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Il logo del sito http://webquest.org
1. Le questioni fondamentali
Non c’è salvezza né perdizione nella tecnica. Sempre ambivalenti, le tecniche proiettano sul mondo materiale le nostre emozioni, le nostre intenzioni, i nostri progetti. Gli strumenti che costruiamo ci danno sì dei poteri ma noi, collettivamente responsabili, abbiamo nelle nostre mani la facoltà di scegliere [1].
Con queste parole Pierre Lévy descrive i
tratti di una nuova sfida alla storia lanciata dalle nuove tecnologie. I
caratteri di questa sfida appaiono sempre più ultimativi: la metafora del
“naufragio della storia” è infatti frequentemente adoperata ma trova come
sua possibile alternativa la metafora di “imparare a navigare” acquisendo
quegli strumenti che permettono di orientarsi nel “mare” di informazione
presente sul web.
Un tempo, nel XIX secolo, gli
agenti, quasi esclusivi, di storia erano costituiti da luoghi istituzionali;
producevano e diffondevano sapere storico con la finalità di costruire consenso
intorno allo stato nazionale. La stessa scuola era orientata per tale funzione.
I media, a partire dagli anni Venti e Trenta del Novecento, hanno messo in crisi questo modello e, da allora, lo spazio pubblico è stato conteso da un numero sempre più ampio di soggetti:
soggetti istituzionali, storici di mestiere, operatori dei media, forze imprenditoriali, elementi spontanei della società civile [2].
I media possono dunque
intervenire nel determinare le coordinate della storia contemporanea, intesa come vicenda collettiva dell’ intera umanità.
[3]
(La storia, una volta messa in rete, non può essere unicamente confinata alla
storia nazionale, deve confrontarsi con più soggetti portatori di diverse
storie.)
Attraverso i media non è possibile diffondere un’unica vulgata, così come hanno fatto lo Stato, la Chiesa o il Partito.
Ci sarà sempre, scrive Giovanni De Luna, un frammento di mercato…, una minoranza etnica, una appartenenza sessuale, un segmento sociale il cui bisogno di storia andrà soddisfatto con riferimenti specifici e irripetibili per altri interlocutori [4].
Il confine fra ricerca storica e costruzione dell’opinione pubblica si fa sempre più sottile e, proprio per questo motivo, va sollecitato l’intervento degli storici e degli insegnanti nei riguardi di una riflessione sui rapporti fra storia e uso pubblico della storia [5].
Internet, infatti, ha reso
possibile la fruizione di una grandissima quantità di documenti e di letture
del nostro passato da parte di un’altrettanto grande quantità di gente. Ogni
giorno nuovi racconti storici sul passato e sul presente vengono prodotti, messi
in rete e utilizzati come semplici letture o come approfondimenti per ricerche
da un pubblico di internauti estremamente differenziato.
Per questo motivo gli storici,
in questi ultimi anni, hanno cominciato a confrontarsi con la specificità del
web come media di storia, a studiarne le inedite possibilità di manipolazione,
dovute alla riproduzione tecnologica della realtà.
Per chi si occupa di storia si
pongono due questioni fondamentali: la prima consiste nella gestione di una
quantità quanto mai illimitata di racconti sulla storia, in particolar modo
contemporanea, e la seconda nella verifica della qualità del materiale storico
messo in rete.
Tali questioni risultano
centrali anche per trattare di
didattica della storia.
Infatti, in rete troviamo
bibliografie, cronologie, banche dati, depositi d’archivio, cartografie, siti
istituzionali e siti “amatoriali”, riviste, portali e motori di ricerca
specifici, materiali didattici, forum, ecc
Il fattore quantità, dunque,
correlato alla disomogeneità del materiale storico, determina la difficoltà di
organizzazione e gestione del web in funzione dell’apprendimento.
Perciò la questione della
valutazione della qualità del materiale storico è possibile proporla solo dopo
aver messo un po’ d’ordine. Per esempio, una prima distinzione possibile
potrebbe essere quella tra fonti dirette (quali, ad esempio, depositi
d’archivio e cartografie) e indirette.
Come osserva Antonio Criscione,
la rete possiede una struttura opposta alla piramide e, non consentendo di
disporre le informazioni in maniera gerarchica, mette sullo stesso piano siti
prodotti da prestigiose Università e siti amatoriali
[6].
