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I Sassi di Matera
Il riconoscimento di “Patrimonio dell’Umanità”, attribuito dall’Unesco (United Nations Education, Science and Culture Organization) alla città dei Sassi, ritenuta una volta vergogna d’Italia ed ora assurta invece ad orgoglio di precipua identità storico-urbanistica, ha inteso premiare la conservazione di un habitat straordinario, quello rupestre, aspetto peculiare del paesaggio mediterraneo, esteso dalla Armenia a Georgia alla Cappadocia, Bulgaria, Serbia, Grecia, Egitto, Etiopia, fino alla Francia e Spagna, attraverso le Murge appulo-lucane.
Il riconoscimento dell’Unesco avrebbe potuto abbracciare un territorio assai più vasto ed omogeneo, connotato dalla identica presenza di valloni, lame e insediamenti abitativi scavati in roccia, nei paesi limitrofi di Massafra, Mottola, Laterza, Palagianello, Gravina, Altamura, la cui esclusione dal perimetro della tutela è probabilmente dovuta allo scarso “appeal” culturale, turistico e conoscitivo e agli insufficienti modi di gestione di questo singolare patrimonio, rispetto alla sagace opera di promozione e valorizzazione compiuta invece da Matera, elevata dunque a città simbolo dell’Habitat rupestre in Italia meridionale.
D’altronde il riconoscimento di “Patrimonio dell’Umanità”, che non comporta di per sé immediate o cospicue risorse economiche è soprattutto un attestato di attenzione verso una realtà locale, nella quale si avvertono valori che ne travalicano i confini territoriali per inserirsi nel più ampio orizzonte mediterraneo, o ancor più remoto, fino a toccare l’India, l’Afganistan (la valle di Bamyan, che ospitava i grandi Buddha, scolpiti nella roccia, brutalmente distrutti dai talibani) e la Cina, dove si calcola che vivano tuttora in abitazioni trogloditiche circa quaranta milioni di persone.
Uno dei grandi Buddha della valle di Bamyan distrutti dai talebani
Al Troglodita, uomini e ambiente, i popoli delle caverne, è dedicato il numero monografico del Corriere dell’Unesco, marzo 1996, con introduzione di Jacek Reverski, Presidente del Comitato “Hades” (Histoire, Architecture, Decouverte, Etude, Sauvegarde), che tutela il patrimonio sotterraneo scavato. In tale ambito, Matera dunque non può rappresentare un mero soggetto passivo, paga soltanto dello straordinario riconoscimento mondiale, ma deve proporsi come soggetto attivo e propulsore di valorizzazione e divulgazione del patrimonio dell’Habitat rupestre di tutta l’Italia meridionale, poiché tale è da intendersi la finalità dell’Unesco, con iniziative dunque e progetti che coinvolgano, mediante le strutture in loco e rapporti di cooperazione internazionali, questo aspetto peculiare del paesaggio mediterraneo.
è noto che la città stia lavorando in questo senso, attivando le procedure per la istituzione del quanto mai auspicato Museo dell’Habitat rupestre o del Trogloditismo, riqualificando lo spazio urbano dei Sassi, come Parco storico-documentario, apprestando itinerari turistico-culturali e curando il restauro e la valorizzazione dei preziosi affreschi bizantini, che in gran numero, con la bellezza di forme e colori, dal forte impatto emotivo, tappezzano le pareti delle centinaia di chiese-grotta. Grande successo ed attrattiva riscuotono anche le mostre e gli eventi che hanno per palcoscenico i pittoreschi spazi delle rupi; ma forse occorre una progettualità più avanzata, magari con la richiesta allo stesso Unesco di istituire a Matera una sede del Comitato HADES, come Centro Studi permanente ed osservatorio dell’ambiente trogloditico; l’attivazione di gemellaggi e scambi culturali con i paesi delle caverne: la Cappadocia, la Bulgaria, la Grecia, approfittando delle risorse messe a disposizione, anche per le attività culturali, dall’obbiettivo europeo del cosiddetto Corridoio n. 8; l’allestimento di una grande Mostra internazionale sull’Habitat rupestre mediterraneo, sul modello di quella allestita a Siviglia nel 1992, nell’ambito dell’Esposizione Universale; la formazione di una Scuola Speciale per Operatori delle strutture trogloditiche (paesaggio, dimore, attività industriali, artigianali, restauro, studio, gestione e valorizzazione) tuttora superstiti nel mondo. Le gloriose e “storiche” istituzioni presenti nella città e nel territorio (dalla tanto benemerita Associazione la Scaletta, alle Direzioni dei Musei e Soprintendenze, a personaggi e figure mitiche dell’Olimpo culturale materano, come ad es. la carismatica figura di Michele D’Elia, Soprintendente ed ex Direttore dell’Istituto Centrale del Restauro, sono in grado di attivare e promuovere iniziative che corrispondono per la loro valenza internazionale alla importanza del riconoscimento della Città dei Sassi come Patrimonio mondiale dell’Umanità.
