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di Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri

   

            

Sono tempi, questi, in cui più che mai l'aggettivo "medievale" ricorre sui giornali come termine di paragone assolutamente negativo per esemplificare idee e realtà politiche come l'autoritarismo, i campi di concentramento... Ora, se c'è una cosa che irrita i medievisti è questa immagine compatta e monolitica quasi esclusivamente negativa del millennio medievale (ripetiamolo ancora una volta: i lager sono una invenzione tutta novecentesca, tutta nostra).

Il Medioevo - ammesso che esista - è come tutti gli altri tempi umani, luci e ombre e così via. E poi, come dicono ormai tutti gli storici, un millennio è troppo lungo per essere usato come categoria storica anche a proposito di tempi in cui le cose non andavano mutando velocemente come oggi. Ma questa, come diceva Kipling, è una altra storia. Aggiungo a questo preambolo soltanto una domanda: cosa hanno in comune il potere dei Merovingi, le forme del sacro, la vita e la scuola monastica fino al secolo IX, la musica e la poesia "altomedievali" con le corti di Eleonora di Aquitania e Marie de Champagne, le università, la politica di Enrico dei Plantageneti, l'amor cortese, la cattedrale di Sigieri di Saint Denis, la logica terminista, i mercanti, le prediche di Bernardino da Siena per incitare i cittadini dei comuni a fondare il Monte di Pietà, il dissenso religioso di Guglielmo d'Ockham e la straordinaria analisi politica di Marsilio da Padova? Pochissimo, tanto quanto noi abbiamo in comune con i tempi di Lorenzo il Magnifico. Ma il preambolo è forse utile quando si parla di un'epoca così sconosciuta e forse solo per questo definita "oscura".

Ma eccomi a sottolineare qualche cosa che invece assimila il nostro tempo a quello medievale. Scelgo due temi: la dimensione europea della politica e la presenza incombente, già prima dell'anno Mille, dell'Islam, che l'Europa osserva e ammira a livello intellettuale, ma combatte come un rivale pericoloso.

A cominciare da papa Gregorio I (chiamato appunto "padre d'Europa"), non c'è evento, teoria, decisione politica relativa ad un singolo regno che non abbia eco ed effetti in tutto il continente: qualche volta si arriva a sognare e realizzare unità effimere quasi europee, il più delle volte una farfalla che batta le ali alla corte dei Plantageneti inglesi può far scoppiare conflitti o spingere ad accordi molto lontano, alla corte dei papi a Roma o a Parigi... La dimensione europea è del resto ben esemplificata anche dalle carriere intellettuali e accademiche di uomini che partendo da Aosta passano in Normandia e a Canterbury, oppure da Oxford vanno a insegnare a Parigi e a Colonia e viceversa.

Sull'altro problema, la presenza così incombente dell'Islam, possiamo in quei secoli registrare tutti i comportamenti e gli atteggiamenti possibili, proprio come oggi. Un inglese come Adelardo di Bath considera gli arabi suoi maestri intellettuali ben superiori ai boriosi e futili francesi. Abelardo cerca una via di dialogo che non esito a definire tollerante, mentre l'abate di Cluny li bolla come grossolani eretici e prepara in Spagna contro i musulmani una specie di preannuncio alla crociata...

Se delle crociate vere e proprie più note è inutile parlare, ricordiamo invece che nel Duecento molti maestri universitari riconoscevano che il potere esercitato nei regni islamici fosse legittimo anche quando il sovrano o i sudditi non fossero cristiani.

Ma c'è un argomento che mi sta più a cuore: la figura del principe (o governante) e quella del tiranno. Nei primi secoli medievali - e le ultime testimonianze sono del XII secolo, in Giovanni di Salisbury cortigiano inglese e filosofo di scuola francese - vige un paradigma etico fondato sulla convinzione che il sovrano debba aderire per essere veramente tale alle virtù, cristiane e non; che debba essere "personalmente" buono, giusto, caritatevole, amabile, affabile, simpatico... Se è realmente buono il principe incarna la Legge e le sue scelte produrranno automaticamente il bene della comunità.

Tutta la sanità e l'efficienza del regno dipendono dal principe, dalle sue qualità morali e dalle sue azioni virtuose: la celebre analogia con il corpo sano ha qui il suo fondamento. Se il sovrano è buono e giusto, se il cuore è sano, il regno funziona bene e le sue membra, dai contadini ai magistrati ai soldati ai ministri, saranno sane di conseguenza e funzionali al bene generale. Se il principe si ammala moralmente, si applica per esempio ai suoi interessi e non al bene comune, diventa un tiranno con le conseguenze che si conoscono. Forse - dice Giovanni di Salisbury - si può anche arrivare a ucciderlo.

Le cose cambiano notevolmente in seguito e penso alla svolta più nitida e clamorosa rappresentata dal Defensor pacis (1324) di Marsilio da Padova. Il principe o governante non esce di scena, ma perde importanza in un quadro politico più articolato nel quale fanno il loro ingresso protagonisti nuovi, la legge e il popolo. Ecco, in breve, cosa sta scritto in Marsilio. Al governo spetta promulgare e realizzare le leggi e giudicare e disciplinare i comportamenti dei cittadini (non più sudditi) attenendosi però alle norme generali istituite da quello che Marsilio chiama il "legislatore umano" che dispone del potere di eleggere l'esecutivo e, nel caso, correggerlo o persino destituirlo.

 

Il Saladino (XII secolo)

La legge, per essere tale, deve avere potere effettivo ed è quindi ben distinta dalla legge spirituale o religiosa o ecclesiastica, chiamata legge in senso improprio, che non ha di mira il bene civile, ma quello individuale e dell'anima, immortale, e dispone per questo solo della promessa eterna, di ammonimenti e consigli e non di potere coercitivo. Caso notevole: gli eretici o quelli che perdono la fede non devono essere puniti materialmente in base alla legge dello stato; non possono essere privati dei propri beni, né essere esiliati, a meno che i loro comportamenti civili non siano lesivi o pericolosi per il bene, sempre terreno e civile, della comunità politica. Se essi agiscono violentemente, saccheggiano, mettendo a soqquadro la città, ad esempio. Questo aspetto è naturalmente connesso con un problema "moderno" e prevalentemente italiano, quello della separazione dei poteri dello stato e della chiesa.

Ritornando al principe: perché la sua figura in questo contesto è meno importante? Perché non da lui, ma dalla legge e dal popolo che dispone del potere legislativo dipende il bene dello stato. Non è quindi necessario che il principe sia quello descritto nei famosi Specchi del principe, seguito per tanti secoli, sia cioè buono, amabile e così via; basta che sia corretto e possieda capacità tecniche di gestione della cosa pubblica aderendo alla legge. È con Marsilio quindi - contrariamente forse a quel che si pensa e si legge in alcuni dizionari politici - che la politica perde il suo carattere morale così evidente nei secoli precedenti.

   

   

© 2002-2006 Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri. Brano tratto da Golem - l'Indispensabile, n. 2 (febbraio 2002).

   


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