In merito a questo, tuttavia,
gli studiosi di storia e coloro che si occupano di didattica della storia
adottano una prospettiva che non sempre coincide, in quanto soltanto una parte
di ciò che lo storico ricerca è spendibile in campo didattico.
Anche se si produce una grande
quantità di buona storia, non si può pensare che il solo fatto di metterla in
circolazione significhi di per sé "fare una didattica". Occorre
conoscere sia la retorica specifica del web, sia i comportamenti dei giovani
cybernauti.
Questi, infatti, raramente si
soffermano su siti di grande qualità, pur essendo in grado di
riconoscerli con precisione. Da alcune osservazioni compiute sul campo
[7]
abbiamo notato che essi sono attratti da alcuni fattori:
1)
La quantità di informazioni: il sito
deve essere ricco.
2)
L'insieme delle caratteristiche
estetiche: queste non sono viste come semplici aggiunte estemporanee ma come
parti essenziali ed integranti dell'informazione.
3) Temi di particolare (anche se effimero) interesse.
2.
Imparare a orientarsi
È
necessario dunque partire dalla consapevolezza della complessità insita
nell’operazione “navigare” quando essa ha come finalità
l’apprendimento.
Questa
dovrebbe portare alla costituzione di una didattica “non riduzionistica”
[8].
Il
primo obiettivo di questa didattica è quello di vincere lo stesso stereotipo
della navigazione, come espressione di autonomia di ricerca. Il “fare da
soli”, infatti, produce la conseguenza inevitabile di un uso non mirato dello
strumento Internet, e quindi una conferma di errori, conoscenze stereotipate e
di poca qualità.
Si deve contrapporre al
disorientamento della gestione del mare magnum
[9],
un modello di navigazione che si avvalga di strumenti specifici. Filippo
Chiocchetti parla di bussole
[10]
(portali specifici e motori di ricerca) capaci, per esempio, di segnalare le
fonti e di indicarne tipologia e provenienza. Ma si può pensare anche a griglie
di valutazione sulle quali basarsi per verificare la buona fattura o
l’attendibilità dei siti.
Questi strumenti, pensati appositamente per gli storici di professione, potrebbero essere adoperati come modelli per costruire delle bussole adeguate per gli studenti, strutturate in base alla specificità della disciplina e al ciclo di studi da essi frequentati. Quindi dei motori di ricerca dedicati, diversi dai motori di ricerca “orizzontali” come Google o Alta Vista, che raccolgono risorse non soggette ad alcuna analisi qualitativa, e simili invece alla nota esperienza dell'Italian History Index [11] o al portale dedicato alla Resistenza [12] dall'Anpi (Associazione nazionale dei partigiani d’Italia) in collaborazione con il Comune di Roma, che ambisce a divenire il portale della storia del ‘900 in Italia. Gli esempi citati di portali “verticali” permettono un’esplorazione mirata e di qualità, ma non si rivolgono tuttavia direttamente al mondo della scuola. Anche fra questi gli esempi non mancano: Garamond [13], un portale italiano interamente dedicato agli insegnanti e agli studenti, il portale De Agostini [14], e il sito Le scuole in rete [15] che fornisce informazioni su vari siti e portali che si occupano di didattica [16].
Un contributo istituzionale è
offerto dalla Biblioteca di Documentazione Pedagogica
[17]
che offre, insieme a vari tipi di servizi, la possibilità di ricercare nella
sua banca dati
[18]
siti in relazione alle discipline e alle fasce di età degli studenti.
Un diverso approccio, rispetto
a quello della costruzione di portali “verticali”, è quello intrapreso da
altri studiosi [19]
che si sono posti l’obiettivo di stabilire dei criteri, delle voci sulle quali
basarsi per verificare la buona fattura e l’attendibilità storica dei siti.
La risposta al problema della quantità e qualità dell’informazione storica presente sul web, non può che essere infatti nella “educazione ai media”, ovvero nella costruzione di una didattica capace di insegnare ad utilizzare da “storici” la documentazione presente in rete.
3.
