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di
FRANCO
CARDINI
La Puglia dei misteri inesistenti. L'onda lunga dell'effetto-Dan Brown. Una fantasiosa teoria vuol vedere nel mosaico della cattedrale
salentina una riproduzione della ricerca del calice leggendario ad opera dei Templari.
Dopo le ipotesi su Castel del Monte, un'altra bufala antistorica.
I
Non c'è dubbio alcuno che vi sono più segreti in cielo e in terra di quanti non supponga la nostra povera filosofia, come diceva quel tal principe danese al suo fido amico Orazio. E tuttavia, bisogna rifuggire dall'idea che tutto il mondo sia avvolto in un immenso, inestricabile Mistero, in un Segreto impenetrabile. È un po' come le teorie complottistiche: perché, se da una parte è vero che c'è sempre stato e continua ad esserci un sacco di gente che complotta di continuo per infinite ragioni, ciò non prova affatto che le fila del mondo siano tenute nelle mani dei protagonisti d'un solo, grande Complotto. O, quanto meno, tutto resta da dimostrare.
Prendete la storia della Puglia: oggi va di moda andarci a caccia di enigmi. Ma è tutta un enigma, anche senza andar a scomodare Castel del Monte o i Templari di Barletta. Si tratta d'una regione di transito, un vastissimo piano di scorrimento di genti diverse che hanno lasciato ciascuna la sua traccia come su un immenso palinsesto. È da oriente che sono arrivate le differenti ondate delle genti che ci ostiniamo a definir «indoeuropee», così come i monaci basiliani che ci hanno insegnato tante cose.
Una regione di transito.
È davvero sbarcato nel Salento, san Pietro? Meno improbabile di quanto si pensi. E tutti quegli ebrei in Puglia, che riuscirono perfino a convertire un arcivescovo barese medievale? E i saraceni che nel IX secolo fondarono un emirato in Bari, che cosa ci avranno lasciato? Perfino le origini della celebre architettura dei trulli restano un mistero. I problemi riguardanti il culto micaelico della grotta del Gargano sono in gran parte ancor aperti, come quelli relativi alla chiese rupestri e alle grotte. Ed è vero che dietro il massacro della gente di Otranto, nel 1480, più che la volontà del sultano c'erano gli intrighi dei veneziani e dei fiorentini, in guerra col re di Napoli e desiderosi di creargli un imbarazzante diversivo? E infine, chi era davvero san Nicola di Bari? E quello di Trani? E di questo passo si potrebbe andar avanti a lungo. Non ne sappiamo quasi nulla, nonostante la lunga tradizione di studi. Resta davvero tantissimo da fare. E allora, per quale strana forma di debolezza culturale (e forse psicologica), invece di approfondire i veri misteri che ci stanno di continuo di fronte, corriamo dietro ai chiacchieroni e agli impostori che ce ne propongono d'inesistenti? Certo, se queste truffe dilagano, la colpa principale risiede nella nostra ignoranza.
Prendiamo non tanto il successo del libro di Dan Brown (il successo d'un romanzo resta sempre qualcosa d'incomprensibile), quanto il credito che le stupidaggini in tale libro contenute hanno riscosso in un paese come l'Italia, con una tanto forte percentuale di diplomati e laureati. Sarebbero bastati i libretti tascabili della Storia delle religioni editi da Laterza nell'Universale Laterza a una decina di euri ciascuno a informarci sugli apocrifi evangelici e sulla differenza tra i rotoli del Mar Morto e quelli di Nag Hammadi; con un po' di Bignami, avremmo padroneggiato i misteri di Leonardo e imparato che i Templari nel 1314 furono bruciati a Parigi, non a Roma. E che «rivelazioni» volete aspettarvi da uno che scrive un libro mettendoci dentro errori così pateticamente enormi?
Stesso discorso per un «lancio» d'agenzia Ansa dei primi del giugno scorso, poi ripreso dalla stampa e arrivato fino a ora. A Perugia, uno dei tanti «Ordini templari» che oggi impestano l'Europa (parecchie decine) ha tenuto un convegno su «Il Tempio nello spirito dei cavalieri di ieri e di oggi» (sic) durante il quale - cito dall'Ansa, alla quale va quindi l'eventuale responsabilità di errori - tal professor Francesco Corona dell'Università La Sapienza di Roma ha svelato che nel celebre mosaico della cattedrale di Otranto si celerebbe il mistero della cerca del Graal. Stando a quanto ha dichiarato il Gran Priore d'Italia dell'Ordine Templare in questione, tal Stelio Venceslai (cito alla lettera dal lancio d'agenzia), questa scoperta relativa a un mosaico «del 1200 (quindi di epoca templare) sconvolge quella che è un po' la storiografia intorno al Graal»... perché sembra che il mosaico «riproduca la cerca del Graal» un secolo prima del libro di Robert de Boron che introduce nel mondo la storia del Graal»... «in un territorio governato da Federico, dai Normanni» (bizzarramente posti in quest'ordine, alla faccia della cronologia), eccetera.
