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Una carbonaia
Un antichissimo mestiere che si perde nella memoria e nel tempo è senz’altro quello del carbonaio. Ancora oggi in qualche antica cartolina si scorge un paesaggio dantesco con radure costellate di piazzole dal fondo annerito.
Le zone montane furono sfruttate per lungo tempo per le notevoli risorse boschive. Il carbone nelle sue diverse forme che vanno dall’antracite, alla lintracite, alla lignite e alla torba, è il risultato di una lenta decomposizione, iniziata circa trecento milioni di anni fa nel periodo detto carbonifero. Enormi masse vegetali sono state sepolte e ricoperte di terre, rocce ed acque, in seguito ai grandi movimenti della superficie terrestre, il materiale organico in assenza di aria è stato decomposto dal calore e dai microrganismi, fino a trasformarsi in masse ricche di carbonio.
La carbonaia, come altri tipi di artigianato del metallo, assunse in passato un importante ruolo, dal momento che il carbon fossile era raro. Fin dal Medioevo il carbone da legna era impiegato, grazie al suo alto potere calorifico, nelle professioni artigiane come quelle dei fabbri, spadai, orafi ecc., nelle miniere per la riduzione del ferro e nella produzione del vetro. Il ferro macinato serviva per smerigliare e levigare, ma serviva anche come componente della polvere da sparo, la cenere della carbonella era trasformata in lisciva per il lavaggio della biancheria.
Sulle Alpi della Svizzera, anticamente, erano all’opera, nei boschi
dei villaggi, carbonai professionisti; in quei posti la produzione era molto
intensa e la richiesta di carbone vegetale era alta al punto che intorno al XVI
secolo si verificò una penuria generale di legname. Per proteggere i boschi, le
autorità cercarono di regolamentare severamente il lavoro delle carbonaie:
dapprima fu vietata l’esportazione del carbone, poi
commercianti e proprietari privati di boschi, fra cui anche fonderie e
fucine, poterono allestire carbonaie solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione;
il numero dei carbonai professionisti venne limitato e l’attività sottoposta
a patente.
Nel XVIII secolo i boschi destinati alla crescita vennero sempre più
sottratti alla produzione di carbone; per quest’ultima fu necessario sfruttare
più spesso legname di scarto, ceppaie ed alberi abbattuti dal vento. Le
carbonaie furono trasferite in boschi impervi da cui il carbone da legna,
leggero, si poteva trasportare facilmente; per questa ragione, in zone boscose
poco accessibili del Giura e del Nepaf, le carbonaie proseguirono l’attività
fino al XX secolo, anche se già nel XIX il
carbon fossile importato cominciò a
sostituire il carbone da legna. Il processo di sostituzione si interruppe per un
breve periodo durante gli eventi bellici.
Oggi, grazie alla nuova espansione commerciale costituita dalla legna
per i barbecue, in Svizzera qualche carbonaia rimane ancora attiva nella zona
del Entlebuch [1].
La presenza di carbonaie era consistente e diffusa anche in tutto il
territorio montano nazionale: lungo l’Appennino Settentrionale e Meridionale e
nelle relative zone collinari.
La carbonizzazione del legno o altro vegetale legnoso fino a non molto
tempo fa era a larga diffusione specie durante i mesi freddi. Oggi la carbonella
è utilizzata in massima parte durante i pic-nic per
i barbecue.
Condizione preliminare per la carbonizzazione era la disponibilità del
materiale legnoso, procacciabile in modi
diversi a seconda dell’ubicazione dei boschi in cui si raccoglieva la
legna e della disponibilità dei proprietari degli stessi. Le carbonaie erano
costituite da tronchi di diverso diametro ammucchiati tutt’intorno alle
piazzole, producevano nuvole di fumo grigiastro o bianchiccio o spesso, di un
nero intenso o azzurrognolo, che si levavano notte e giorno nel cielo terso.
Ottemperati gli obblighi amministrativi e burocratici tra enti e proprietari dei boschi nelle zone interessate alla raccolta, si decideva quale dovesse essere lo spiazzo in cui costruire la carbonaia. La legna raccolta veniva accatastata nella piazzola ben pareggiata a forma circolare con un diametro di circa 4 o 5 metri, le misure potevano variare ed essere anche maggiori. Per la scelta dello spiazzo, si teneva conto della qualità del terreno, che non doveva essere né troppo poroso, in modo da impedire il passaggio dell’aria che avrebbe favorito una carbonizzazione troppo rapida, né troppo compatto, per non rallentare successivamente il processo di combustione. La condizione ottimale era favorita dai posti in cui era già avvenuta la carbonizzazione per garantire la regolare cottura del legname potendo ottenere un prodotto in carbone pari al 15% o al 20% in più rispetto ad una piazzola usata per la prima volta.
