisce miseramente.
Nel 1089 fallisce anche il suo secondo matrimonio con il giovanissimo Guelfo di Baviera, insieme alle speranze di assicurare una discendenza alla sua dinastia. Il conseguente isolamento spiega l’accresciuta fiducia nei suoi maggiori vassalli, uno dei quali, Guido Guerra, viene indicato tra 1099 e 1108 come suo “figlio adottivo”. Ma è il nuovo imperatore, Enrico V, a riaprire i giochi: in cambio di una reinvestitura delle sue giurisdizioni nel Nord Italia, Matilde si mostra disposta a concedergli il passaggio nei suoi territori (1111), così come il diritto di successione nei suoi beni, a dispetto di una donazione di tutto il suo patrimonio alla Chiesa di Roma documentata per la prima volta nel 1080 e, secondo la documentazione tradizionale, in seguito ripetuta (1102): è questo un aspetto che gli storici hanno di recente mostrato di voler riesaminare, giacché questa diviene la materia di ulteriore contendere quando, alla morte di Matilde (1115), l’imperatore scende in Italia per prendere possesso dell’eredità matildica. Tuttavia una nuova strada, anche per la politica di mediazione decisamente più accomodante intrapresa dal nuovo papa Pasquale III, era già tracciata e conduceva dritta verso il Concordato di Worms (1122); ma in quell’anno Matilde già da tempo riposava tra le nebbie, i boschi e le paludi di S. Benedetto Polirone, nel luogo in cui, dopo essere stata per tanto tempo in prima linea, si era ritirata e aveva scelto di convivere con la malattia (forse gotta) che gravò sugli ultimi anni della sua vita.
La
potenza di Matilde, al pari di quella dei suoi avi, si fondò su una fitta rete
strategica costituita da castelli, avamposti e torri isolate, un sistema che
consentiva uno stretto controllo della rete di comunicazioni (strade, valichi,
fiumi). Non di per sé sufficiente, la rete di castelli si affiancò alla rete
di legami di fedeltà stabiliti con i vassalli distribuiti sul territorio.
Riuscire a governare un territorio vasto ed articolato come quello di Matilde
di Canossa significava essere presenti, muoversi all’interno di un fitto
intreccio di forze spesso tra loro in contrasto, amministrare con equilibrio e
cautela i rapporti con le città, con le comunità rurali, con le abbazie. La
“presenza” a 360 gradi di Matilde è ampiamente testimoniata da Donizone,
che non manca di sottolineare come lei stessa, pur circondata di una
cancelleria e di esperti giuristi, fosse donna colta e preparata, dotata di
quelle rare competenze che, almeno in teoria, potevano scongiurare
insubordinazioni e “sorprese” all’interno di un territorio fortemente
frammentato.
I
domini matildici, stretti tra i territori dell’imperatore e quelli della
Chiesa, costituivano una pericolosa zona “cuscinetto” contesa da ambo le
parti come alleata, o almeno non come nemica. Lo stesso matrimonio dei genitori
di Matilde si inserì in una oculata politica di alleanza tra grandi famiglie
dell’impero sostenuta da Enrico III, e lo stesso secondo matrimonio della
madre con un vassallo dalla fedeltà incerta, Goffredo il Barbuto (favorito dal
papa Leone IX), vide l’intervento dell’imperatore e una sua risoluzione
solo dopo la riconciliazione tra Goffredo e la casa imperiale.
La Riforma in seno alla Chiesa fu la caratteristica dominante degli anni di Matilde: un forte e deciso richiamo spirituale alla purezza del clero ed alla fedeltà delle gerarchie ecclesiastiche alle loro funzioni pastorali veniva ormai da qualche decennio opposto alla secolarizzazione, al dilagare del ruolo pubblico dei vescovi ed alle ingerenze dei sovrani nella nomina dei prelati. Punto caldo del contendere, all’interno di questi difficili rapporti tra papato e impero, fu la rivendicazione da parte dei riformatori del diritto di scegliere i propri pastori (in primis i papi) senza condizionamento da parte del potere civile. Fino a Matilde, la sua famiglia era stata decisamente filoimperiale, nonostante qualche motivo di attrito si fosse manifestato già con Bonifacio suo padre. Finché fu nelle sue possibilità, la stessa Matilde conservò una posizione conciliante, come dimostra il noto episodio di Canossa.
