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«…Episcopo
Alifano…
pro reparatione ecclesie tue…»
Papa Innocenzo III al vescovo di Alife
[Landolfo] (1198)
Appena ricostituito l'episcopato alifano - siamo negli anni immediatamente successivi al 969 - il clero scelse nella chiesa intitolata a S. Maria, posta dentro le mura e che era, forse, la maggiore della città, quella facente funzioni di cattedrale. Paolo, il vescovo della ricostituzione, s'intitolava «gratia Dei Episcopus Episcopii Sancte Dei Genitricis et Virginis Mariae sedis Aliphanae», seguito da Vito «Domini gratia Pontifex episcopatus Sancte Dei Genitricis et Virginis Sancte sedis Alifanae». In una pergamena contemporanea (1012) si nominava un «Guaiferi sacerdos et custus ecclesie sancte Dei genitricis et birginis Marie sita in cibitate Alifie». Santa Maria è la chiesa del vescovo e, quindi, il titolo dell'episcopato [1].
Una degna chiesa cattedrale, intitolata a S. Maria, già esisteva, dunque, quando grazie a maggiori disponibilità finanziarie e per altre esigenze, ne fu eretta una nuova. I documenti ricordati sul memoratorio del vescovo Vito (1020) ci rivelano che da anni vescovo e conte s'incontravano nel palazzo del governo, con giudici ed altri notabili, per concordare una strategia comune contro l'Abbazia di Montecassino, che, con cadenza quasi perfetta, prendeva a rivendicare terre che anni prima non possedeva; questi vescovi e conti persero le cause sistematicamente. Appare chiaro che il giovane episcopato e l'arrendevole governo longobardo non poterono disporre che pochi interventi sulle strutture esistenti. È allora innegabile che l'edificazione della nuova cattedrale sia opera dei conti normanni, che nel Sannio e in Campania si legano ai propri centri con costruzioni monumentali.
La grandiosità e la bellezza della cattedrale romanica, legittimamente definita "monumentale", ben s'inquadra nell'ottica del tempo. Anche in mancanza di documenti che possano chiarire definitivamente la committenza dell'opera, si può concordare con gli studiosi locali, attivi dal seicento in poi, e con
L. R. Cielo, che convergono sul secondo Rainulfo (n. 1093 ca. - Troia 1139) e la sua epoca. Alla base dell'innalzamento della nuova cattedrale ci sono gli impulsi di rinascita sociale, civile ed artistica alifana e soprattutto la contrapposizione fra Rainulfo ed il cognato Ruggero II: il conte dei siculi annetteva la Puglia, il conte degli alifani l'Irpinia e parte della Capitanata; Ruggero divenuto re edificava la cattedrale di Cefalù, Rainulfo rimasto conte gli rispondeva con quella di Alife [2].
I lavori voluti da Rainulfo si protrassero probabilmente negli anni compresi fra il 1127 ed il 1135, in tempi, comunque, non eccessivamente rapidi [3].
Per procedere alla costruzione della cattedrale romanica, si dovette tener conto delle strutture preesistenti, tanto che la cattedrale non è canonicamente orientata (ha le absidi a sud)[4].
Esterno di un'abside della Cattedrale.
La cattedrale originaria era di forma rettangolare, aveva tre porte di ingresso e disponeva di un ampio spiazzo, in parte occupato da un atrio, delimitato dal decumanus maximus dell'impianto urbanistico romano. Presso l'edificio stava il palazzo vescovile. Quel che appare evidente allo specialista è che il progetto originario del Tempio Rainulfiano prevedeva un edificio ancora più imponente di quello realizzato.
Primi interventi di consolidamento vennero attuati dal vescovo nel 1198. Dopo numerosi rifacimenti - notevole quello seguito al sisma del 1688 -, della struttura originaria rimane la cosidetta cripta, basilica inferiore adattata dal secondo Rainulfo, che costituisce la più interessante testimonianza dell'arte alifana del XII secolo. Edificata secondo il modello ad oratorio, dispone di quattordici colonne, alcune di spoglio, talvolta con l'originale uso di basi classiche come capitelli, e viceversa. È stando nella cripta, nel suo ambiente poco illuminato, che sembra davvero di respirare la fede dell'epoca. Buona parte dei capitelli e semicapitelli sono contemporanei.
Degno di grande interesse artistico è il superstite archivolto romanico dell'antico portale, che si conserva in cattedrale (cappella del Battistero) unitamente ad un secondo archivolto che si trova al Duke University Museum di Durham negli Stati Uniti (frammentario, con pezzi del terzo? di altra mano ed incompleto). L'esecuzione è da ritenersi effettuata da lapicidi locali all'atto dell'edificazione della nuova cattedrale. Non sarà la scuola di Wiligelmo, ma con Cielo «si può evincere che i lapicidi furono impegnati in rifiniture e decorazioni di innegabile valore plastico-chiaroscurale» [5].
Sul portale laterale destro della cattedrale, presso il fonte battesimale, erano incisi, in caratteri "contemporanei", i seguenti versi [6]:
Vita salus mundi pax gloria spesque secundi
a vitis munda fusos baptistmatis unda.