Il laboratorio
A tal fine il laboratorio sembra costituire la soluzione più efficace, perché introduce nella didattica alcune modalità di conoscenza tipiche della ricerca storica specialistica: utili non solo per imparare le ricostruzioni storiche, ma per formare e far crescere abilità, quali, ad esempio, l’interrogazione delle fonti e la riflessione su come le informazioni sono state ottenute. Gli studenti imparerebbero, nell’aula di informatica, a verificare se i diversi siti rispondono ai criteri di affidabilità stabiliti, e potranno chiedersi da chi e a quale scopo siano stati costruiti.
Dunque l’ora di insegnamento
sarà di “laboratorio” se intessuta di esperimenti, discussioni, esercizi, valutazioni, lezioni, volta alla scoperta e non soltanto alla comunicazione di un sapere [20].
Internet infatti non è
soltanto uno straordinario strumento per distribuire informazione o un
gigantesco database da esplorare: essa può essere utilizzata come un nuovo
mezzo per la creazione di classi virtuali.
Queste potenzialità sono state
segnalate da numerosi studi su
questo argomento. Si è però ancora molto lontani da una loro
diffusa messa in pratica. Infatti
attualmente le scuole sono grandi produttrici ipermediali, al punto che il possesso di un sito sembra marcare lo status symbol delle istituzioni. Una scuola senza sito non appare una scuola ben accettata dai ragazzi e dagli istituti concorrenti [21].
I siti didattici, dunque sono numerosissimi: è facile immaginare come la loro qualità sia da sottoporre a verifica. Per giunta non disponiamo di una vasta letteratura sull’argomento. Sembra, anzi, che, nella maggior parte dei casi, più che alla didattica, questi materiali puntino alla semplice evocazione di scenari, e dunque appaiono spesso deludenti.
Tuttavia la costruzione di un
sito rappresenta comunque una pratica importante, in quanto è un’ esperienza
molto coinvolgente per i ragazzi. Essi, per produrre un sito o un ipertesto,
sono disposti a divorare centinaia di pagine che, altrimenti, non avrebbero nemmeno guardato [22].
Antonio Criscione, inoltre, segnala l’ambiguità didattica della rete: in molti casi essa testimonia la volontà di potenziare un modello tradizionale di insegnamento, e presenta supplementi finalizzati ad agevolare lo stesso tipo di attività che si svolgeva senza il computer, in altri casi, invece, la rete viene utilizzata come strumento per formulare un nuovo modello di apprendimento [23].
Qui mi limiterò a segnalare
alcune esperienze innovative.
Il logo del sito www.bibliolab.it
Un primo esempio interessante è il sito Bibliolab [24] realizzato e curato da Patrizia Vayola. Il sito è diviso in tre sezioni chiamate “laboratori”, tra le quali una è di storia.
Il Laboratorio di storia on line si propone di fornire occasioni, stimoli, percorsi per attivare nelle scuole itinerari di ricerca e sviluppo di percorsi didattici che facilitino il passaggio da un insegnamento di tipo trasmissivo ad una metodologia che miri al raggiungimento di competenze efficaci da parte degli studenti [25].
La realizzazione di un laboratorio on-line permette l’introduzione di una pluralità di risorse altrimenti impensabili (come immagini, musiche, prodotti di altre scuole, ecc), consente di lavorare per mappe concettuali, porta all’identificazione di nodi problematici e alla definizione di parole-chiave e, infine, consente l’esplicazione dei collegamenti tra i vari elementi della ricostruzione storica [26].
All’interno della sezione
dedicata al laboratorio di storia è possibile trovare dei percorsi didattici
divisi in 4 fasi. Ad esempio i 3 percorsi dal titolo “Dall’altra parte: il
filo spinato e la storia”, 3 percorsi didattici distinti ma cooperanti alla
realizzazione di una mostra sulla storia
del filo spinato. L’esperienza ha coinvolto 4 classi dell’IPSSCT
Quintino Sella di Asti e risulta interessante sia per la messa in pratica di un
modello cooperativo di insegnamento che possiede come obbiettivo la condivisione
delle conoscenze, sia per la capacità di far praticare agli studenti
un’esperienza di ricerca storica a livello laboratoriale. Le diverse fasi dei
laboratori sono ben illustrate e, attraverso di esse, è possibile accedere ad
archivi su diverse tipologie di documenti (manifesti di propaganda, brani
letterari, poesie, testimonianze, fotografie, ecc). In ultimo mi preme
sottolineare che la costruzione del percorso è stata preceduta da una attenta
opera di ricerca di fonti e di saggi storiografici da parte di Patrizia Vayola,
in collaborazione con altri insegnanti, attraverso un forum
on line, da lei moderato.
