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In
tutta apparenza questa pluripremiata opera prima di Andrea Moneti[1]
si presenta al lettore come un romanzo storico mirato a farlo regredire,
nondimeno piacevolmente e non senza qualche illuminante scoperta, alla
situazione psicologico-religiosa determinatasi a partire dall’XI secolo,
quando con il sorgere delle prime eresie europee la fede cristiana, per
trionfare in senso cattolico, cioè universale e totale, avanzava
pretenziosamente da Roma e dai conventi riconosciuti nelle città medievali
italiane, già divise fra guelfi e ghibellini, in pregiudizio della “libertà
di pensiero” (ma allora – e non era troppo presto – si sarebbe meglio
detto: “vivere l’esperienza del Signore”).
A
controprova della consistenza puramente non fantastica del racconto, il romanzo
dello scrittore aretino porta un sottotitolo tematico: Inquisizione,
corruzione, eresia nella cattolicissima Italia del XIII secolo. Cosicché,
nonostante – o forse grazie a – il corredo finale e prezioso di una
cronologia, di un indice dei nomi, di scrupolose note storiche e, soprattutto,
di una bibliografia esauriente, il libro si sviluppa anzitutto come un
“romanzo storico” in senso classico, in cui il protagonista (Jacopo) e i
personaggi (Giovanni, Eleonora, Chiara, Marco, Agnolo, Francesco) sviluppano le
loro avventure quotidiane, inconsapevolmente eroiche, in margine alla temperie
ereticale innescata dopo il 1300 da fra’ Dolcino da Novara, il monaco
predicatore il cui movimento si presentò singolarmente intriso di intenti
spiccatamente politici, di scelta etica, anche se di solido impianto dottrinario
(oggi in larga parte disconosciuto).
Il
titolo sembrerà strano, pensato apposta per creare un miscuglio di mistero e
curiosità agli occhi del frequentatore di
novità
librarie. In realtà si
tratta di una formula originale levata da una bolla pontificia di Clemente V, in
latino medievale haeretica pravitas. Essa
fu l’espressione autentica con la quale venne indicato e segnato nel Medioevo
il delitto di eresia, una deviazione religiosa allora come adesso molto grave,
sinonimo di malvagità, di perversione, di cattiveria, verso la quale nel XIII
secolo fu lanciata un’apposita crociata, istituito il Tribunale
dell’Inquisizione e creata la figura incappucciata dell’Inquisitore.
Giovanni, l’amico fraterno, unito nell’anima e negli intenti di vita a
Jacopo, il protagonista del romanzo, la dovrà subire e soccombervi per rimanere
vivo solo nel ricordo dell’amico, che però, prima di invocare per sé una
morte liberatoria, racconta per il lettore postumo l’esistenza tragica di
quelle vite individuali passate oscenamente al setaccio delle domande e delle
inchieste inammissibili di ecclesiastici viziati dall’arroganza, incaricati
dalla presunzione della superiorità mistica. Questa è la “finzione” del
romanzo: il racconto postumo.
Ma allora, per l’intimo gioco dell’onestà richiesta a perfezione dell’immedesimazione nel racconto, il lettore dovrà per forza chiedersi che cos’è l’eresia, che cosa vuol dire, in che cosa consista, ora come allora. Significa scelta, l’applicazione letterale e parossistica di quello stesso “libero arbitrio” sul quale si è sempre fondata e col quale si presenta, non senza oscena arroganza, la religione dogmatica avversata dall’eretico. Il termine è greco e sta per “scegliere”, “optare”. Comunemente l’eresia viene presentata come una dottrina, un insieme sistematico di idee religiose che si oppongono a quelle abitualmente accettate. Ma è qualcosa di più profondo, di più intimo, si direbbe quasi a tutto tondo di storico: è uno stile di vita individuale (non individualistico) che si oppone alla Verità rivelata e proposta come tale – in questo romanzo come in tutti i romanzi della vita di ciascun credente non passivo – dalla Chiesa cattolica. Quindi non una “dottrina”, ma un “movimento”, un modo d’essere e di vivere altro che cerca la scelta più giusta, per il caso concreto dell’individuo determinato, posto in un tempo e in uno spazio definiti: la via verso Dio.
