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Christine de Pizan [1], scrittrice francese di origini italiane, si distingue dalle altre scrittrici medievali, non solo per l’erudizione che acquisì fuori dalle mura del convento, ma anche per il coraggio dimostrato nel difendere l’‘onore’ del genere femminile [2].
La sua opera, Le Livre de la Cité des dames, si colloca cronologicamente solo cinque anni dopo la morte di Chaucer, ma la struttura anticipa quella poi propria di alcuni scritti rinascimentali. Confezionata nel 1405, l’opera potrebbe ricollegarsi ai primi cataloghi per l’applicazione giudiziosa di fonti autorevoli e per la presenza dell’opinione personale dell’autrice [3]. Christine de Pizan, riecheggiando il Mulierum Virtutes di Plutarco, sostiene che la virtù degli uomini e delle donne sono identiche e, di conseguenza, struttura la sua opera come una difesa retoricamente strutturata, e rende la Cité des dames quasi un ponte naturale tra il modello di catalogo medievale e quello del Rinascimento, caratterizzato dal dibattito sulla querelle des femmes [4]. Allo stesso tempo, la trattazione offre un modello di self-definition femminile [5], redatto (finalmente, ed è questa la novità più eclatante rispetto a tutte le testimonianze precedenti) da una donna-narratore, la quale si oppone all’antagonista che incarna l’auctoritas misogina. Il libro esorta le lettrici a seguire un simile percorso di self-definiton, difendendosi dai detrattori.
Difficile stabilire la fonte da cui Christine derivò l’ispirazione per comporre un tale catalogo. Riferimento principale della sua opera fu – è evidente – il De mulieribus claris di Boccaccio, che poteva aver conosciuto nella sua traduzione francese.
Il catalogo boccacciano non poteva non attrarre la sua attenzione. Il padre di Christine, laureato all’università di Bologna e ufficiale della città di Venezia, conobbe certo Boccaccio di fama e, forse, anche di persona. Quando compose la Cité des dames, Christine aveva già redatto una accanita difesa delle donne (L’Epitre au Dieu d’Amours), supportando la tesi dello scritto attraverso l’esemplificazione, e cioè con l’inserzione di un breve catalogo [6].
Di certo, dunque, l’autrice francese lesse il De claris mulieribus [7] ma sembrerebbe riduttivo affermare che questa sia la sua unica fonte [8]. Dulac, Willard e, recentemente, Phillippy hanno dimostrato con buoni argomenti che Christine revisionò significativamente temi e luoghi dello scritto di Boccaccio [9]. Inoltre la struttura, le figure retoriche, la funzione allegorica dei personaggi nella Cité des dames non sono riscontrabili nella canonica tradizione dei cataloghi di donne; anzi è possibile individuare diverse riprese dal De casibus virorum illustrium [10], di Boccaccio. G. McLeod ha evidenziato come la Cité des dames risponda, in realtà, ad entrambi i cataloghi del Boccaccio: mentre il contenuto è desunto dal De mulieribus claris, la struttura si presenta assai più vicina a quella del De casibus virorum illustrium. Sia il catalogo maschile del Boccaccio, che quello femminile di Christine si aprono, infatti, con la visita di una guida inviata dalla Provvidenza che giunge ad aiutare i narratori nella loro opera. La guida di Boccaccio, Fortuna, e le donne coronate di Christine (Raison, Droitture e Justice) spiegano le vie attraverso cui opera la Provvidenza.
La Cité des dames è simile al Mulierum Virtutes per l’assioma che i due autori, a distanza di molti secoli, si propongono di dimostrare, e a The Legend of Good Women per la funzione assunta dal narratore.
Inoltre accanto all’effetto delle tipiche inclinazioni umanistiche si apprezza la volontà di fornire alle donne il riconoscimento della pratica di quelle virtù che fino ad allora erano state loro negate. La stessa Christine preannuncia un’inclinazione alla revisione nell’incipit della Cité des dames, definendo la sua città (cioè l’opera in chiave allegorica) [11] una ‘difesa’ per il sesso femminile mai sino a quel momento intrapresa.
L’opera di Christine tenta, dunque, di scardinare dalle fondamenta i principi della tradizione misogina e di condurre i lettori verso un nuovo modo di guardare alla sfera delle donne, utilizzando, certo, un catalogo di figure femminili note per aver compiuto atti con cui si erano particolarmente distinte, ma in modo innovativo. Tale nuova direzione emerge con chiarezza nella preparazione dell’opera di Christine, che diversamente da quella di Boccaccio, è strutturata con cura.
Per molti versi la sua difesa del genere femminile si snoda attraverso una struttura tipicamente medievale: l’opera consta di tre libri, si evoca l’ammaestramento di tre guide e ricostruisce un’allegoria che paragona la stesura dell’opera alla costruzione di una città.