Un secondo esempio è il WebQuest, un’attività strutturata per insegnare a compiere ricerche sul web. Gli insegnanti forniscono risorse su un dato argomento e descrivono determinati compiti da svolgere [27].
Questo strumento è stato ideato nel 1995, da Bernie Dodge e Tom March (l’Università di San Diego) e si è affermato come un protocollo riconosciuto a livello internazionale [28].
Alcuni esempi di WebQuest sono stati creati da alcuni insegnanti: il francese Jean Philippe Raud Dugal, lo spagnolo Juan Carlos Ocaña, l'inglese John Simkin e l'ungherese János Blasszauer. Jean Philippe Raud Dugal ha intitolato un suo WebQuest Cos’è l’Europa: in questo webquest i ragazzi devono spiegare alla propria famiglia cosa rappresenta l’Unione Europea, attraverso la scrittura di un saggio. Dugal ha costruito una scaletta, composta da più punti da sviluppare, ognuno corredato da link che rimandano ad alcune risorse predisposte [29].
Attraverso
il webquest ogni insegnante definisce un contesto, un prodotto, un modo di
procedere e le risorse on-line e off-line da consultare. Ci si può avvalere dei
webquest già presenti in rete, oppure produrne uno specifico per i propri
studenti o, infine, si può chiedere ad alcuni di essi di produrne per i
compagni.
Il logo del Progetto Trincea
Un
terzo esempio è il Progetto Trincea
[30],
realizzato attraverso la collaborazione di più istituti scolastici: questo
consiste nella creazione di un ambiente virtuale costituito da molte stanze. In
ogni stanza vi sono più giocatori che chattano. Gli studenti immaginano di
trovarsi durante la I guerra mondiale in una trincea, l’insegnante assegna i
ruoli. In questo progetto il gioco di ruolo
[31]
costituisce una parte fondamentale dell’attività: ma viene preceduto da una
robusta fase di ricerca, che coinvolge gli insegnanti e gli studenti
[32].
In questa fase inoltre ci si avvale anche del contributo di esperti che
traducono in grafi i materiali via via prodotti dai ragazzi.
Qui la telematica può giocare un ruolo determinante favorendo il contatto diretto fra scuola ed esperti che operano al suo esterno…In questo modo gli studenti e gli insegnanti non sono più costretti a rimanere completamente isolati nelle loro classi [33].
Quest’ultimo esempio introduce uno dei nuovi territori della didattica: la simulazione, una tecnica che suscita entusiasmi e perplessità [34].
Le simulazioni sono dei modelli e in quanto tali non sono mai completamente adeguate alla realtà. C’è tra simulazione e realtà uno scarto che può essere valutato come un gravissimo svantaggio o, al contrario, come il motore stesso della conoscenza [35].
In questo caso il compito di far cogliere lo scarto tra realtà e simulazione spetta all’insegnante attraverso un confronto finale fra i risultati della simulazione e i dati del mondo reale. La simulazione potrebbe essere utilizzata all’interno di un programma di insegnamento seguendo questo schema [36]:
Osservazione diretta del
mondo reale. |
Preparazione della
simulazione. |
Uso della simulazione. |
Confronto dei risultati della
simulazione con i dati del mondo reale. |
Nell’ultima fase lo studente
viene invitato ad esprimere i propri giudizi.
Il computer rende più agevole
l’utilizzo della simulazione nella didattica, sia per l’accesso alla rete,
sia per questioni meramente tecniche: consente all'utente di agire sulle
immagini, di guardarle da lontano o da vicino, di percepire gli oggetti in uno
spazio tridimensionale, di girarci intorno, di entrarci dentro, di muoversi come
se si trovasse lui stesso in uno spazio tridimensionale; consente di attuare
calcoli molto più sofisticati, di elaborare grafici e tabelle, di riprodurre
parte delle coordinate storiche che in una simulazione non virtuale sarebbero
andate perse. Tutto questo però risulta privo di valore dal punto di vista
didattico se la simulazione, il gioco, il laboratorio, l’unità o gli esercizi
non sono guidati, cioè svolti insieme
all’insegnante (nel ruolo di master animatore).