Nel
romanzo di Moneti questo dramma esistenziale della scelta è presente in ogni
suo protagonista, gli episodi storici realmente accaduti e riferiti lì come
sfondo determinato, definiscono il contorno psicologico di ogni esistenza umana,
calata nel sentimento della religiosità e del divino. L’avventura di Jacopo
quindi è l’avventura dell’uomo, di ogni uomo in ogni tempo, la mia, la tua,
la loro. Fra’ Dolcino vivo, incontrato e conosciuto, seguìto da Giovanni e da
Iacopo prima di essere catturato e bruciato vivo dall’Inquisizione, non è
tanto un’autorità religiosa, quanto un reale apostolo di Cristo, la medesima parola
divina che si propaga, il verbo di Dio pronunciato in un altro modo.
Opponendosi alla teologia della Chiesa di Roma, l’eretico rifiuta il dogma e il concetto di verità rivelata, si rifiuta di vivere il sentimento religioso in quanto esterno o frutto di una concessione dall’alto verso il basso. Egli non è ateo, tutt’altro! Non respinge Dio, ma altresì il vicariato papale in quanto ecclesiastico. Vi è nell’eresia religiosa un forte sentimento politico, una lotta sorda e discriminante all’interno della classe dirigente, ovvero media. Qui si contesta il principio dell’autorità, insomma; si mette in discussione profonda il modo. Non sempre riconosciamo oggettivamente, nel comune sentimento religioso - cristiano, cattolico, romano - il valore del concetto di rivelazione. Che cos’è una “religione rivelata”?
Non
tutte le religioni sono tali se ben guardiamo. La rivelazione in quanto tale si
fonda solo su Mosè, il quale è l’unico che ha visto
Dio, che a testimonio dell’avvenuto incontro riceve direttamente dalle sue
mani, sul Sinai, la Legge. Lui e lui solo ha il compito di consegnarla al popolo
scelto, di imporgliela, di significare l’autorità della Legge – la quale
non deve essere mai interpretata, ma eseguita ed obbedita. Il fra’ Dolcino di Eretica
Pravità, quando parla, agisce, consola, esorta, chiama all’appello, non
è Mosè, è Gesù: la coscienza, la parola, il Verbo. Maledice non Dio, ma
Bonifacio VIII perché empio e simoniaco, veicolatore della Chiesa del lusso.
Indica e invoca un mondo migliore, una futura vita veramente ascetica, fatta di
fratellanza e rispetto, di effettiva libertà, nella quale l’uomo fatto da Dio
viva consapevolmente e per scelta le necessità, il bisogno e le miserie della
vita: è il sentimento consapevole della Bontà divina.
Per la trattazione di siffatti temi, come poteva Eretica Pravità non essere allora un romanzo storico, cioè romantico? Per i colori e gli odori dell’epoca d’ambientazione (il primo Medioevo), poteva anche non esserlo; forse era addirittura impossibile per occhi troppo realisti da sceneggiatore moderno. Da gran lungo tempo in Italia si dice che dopo la fase post-post-manzoniana il romanzo storico è morto, che non ha più possibilità di esistenza, che il filone è terminato. Qui, nel libro di Moneti, esso invece si ravviva, resuscita dalle ceneri degli stessi roghi che racconta, si rianima dalle inchieste dei clericali neri grazie alla retrogressione inusitata che nessun manzoniano si sognerebbe di proporre. Il destino allora sono i luoghi e i tempi storici ancor più antesignani di quelli agognabili da qualunque cattolico-liberale qual egli fu. Qui si ritorna alle origini, alle fonti di una religione che ancora si poteva avvertire e sentire pura, consolante, al momento piena di quelle promesse che poi non furono. L’Inquisizione perciò fu l’aborto di quelle speranze, esistenziali e religiose ad un tempo, maturate non senza dramma fra la battaglia di Campaldino e il rogo del 1307, in cui con la sua beneamata Margherita da Trento, Dolcino da Novara fu consacrato a fuoco “eretico malvagio”.
1 Andrea Moneti, Eretica Pravità, Mef - L’Autore Libri Firenze, 2004. Fra i primi premi ottenuti nel 2004 dal romanzo ricordiamo fra tutti il Premio Letterario Internazionale "MICHELANGELO", IX Edizione, e il Premio letterario “MARIO SOLDATI” di Torino organizzato dal Centro M. Pannunzio, fra i soci del quale figurano G. Vattimo, O. Fallaci, M. Pera. Il premio Pannunzio, presieduto da J. Gawronsky, ha messo in concorso oltre 300 opere selezionate.
©2005 Fernando Giaffreda