Il De inventione di Cicerone funge da modello per la struttura in sei parti (era l’articolazione adoperata per i discorsi da pronunciarsi in tribunale nella Roma classica). L’asserzione ciceroniana che la retorica è civilis ratio, risultava particolarmente adatta per vari aspetti alla ‘difesa’ operata da Christine, la quale aveva anche il fine di avvicinare le donne alla vita politica di una comunità. Nel De inventione [12] Cicerone consigliava all’oratore di procedere attraverso l’exordium, alla narratio, partitio, confirmatio, refutatio e peroratio. Christine non solo rispetta questa suddivisione, ma in ogni sezione della propria opera lei sembra seguire pedissequamente le prescrizioni di Cicerone [13]. Il confronto di apertura tra il narratore e l’auctoritas misogina costituisce oggetto dell’exordium, che cerca di rendere il lettore bendisposto (benevolens), attento (attentus) e recettivo (docilis). La narratio si apre con la visita di tre donne coronate: Raison (la ragione), Droitture (la rettitudine) e Justice (la giustizia), le quali criticano la tradizione letteraria misogina. Nel I libro, con la partitio, della Raison introduce l’assioma che Christine cercherà di provare, cioè che le donne sono capaci di azioni virtuose. La costruzione della città nel I libro, la costruzione di case e l’introduzione di cittadini comuni nel II libro, forniscono la materia per la confirmatio, sezione in cui l’autrice espone le proprie argomentazioni per conferire credito ed autorità all’assunto iniziale. Anche la refutatio appare nel II libro, dove Droitture in modo esplicito polemizza con gli argomenti stereotipi della misoginia tradizionale [14], sostenendo che le argomentazioni addotte risultano, in realtà, inconsistenti [15]. Il III libro, in cui Christine parla della tradizione agiografica, fornisce ai lettori una digressione etica.
L’esortazione alle lettrici, posta nella parte conclusiva dell’opera, include poi tutti e tre gli elementi di una peroratio: riassume le conclusioni, provoca indignazione nei calunniatori (indignatio) e suscita simpatia per il narratore e la sua condizione (conquestio).
Naturalmente l’utilizzo da parte di Christine di tale schema non costituisce di per sé un’operazione originale. La struttura ciceroniana viene ripresa come modello in numerosi altri scritti, come in quelli rinascimentali [16]. Significative ‘tecniche’ sono, invece, gli artifici con cui Christine colloca i propri argomenti attraverso questa organizzazione e, soprattutto, il fine della dimostrazione.
L’allegoria delle tre donne coronate, ognuna delle quali domina uno dei tre libri della Cité, conduce il narratore/lettore attraverso un percorso mirabilmente definito, dalla ragione (I libro) alla rettitudine (II libro) alla giustizia (III libro). Ed è significativo che si affermi – in ragione del riconoscimento di questa nuova visione, anche in rapporto alla dottrina della Chiesa – come coloro che si sono ‘macchiati’ di feroci pregiudizi misogini, e non le donne, debbono essere escluse dalla tradizione cristiana [17].
Ora, ammesso che il suo catalogo presenti una definizione positiva della femminilità, possiamo rivendicarla – come talvolta accade di leggere specie negli scritti di scuola americana – come l’opera di una ‘femminista’? L’applicazione di una tale categoria appare certo anacronistica, poiché il termine ‘femminista’ apparve nella lingua inglese forse quasi cinque secoli dopo la morte di Christine [18]. È tuttavia indubbio che la sua opera costituisce un momento assai significativo nella storia della riflessione sulla questione femminile [19], proprio in ragione del tentativo di restituire alle donne un angolo nello scrigno della memoria e un ruolo all’interno dell’ordine sociale e storico [20]. Ogni movimento sociale e culturale vanta le proprie radici anche in momenti lontani nel tempo e la Cité des dames può a buon diritto essere ritenuta una delle prime riflessioni esplicite da parte femminile sui secolari pregiudizi misogini [21] che impregnarono spesso di sé non solo la tradizione classica ma, talora quasi senza soluzione di continuità, anche i secoli a venire.
Il catalogo di Christine de Pizan, pertanto, poteva costituire non solo un primo passo verso la creazione di un nuovo modo di ‘pensare alle donne’, ma uno stimolo, rivolto alle donne perché finalmente ‘pensassero a sé stesse’.
1 Il cancelliere Gerson offre una definizione dell’autrice francese, che ben rispecchia la sua personalità: «insignis femina, virilis femina»; cfr. D. Regnier-Bohler, Voci letterarie, voci mistiche, in G. Duby - M. Perrot, Storia delle Donne. Il Medioevo, a c. di C. Klapish-Zuber, Roma-Bari 1990, p. 472.
2 K. Brownlee, Discours of the self: Christine de Pizan and the «Rose», in «Romanic Review», LXXIX (1988), pp. 199-221.
3 Per una bibliografia sull’autrice, si veda A. Kennedy, Christine de Pizan, London 1984; E. Yenal, Christine de Pizan: A Bibliography of Writings by Her and about Her, Metuchen 1989.