Restano irrisolti taluni gravi problemi in città e nel territorio, primo fra tutti la riapertura del Museo Archeologico Ridola, già diretto brillantemente dalla dott.ssa Pina Canosa. Si attende una nuova sistemazione degli spazi espositivi e un ammodernamento dell’approccio alla visita, che oggi si deve avvalere, per farsi più accattivante, dei mezzi e degli strumenti offerti dalla tecnologia multimediale. Il Museo, soprattutto quello Archeologico, è una macchina delicata, sempre in equilibrio fra l’esattezza e la puntigliosità dei dati e delle informazioni e la loro divulgazione al pubblico dei non specialisti, con l’oggetto-documento da porre costantemente al centro di una storia quotidiana, curiosa, avvincente, l’oggetto fuori vetrina cioè, in rapporto di facile comunicazione e racconto con il visitatore-fruitore. Il Museo è oggi il nodo della visita guidata e dell’approccio alla città; dovrebbe sempre contenere in sé ambienti per l’accoglienza, i servizi, il ristoro, la conoscenza rapida della storia della città e costituire il punto di partenza per ogni itinerario, autentica Porta (o portale telematico) di accesso alla città.
è un peccato che proprio il Museo, ma anche il Castello dei Tramontana, incombenti sui Sassi, non abbiano nulla da rivelare, oggi, ai visitatori della “Petropoli”. E nel territorio è da apprestare un “Sentiero-percorso” fra le grotte dipinte, a livello paesaggistico e naturalistico, che possa toccare almeno le cripte più importanti dell’agro materano. Tra queste ricordiamo, perché non venga abbandonata all’eutanasia e alla fatiscenza, la suggestiva e misteriosa Grotta-santuario del Peccato originale o della Genesi, vero e proprio incunabolo della pittura altomedievale in Italia meridionale. Com’è noto, affreschi appartenenti a questo periodo (VIII-IX secolo) sono assai rari e la cripta della Genesi rappresenta per il gran numero delle scene, iconografia, stile e modelli, uno dei cicli più rappresentativi della pittura altomedievale meridionale, insieme a Benevento, Capua, Salerno, S. Vincenzo al Volturno, ecc. Nella Grotta sono raffigurate le scene della Genesi: la creazione della luce e delle tenebre, l’albero della vita, il peccato originale; un ciclo cristologico, con figure di Apostoli (Pietro, Andrea, Giovanni); Angeli e la Vergine Regina fra Sante e scene della Liturgia (vescovo e diacono).
Nel linguaggio primitivo, ma fortemente espressivo, con le figure dal segno rapido, forte, circoscritte da contorno scuro, campite da colori tenui e sfumati, le pitture, ormai fragilissime, si aggrappano alle pareti, con la disperata forza della salvezza e con l’altrettanta appassionata voglia di comunicare un antichissimo messaggio e raccontare la più suggestiva storia del mondo. Il rifiuto dell’ascolto, l’indifferenza, il mancato intervento di tutela, nel silenzio delle gravine, ha lo stesso sinistro sibilo del cannone talibano.
©2005 Nino Lavermicocca. Articolo per «Paese Nuovo» (quotidiano pugliese allegato a «l'Unità»), apparso nel 2003 e qui ripresentato con il consenso dell'autore.