Anche in questa miniatura Matilde è assisa su un trono, mentre l'imperatore Enrico IV è rappresentato in ginocchio.
Matilde
si inserì nel cuore della Riforma gregoriana del Regno italico con il sostegno
militare e finanziario dato ai papi riformatori (Gregorio VII la indicava nei
suoi scritti come «dilecta filia Petri»). I maggiori pensatori riformatori
del tempo, come Anselmo di Lucca, Ugo di Die, Bernardo degli Uberti, Placido di
Nonantola, furono da lei protetti, così come furono favoriti e protetti chiese
e monasteri riformati, primo fra tutti quello di S. Benedetto Polirone
(Mantova), da Matilde aggregato a Cluny nel 1077. È questo il luogo dove per
sua volontà fu sepolta; le sue spoglie vi rimasero fino al 1632, anno in cui
papa Urbano VIII le fece traslare dapprima in Castel Sant’Angelo, quindi in
S. Pietro, a Roma, dove era stata appositamente eretta una imponente tomba ad
opera di Gian Lorenzo Bernini.
Come
molti grandi personaggi, anche Matilde entrò presto nel mito in veste di
paladina della Chiesa e simbolo della lotta contro lo straniero. La sua
“agiografia” si fondò sul poema di Donizone, trovando ben presto terreno
fertile per una progressiva mitizzazione. In primo luogo, nel momento aureo dei
Comuni italiani (XII-XIV secolo), la sua figura divenne il simbolo della libertà
italiana contro il potere degli imperatori tedeschi, in barba alla legittimità
del dominio svevo in Italia, alla risposta non certamente univoca degli stessi
Comuni (che spesso definirono anche alleanze filoimperiali) ed all’ambiguità
della posizione della Chiesa, che spesso ebbe nel sovrano il tradizionale
legittimo interlocutore dei suoi poteri locali. In seguito, dopo il Concilio di
Trento, una seconda fase di “promozione” matildica si inserì all’interno
della lotta tra Controriforma cattolica e Riforma protestante: in un rinnovato
contesto di strumentalizzazione in chiave antitedesca le spoglie della contessa
vennero traslate a Roma per volere di Urbano VIII. La sua figura di strenua
sostenitrice della Chiesa venne esaltata attraverso le sue capacità guerriere,
in linea con le caratteristiche delle eroine della Gerusalemme
liberata di Torquato Tasso, inaugurando una strada che portava dritti
all’Ottocento patriottico e risorgimentale, nel quale Matilde venne
rilanciata quale fulgido esempio di lotta contro l’usurpatore straniero, ma
anche – all’interno di un più complesso, intimo e drammatico piano
interpretativo – nelle sue qualità di donna.
Bibliografia
(cui si rimanda per le indicazioni sulle fonti)
Donizone,
Vita Mathildis, a cura di V. Fumagalli
e P. Golinelli, Zurigo 1984 (con un fac-simile del manoscritto Vat. lat. 4922). |
Maraviglie
Heroiche del sesso donnesco memorabili nella duchessa Matilde… narrationi del
Marchese Giulio dal Pozzo K.,
Verona 1678; |
N.
Tommaseo, La contessa Matilde, Rut, Una serva, a cura di P. Pozzobon, Firenze
1990; |
L.
Tosti, La contessa Matilde e i romani
pontefici, Milano 1989 (ed. or. 1859); |
A.
Overmann, La contessa Matilde di Canossa, Roma 1980 (ed. or. Innsbruck 1895). |
Studi
matilidici,
1-2-3, Modena 1964, 1971, 1978; |
L.L.
Ghirardini, Storia critica di Matilde di Canossa, Modena 1989; |
P.
Golinelli, Matilde e i Canossa nel cuore del Medioevo, Milano 1991; |
P.
Golinelli, I poteri dei Canossa. Da Reggio Emilia all’Europa, Bologna 1994; |
V. Fumagalli, Matilde di Canossa. Potenza e solitudine di una donna del Medioevo, Bologna 1996; |
Matilde di Canossa nelle culture europee del II Millennio. Dalla storia al mito, Bologna 1999. |
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