Bene: speriamo che la nostra accorata denunzia pervenga alle auguste orecchie del Gran Priore Venceslai, e ch'egli s'affretti a dar querele all'Ansa. Perché se così non farà, saremo liberi di evincere che l'illustre dignitario del per noi non meglio identificato ordine (quale tra i molti che nel nostro paese si affannano a distribuir patacche?) che egli davvero crede che il 1200 (vale a dire il XIII secolo?) fosse «epoca templare» (i pauperes milites Christi furono riconosciuti come militia nel secondo quarto del XII secolo e sciolti da papa Clemente V nel 1312); e che tale periodo si situi «un secolo prima di Robert de Boron», il quale in realtà risulta attivo nella prima metà del Duecento, appunto, e non fu il primo testimone della leggenda del Graal, oggetto misterioso del quale parla un altro poeta, Chrétien de Troyes, fin dagli Anni Settanta del XII secolo.
I Templari e il Gran Priore
Lasciamo perdere il resto. Nessun professor Francesco Corona figura negli elenchi dei docenti della Sapienza di Roma né di altri pubblici atenei. L'unico Francesco Corona che risulta stando ad elenchi ufficiali che sono consultabili anche on line è un ricercatore che sembra aver fatto qualcosa nel campo delle comunicazioni ed essere in contatto con la Luiss e il Cnr, nonché membro di un'associazione privata, l'Accademia Angelica Costantiniana: ma non gli si riconoscono studi nel campo della storia dell'Ordine del Tempio né del santo Graal né della medievistica in genere. Mi smentisca, se può: sarò lieto di far pubblica ammenda. Quanto al mosaico di Otranto, dopo gli studi anche recenti, di Chiara Frugoni e di altri, ne sappiamo abbastanza: e non sembra proprio che il convegno perugino illustrato da tanto prestigiosi dignitari templari abbia sconvolto le cognizioni acquisite.
Nel mosaico idruntino c'è memoria precisa del ciclo arturiano, e difatti la Puglia è stata interessata dalla presenza normanna fin dall'XI secolo. Su Artù, come ben sappiamo (e penso anche ai fregi di San Nicola), i normanni erano informati. Il ciclo del Graal ha rapporti con il mito arturiano, ma ne costituisce una sezione ben caratterizzata: non facciamo confusione. E lasciamo perdere per favore le storie del Graal e di san Nicola: ormai lo sanno tutti che le ha messe in giro il fumettone di Martin Mystère. Insomma, dopo le bufale sul Graal e Castel del Monte, ecco arrivare - per farci perdere altro tempo - quelle sul Graal e Otranto. Condite altresì, sempre stando al Gran Priore Venceslai, «dai tantra, il che significherebbe una commistione oserei dire "ecumenica" di religioni e di impostazioni filosofiche». Non osi dirlo, Gran Priore, non osi. Per piacere.
(«Gazzetta del Mezzogiorno» del 25/06/2006)
II
Caro direttore [della «Gazzetta del Mezzogiorno, N.d.C.»], spero che tu ospiterai questa mia con un certo rilievo: se non altro perché, se sacrifico una serata tranquilla e - una volta tanto - priva d'impegni per scriverti queste due righe, è colpa tua. Infatti, qualche settimana fa, fu la tua perfidia a obbligarmi a tornar su quella che del resto era una mia vecchia passione, il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, che - secondo un convegnocelebrato a Perugia e alcuni «lanci d'agenzia» - era stato oggetto d'una nuova, rivoluzionaria interpretazione dove tra l'altro c'entravano la cabbalà ebraica e la mistica induista. Coincidenza ha voluto che il tuo appello mi giungesse proprio mentre finivo di leggere il bel libro edito da Maya Burger e da Claude Calame, Comparer les comparatismes (Paris-Milano, Edidit -Arché, 2006), dove un illuminante saggio di Philippe Bornet parlava appunto di rabbini e brahmani.
Mi accinsi quindi fiducioso alla ricerca: e mi trovai naturalmente di fronte alla solita bufala occultistica, alla solita brodaglia generica, megalomane, velleitaria, fritta e rifritta senza un minimo di ordine, né di logica, nédi senso compiuto. Ma sono, per mia sfortuna, una persona seria. Per cui ho invitato un mio amico anch'egli medievista, laureato molti anni fa con Eugenio Garin e specialista appunto di filosofia del XII secolo (quello del presbitero Pantaleone, il probabile ideatore del programma simbolico del grande tappeto musivo) a una bella gita nella penisola salentina, pagata di tasca nostra. Abbiamo mangiato ottimo pesce, bevuto splendido vino e ammirato di nuovo quella meraviglia di mosaico dove l'Albero della Vita racconta, con episodi ripresi dalla Bibbia e dalla storia che allora era ritenuta «profana» (Alessandro Magno e Artù) posti in parallelo, la grande avventura della caduta e della redenzione del genere umano, e dove si spiega quale sia l'armonica struttura dell'universo, del tempo scandito nei ritmi delle stagioni e del mondo con le sue molte forme viventi. Vittima di «scempi d'epoche diverse» Eppure manca ancora, nonostante i benemeriti sforzi eruditi - dal vecchio Schulz giù giù fino alla Frugoni, un'interpretazione generale e coerente di questa mirabile fonte iconica. Non mi sono dato per vinto.