1 Pierre Lévy, Cybercultura, gli usi sociali delle nuove tecnologie, traduzione
di Donata Ferodi, Giacomo Feltrinelli editore, Milano 1999, pp. 20-21.
2 Giovanni De Luna, L’occhio e l’orecchio dello storico. Le fonti audio visive nella ricerca e nella didattica della storia, La Nuova Italia, Firenze 1993, p. 5.
5
Nicola Gallerano, Le verità della storia. Scritti sull’uso pubblico del passato,
Manifesto libri, Roma 1999: sottolinea come, ripercorrendo la storia
della storiografia occidentale, storia e «uso pubblico della storia» non
siano distinguibili fino a tempi recenti: «sono la stessa cosa», p. 42.
6 Antonino Criscione, Una rete per Clio? Risorse di Storia nel cyberspazio, «I Viaggi di Erodoto», 38/39 (giugno-novembre 1999).
7
Brusa
Antonio, De
Pace Martin, Gentile
Giorgio,
Per una costruzione della
didattica della storia on line. Una ricognizione dell’esistente e qualche
prospettiva, in Greci
Roberto (a cura di), Medioevo in rete tra ricerca e didattica,
Atti del convegno (Parma, 24 gennaio 2001), Clueb, Bologna 2002.
8
La didattica riduzionistica «è la didattica di chi sta in
una sola di queste tre aree discipline storiche, discipline preposte alla
formazione e internet e pensa che soltanto ciò che è direttamente di
propria competenza, sia sufficiente a definire problemi e soluzioni. Gli
studiosi di storia hanno almeno una volta in vita loro deplorato il
riduzionismo di altri storici, e soprattutto l’approccio riduzionistico
pedagogico»:
ibidem.
9
Serge Noiret,
Storia e Internet: la ricerca storica all’alba del terzo millennio,
«Memoria e Ricerca», n. 3 (1999).
10
Filippo Chiocchetti, Le guide alle risorse ondine: una rassegna
critica, «Cromohs», n. 7, in
http://www.cromohs.unifi.it/7_2002/chiocchetti.html.
11
Il sito Italian History Index può essere raggiunto all’ URL http://vlib.iue.it/hist-italy/Index.html.
12
Francesca Anania, Internet, la storia, il pubblico, in «Memoria e Ricerca»,
n. 10 (maggio-agosto 2002).
16
Per una ricognizione sui siti e portali didattici del web si veda giorgio
gentile, La Didattica della Storia nell’internet italiano. Una
ricognizione dell’esistente e qualche prospettiva, tesi di laurea in
didattica della storia, Università degli Studi di Bari, Facoltà di Lettere
e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere, a.a. 2002-2003, relatore professor
Antonio Brusa.
17
Un Istituto Nazionale con sede a Firenze, che ha come scopo la raccolta,
l’organizzazione, l’elaborazione e la diffusione della documentazione
educativa per il mondo della scuola e della ricerca. Il sito è
rintracciabile all’URL: http://www.bdp.it
18
Per accedere direttamente alla banca dati: http://www4.bdp.it/isisphp/etb/ricerca.php
19
Si veda la
griglia di valutazione elaborata
da Jan Alexander e Marsha Tate e riportata in Filippo
Chiocchetti, Le guide alle risorse ondine :una rassegna
critica, «Cromohs» n. 7, in http://www.cromohs.unifi.it/7_2002/chiocchetti.html,
e in Guido Abbattista, La
valutazione delle risorse digitali:biblioteche ibride e studi storici.
Il workshop su studi storici e biblioteche digitali, coordinato da Guido
Abbattista (Università di Trieste) e Riccardo Ridi (Università di
Venezia), 31maggio-1 giugno 2001, Dipartimento di studi storici e
geografici, Università di Firenze, http://www.storia.unifi.it/
storinforma/Ws/ws-biblio2.htm.