Altra iscrizione nell'archivolto, all'interno della raffigurazione di un libro, risulta illeggibile. Perdute le lapidi, di longobardo e normanno restano le tre separate iscrizioni sepolcrali dei vescovi:
Vitus
Arechis
Gosfridus eps Hic Req
L'edificio odierno ha all'interno una lunghezza di metri 41,20 (escluse le absidi) ed una larghezza di metri 18,20. La cattedrale è stata recentemente restaurata e la sua cripta merita certamente un'attenta visita.
1 Il memoratorio di Vito comprendente l'intitolazione di Paolo è in E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis, 1733, I, 32-37 («actu Alife»); Le pergamene dell’Archivio Vescovile di Caiazzo, a cura di C. Salvati ed altri, 1984, n° 3, p. 30.
2 Per la cattedrale fondamentale è L. R. Cielo, La cattedrale normanna di Alife, Napoli 1984. Per il territorio alifano fra il 965 e il 1265: A. Gambella, Potere e popolo nello stato normanno di Alife, Napoli 2000.
3 Nel 1125 si registra un evento sismico tale da richiedere interventi sulle strutture religiose o, appunto, l’edificazione di una nuova cattedrale su quella preesistente (Falcone di Benevento [a. 1125] «per civitatis alia et oppida civitati Beneventanae contigua»). Rainulfo, il secondo con questo nome, saliva a maggiore ribalta negli anni 1127-30 con le annessioni o il controllo di Ariano Irpino, Avellino e Troia, e la sua contrapposizione al cognato Ruggero, re dall’autunno 1130. Quando, nei primi mesi del 1132, Rainulfo si fece dare dal papa Anacleto II reliquie di San Sisto, i lavori dovevano essere già in corso. Un libro stampato in Alife nel 1552 (“Officio”), noto grazie alle relazioni ad limina dei vescovi del ’600 Zambeccari, De Medici e Dossena, e consultato da G. V. Ciarlanti, Memorie Historiche del Sannio, 1644 (ed. Campobasso, 1823) IV, 9, ci mostra Rainulfo che edifica la basilica inferiore per porvi le reliquie del Santo e non l’intera struttura. Stando all’Officio le reliquie del Santo Sisto sostarono per qualche tempo in luogo prima di essere portate in cattedrale, perché, evidentemente, i lavori nella basilica voluta da Rainulfo non erano conclusi. A modificare progetti originari interveniva lo stato di guerra fra le città campane e pugliesi ed il governo siculo-normanno, che coinvolgeva la popolazione civile a partire dalla tarda primavera del 1132. È nei pochi mesi di pace fra la metà del 1134 e l’aprile 1135 – quando riprese la guerra che portò alla cattura di Alife fino all’estate 1137 – se non prima, che dovettero essere completati i lavori per la definitiva consacrazione. Ad ulteriore conferma del termine ultimo dei lavori, una delle tele seicentesche della cattedrale, basata – per testimonianza giurata – su più antichi affreschi, raffigura Rainulfo e il figlio adolescente [Roberto] all’atto dell’ingresso delle reliquie in città; Roberto fu forzatamente assente dalla primavera del 1132, ma ritornò presso il padre nel corso del 1134. Che i lavori nella cripta si svolsero con una certa risolutezza è stato ormai dimostrato da L.R. Cielo.
4
L’esistenza
di precedenti strutture adiacenti la cattedrale e coinvolte nella sua
costruzione, è stata confermata da saggi di scavo effettuati nel 1990 in
Piazza Vescovado, quando vennero alla luce accanto alla fiancata sinistra,
disposti proprio tra avanzi di antiche costruzioni, numerosi sepolcri
altomedioevali. Nella stessa area vennero alla luce altri reperti di epoca
romana e medievale (resti del teatro, del foro, pavimento lastricato,
vasellame) di cui tra i tanti fummo testimoni, prima che si procedesse ad un’assurda
reinterrazione. Sempre nel 1990, furono effettuati scavi nella cripta col
rinvenimento di notevoli tratti di mura e canalizzazioni. Già G.
F. Trutta, Dissertazioni
historiche delle antichità alifane, Napoli 1776, p. 391, sosteneva che
la cattedrale sorse accosto la chiesa di S. Lucia, una prima sede vescovile,
sopravvissuta come cappella della cattedrale. Occorre notare che le lapidi
dei vescovi Vito, Arechi e Goffredo, predecessori del vescovo del tempo,
Roberto, murate nella cripta, sono con ogni probabilità provenienti da
altrove (Trutta, op.cit.,
p. 383).
5
Cielo,
op.cit., p.43 si veda ora anche F.
Gandolfo, La scultura
normanno-sveva in Campania, 1999. Studiosi come Schulz, Salazaro, Bertaux,
ed altri avevano lodato la cripta prima del lavoro di Cielo.
6
F.
Ughelli,
Italia Sacra, ed. Coleti, IX, 207
localizza l’iscrizione «ad fores
episcopi».
Vedi anche, nella sezione "Castelli italiani": Angelo GAMBELLA, Il castello normanno di Alife.
© 2003 Angelo Gambella