Ho telefonato al mio vecchio amico e collega Raffaele Licinio, direttoree del Centro di Studi Normanno-Svevi dell'Università di Bari che tra qualche giorno aprirà i lavori della sua tradizionale Settimana di Studi, e gli ho perentoriamente detto che è necessario un grande convegno a Otranto dove gli specialisti di tutta Europa convergano per studiare di nuovo il mosaico della cattedrale. Ha accettato. Sta ora a te stargli alle costole perché mantenga la promessa. Ma è necessario farlo subito. Il tempo stringe. In un articolo di quasi quarant'anni fa, del 1968, Chiara Frugoni segnalava che il mosaico era stato vittima di «scempi d'epoche diverse» e che era soggetto a un'implacabile «opera di distruzione»; e che «le tessere se ne vanno» ma, «dove i guasti si son fatti grossi, c'è stato il brutale cemento a dissimulare i vuoti».
Direttore: datevi una sveglia costaggiù in Puglia. Son passati quarant'anni e lo scempio s'è aggravato. Sul mosaico ci sono diverse decine di sedie in plastica dalle zampe di metallo, a tormentar il mosaico. Sono cattolico romano, figurarsi se non apprezzo che i fedeli vadano a messa: lì, però, ogni messa è un passo avanti verso la distruzione d'un'opera d'arte unica al mondo. Eppure, con i materiali e le tecniche di oggi, una passerella in metallo leggero o in vetroresina basterebbe a salvare l'opera dallo scempio definitivo; e costerebbe anche poco. O, altrimenti, tanto varrebbe rimuovere il mosaico e rimontarlo in uno spazio coperto appositamente creato, magari per farne un bel museo del mosaico pugliese. Andate a vedere lo splendore che con quattro soldi ha realizzato padre Michele Piccirillo al Monte Nebo, in Giordania, un'area ben più disagiata del Salento. Permettimi un po' di sana esterofilia. Ormai da circa tre anni, vivo buona parte del mio tempo in Francia. So quel che dico: se Otranto fosse una città della «Sorella latina», a quest'ora l'area circostante sarebbe piena di grandi cartelli pubblicitari che annunzierebbero le bellezze del suo mare, la dolcezza dei suoi vini, la bontà del suo pesce, la gloria dei suoi martiri del 1480 e, naturalmente, la meraviglia del suo capolavoro musivo. E Otranto sarebbe piena di librerie e di centres d'acceuil dedicati alla bella opera, con vantaggio - fra l'altro - dell'economia cittadina e della sua immagine.
Notte e nebbia sulla rovina
Ma siamo in Italia, siamo in Puglia. È perfino difficile raggiungerla. Dalla stazione di Lecce, non si capisce nemmeno come si fa per arrivare a Otranto. Alla fine si capisce che bisogna fare un biglietto a parte e si sale sul trenino per Maglie, che non è annunziato dai quadri luminosi della sala biglietteria. Poi, a Maglie, si scende, si aspetta un po' sulle panchine della piazzetta e alla fine una corriera ci porta alla stazione di Otranto ch'è ormai semismantellata. E del mosaico, la rovina del quale era stata denunziata quasi quarant'anni fa da Chiara Frugoni? Notte e nebbia. Non se ne occupa nessuno. Ma, dico, non ci sono un sindaco, un presidente della provincia, un presidente della regione, decine fra assessori e consiglieri, un sovrintendente alle belle arti, uno alle antichità e così via? E le autorità religiose, perché fanno finta di nulla (e poi si lamentano del fatto che le tradizioni languono, che nessuno si ricorda più delle nostre radici, che la nostra identità è minacciata e così via)?
E dalle Università vicine - da Bari, da Lecce, da Taranto, da Potenza - che cavolo fanno i medievisti, gli storici dell'arte, gli archeologi? Non gliene frega nulla a nessuno? La vicina Gallipoli ha dato i natali a un illustre politico, un cattolico ch'è stato ministro, e ha «adottato» un diessino che ministro lo è adesso: perché non prendono le loro auto blu e non fanno un salto a Otranto? La Puglia ha mandato ai parlamenti italiano ed europeo parecchi parlamentari: onorevoli, un'interrogazione sullo stato del mosaico di Otranto, gloria dell'umanità, vi costa tanta fatica? Un deputato eletto in Puglia per la Margherita, il mio vecchio amico Khaled Fouad Allam, è musulmano: Khaled, mezzo millennio fa un tuo correligionario, Ahmet Pasha, massacrò ottocento disgraziati idruntini. Prenditi la responsabilità d'un atto riparatorio: occupati del mosaico.
E infine, direttore, muoviti anche tu. Il tuo e gli altri giornali pugliesi hanno un dovere preciso nei confronti del patrimonio artistico che va in malora. Fate qualcosa, perdinci.
(«Gazzetta del Mezzogiorno» del 19/09/2006)
©2006 Franco Cardini e «Gazzetta del Mezzogiorno»