23
Antonio Criscione, La
rete come strumento per l’insegnamento/apprendimento della storia nella
scuola, materiali del III Workshop: La didattica della storia, su
archivi, ricerca storica e mutamento digitale, coordinato da Federico
Valacchi (Università della Calabria), Stefano Vitali (Archivio di Stato di
Firenze) e Andrea Zorzi (Università di Firenze), tenutosi il 4-5 ottobre
2002 a Firenze.
24
Per la realizzazione di tale progetto è stato creato un consorzio,
già nell’anno scolastico 1999-2000, che ha coinvolto le istituzioni
scolastiche (la scuola media Alfieri di San Damiano, la Direzione didattica
di Villafranca, l’Istituto comprensivo di Villanova, la Direzione
didattica di San Damiano), l’Istituto per la storia della Resistenza e
della storia contemporanea della provincia di Asti e l’associazione
culturale Il Capitello perduto di Cantarana. Cfr.
l’URL http://www.bibliolab.it/.
27
Dal sito Primavera dell’Europa – WebQuest rintracciabile all’URL http://www.eun.org/eun.org2/eun/it/SpringSite_Resources/sub_area.cfm?sa=3276
29
Rintracciabile all’URL http://www.eun.org/eun.org2/eun/it/SpringSite_Resources/content.cfm?ov=22237&lang=it
30 Informazioni sul progetto sono rintracciabili all’indirizzo web: http://www.tecnologiaeducativa.it/articoli/trincea.htm. Dal sito: «Un'esperienza di utilizzazione dei Moo nella didattica della storia di Lucia Furlanetto e Filippo Viola. Nell'anno scolastico 1998/99, nell'ambito di una ricerca didattica sull'uso dei MUD/MOO come ambienti di apprendimento, è stato implementato e utilizzato un MUD/MOO (Un MUD o un MOO sono programmi che sfruttano le caratteristiche di un sistema informatico multiutente in rete per realizzare giochi di ruolo che coinvolgono numerosi partecipanti) a tema storico. A questa prima fase del progetto hanno partecipato - oltre agli operatori tecnologici delle scuole coinvolte (l'Istituto Comprensivo di Preganziol (TV) e la scuola media statale "Toti Dal Monte" di Mogliano Veneto (TV) - insegnanti di lettere e operatori psicopedagogici».
31
Per un approfondimento sui giochi di ruolo on-line: Stefano
Zanero, Il gioco di ruolo on line,
in Andrea Angiolino, Luca
Giuliano e Beniamino Sidoti, Inventare destini. Il gioco di ruolo
nelle scuole italiane, La meridiana, 2003.
32
Per un ulteriore approfondimento sul progetto si veda: http://www.irrsae.veneto.it/umbe/autonomia/SOTTOPROGETTO%20%20TRINCEA.html
33
Guglielmo Trentin, Apprendimento collaborativi in rete, in Atti del convegno Tecnologie
didattiche e scuola, Genova 12-14 febbraio 2001, pp. 74-80.
34
I docenti «contrari sostengono invece che è quasi una bestemmia usare la
simulazione, quando si potrebbe benissimo misurare direttamente il mondo
reale. Uno di essi dice: "I miei studenti ne sanno sempre più della
realtà computerizzata e sempre meno del mondo reale. E in fin dei conti,
non sanno più neanche che cos'è la realtà del computer, perché le
simulazioni sono diventate talmente complesse che non è più possibile
costruirsele da soli: bisogna comprarsele e così non si riesce più ad
andare oltre la superficie. Se dietro a una di queste simulazioni ci sono
presupposti sbagliati, un mio studente non saprà neanche dove o come andare
a cercare il problema che dovrebbe risolvere. Temo che ormai stiamo andando
verso una situazione tipo Fisica: the
Movie”». Cfr. Sherry Turkle, La simulazione è seducente ma, se non la capisci
,inganna, «Teléma»,
n. 12 in http://baldo.fub.it/telema/TELEMA12/Turkle12.html.
35 Grise
J. B., voce Induzione/deduzione,
in Enciclopedia, VII, Einaudi, Torino, pp. 369-383. Una sintesi dei
problemi della modellistica in storia si trova in Cafagna
L., Storia e modelli; la pratica storiografica, in Gli
strumenti della ricerca, II, Questioni di metodo, II, Firenze, La Nuova
Italia, pp. 1381-1393.
©2007 Valentina Sepe.