4 Cfr. E. Tell, L’Oeuvres de Marguerite d’Angoulême: reine de Navaree e la Querelle des Femmes, Geneve 1937; J. Kelly, Did Women Have a Renaissance?, in Becoming Visible: Women in European History, ed. R. Bridenthal e C. Koonz, Boston 1977, pp. 139-164; B. H. Dow, The Varying Attitudes toward Women in French Literature of the Fifteenth Century Years, New York 1936.
5 G. McLeod, Virtue and Venom. Catalogs of Women from Antiquity to the Renaissance, Manchester 1994, p. 112.
6 T. Fenster, «Epitre au Dieu d’Amours» and «Dit de la Rose» with Thomas Hoccleve’s “Letter of Cupid”, Leiden 1900.
7 Per la fortuna dell’opuscolo di Boccaccio in Francia, cfr. L. Sozzi, Boccaccio in Francia nel Cinquecento, in Il Boccaccio nella cultura francese, a cura di Pellegrini, Firenze 1971, pp. 227-236.
8 A. Jeanroy (Boccace et Christine de Pizan: le De claris mulieribus principale source du Livre de la cité des dames, in «Romania», XLVIII (1922), pp. 93-105) non solo sostiene che il De claris mulieribus sia la fonte principale della Cité des dames, ma afferma anche che Christine avrebbe ripreso Boccaccio senza aggiungere elementi di originalità.
9 L. Dulac, Un mythe didactique chez Christine de Pizan: Sèmiramis ou la veuve héroique, in Mélanges de philologie romane offerts à Charles Camproux, Montpellier 1978, pp. 315-343; C.C. Willard, Christine de Pizan: Her Life and Works, New York 1984; P. Phillippy, Establishing Authority: Boccaccio’s De Claris Mulieribus and Christine de Pizan’s Le Livre de la Cité des Dames, in «Romanic Review», 77 (1986), pp. 167-195.
10 G. McLeod, op. cit., pp. 116-117.
11 La metafora della ‘città’ ha una dimensione storica, basata sull’eco del De civitate Dei di sant'Agostino.
13 G. McLeod, op. cit., p. 114.
14 Nell’opera di Moderata Fonte (pseudonimo con cui firmò i propri scritti Modesta dal Pozzo), invece, alcuni indizi intratestuali avvertono il lettore della aleatorietà di quelle opinioni, espresse attraverso la disputa, che, in realtà, finiscono con l’affermazione di una “verità stabile”: «Voi con queste vostre ragioni […] venite a confonder tutto il regno d’amore, tutte l’istorie de passati e tutta la fede de i moderni e in somma mettete ogni cosa in scompiglio»; cfr. Moderata Fonte, Il merito delle donne, a c. di A. Chemello, Venezia 1988, p. XL.
15 Christine, infatti, afferma: «Che non mi si accusi di sragionare, di essere arrogante, di osare, io donna, oppormi e rispondere ad un autore così acuto, né diminuire l’elogio dovuto alla sua opera, mentre lui, soltanto un uomo, ha osato mettersi a diffamare e biasimare senza eccezioni con tutto il sesso femminile»; cfr. E. Hicks, Le Débat sur la Roman de la Rose, Paris 1977, p. 6.
16 Il merito delle donne di Moderata Fonte, opuscolo costruito secondo gli statuti canonici dell’ars oratoria, che utilizza con perizia il potere suasivo della parola; Moderata Fonte, Il merito delle donne cit., p. XLIV.
17 E. J. Richardson, Christine de Pizan and the Question of Feminism Rhetoric, in «Teaching Literature through Language», 22, n. 2 (1983), p. 23.
18 Cfr. Oxford English Dictionary, s.v. feminism. Tale termine localizza la sua più antica attestazione nell’articolo di un giornale inglese del 1894.
19 Cfr. G. Lerner, The Majority Finds its Past, New York 1975.
20 J. Cherchigli, L’éntrangère, in «Revue des langues romanes», XCII (1988), p. 240; D. Regnier-Bohler, op. cit., p. 475.
21 Soltanto un secolo più tardi Moderata Fonte ne Il merito delle donne afferma che la giovane «romita» è divenuta «ardita»: recuperando il paradigma di virtù celebrate nei trattati sulla «nobiltà et eccellenza» della donna («modestia»/ «cortesia»/ «castità»/«virtù»), i suoi «pensier puri» possono procurare quella «fama e gloria» evocate nell’introduzione; cfr. Moderata Fonte, Il merito delle donne cit., p. XV.
Nel Web può essere utile consultare, su Christine de Pizan, il sito: www.millersv.edu/~english/homepage/duncan/medfem/pizan.html
© Valentina Francillotti.