Il compito del carbonaio era quello di verificare se il posto fosse ben
arieggiato; maggiore era il riparo, minore era la possibilità che si
verificassero correnti d’aria che avrebbero fatto bruciare piuttosto che
carbonizzare la legna. Indispensabile era anche la presenza di corsi d’acqua
per spegnere focolai e incendi indesiderati e, certamente, non rari.
Anche la vicinanza a strade e sentieri era da preferire, in quanto rendevano più
facile e meno dispendiosa la raccolta della legna
ed il trasporto del prodotto ottenuto dopo il processo di
carbonizzazione. Una volta individuato il posto in cui costruire la carbonaia,
si sceglieva il punto centrale per poi passare alla misurazione dei passi
necessari sulle rette perpendicolari che da esso si dipartivano; oppure si
fissava al centro un picchetto e, con una corda legata ad una piccola asse, si
incominciava a tracciare una circonferenza, avente per raggio le misure prese in
precedenza utilizzando un pezzo di fune. In una radura potevano essere costruite
anche fino a 10 o 15 piazzole, in dipendenza e proporzione alla circonferenza
delle diverse carbonaie, al numero di addetti, alla durata della stagione
lavorativa e alle quantità di legna disponibile; in caso di presenza di asperità
del suolo, il carbonaio spianava la superficie su cui eseguire le varie
operazioni relative alla carbonizzazione.
Nel Gargano come altrove, il carbone era prodotto in quantità
consistenti al fine di poter rifornire l’intero territorio di Capitanata e non
solo; a tale riguardo, studiosi locali appassionati della materia hanno svolto
ricerche utili, confluite in pubblicazioni pregevoli ed esaustive nelle quali,
in modo dettagliato, sono esposti i modi di procedere alla raccolta e alla
carbonizzazione della legna
Un altro aspetto da considerare in questo mestiere era l’abilità che
il carbonaio doveva avere, considerati anche i rischi che derivavano da tale
lavoro. Rispetto al passato, il sistema più recente di costruzione delle
carbonaie, con la portella disposta
sulla parte anteriore nella parte alta della carbonaia, se pure dava meno
rendimento nella produzione di carbone, evitava le tante morti per asfissia che
in passato erano molto più frequenti.
I primi ad adottare questa tecnica di costruzione in Italia furono i perugini, intorno agli anni compresi tra il 1917 ed il 1924. Tale tipologia di carbonaia era costituita da due grossi tronchi ai lati dei quali si disponevano altri tronchi in linea orizzontale, fino a raggiungere l’altezza dei primi in modo da creare un vuoto a forma di prisma quadrangolare detto rocchina. Poi si procedeva mettendo altra legna intorno e si disponeva lo spiazzo per affiancarvi l’altra carbonaia. Per attizzare il fuoco, si utilizzavano i mozzi costituiti da piccoli pezzi di legna che dalla bocca della carbonaia si inserivano nella rocchina. La produzione oscillava dall’impiego di 1500 quintali di legna mista ovvero carpino, faggio, acero, cerro ed elce, per ottenere 500 quintali di carbone.
Per quanto attiene al territorio del Gargano, per la costruzione delle carbonaie si procedeva disponendo tre tronchi robusti della lunghezza di metri 1,30-1,40, in uno spiazzo formato da una piramide triangolare che costituiva la rocchina, ossia il nido ai lati del quale nella parte posteriore si collocavano tre tronchi piccoli; proseguendo nella parte anteriore ai lati del triangolo, si appoggiavano al nido altri due tronchi un po’ più alti e se ne collocavano altri intorno, sempre in linea obliqua, ed ancora due pezzi ed altra legna intorno, procedendo così fino a formare sette, otto, nove file di legna, e fino a 50 a seconda delle quantità da carbonizzare; sui grossi tronchi si inserivano quelli medi infine, i rami più grossi e quelli più piccoli. Il tronco conico che si ricavava dalla disposizione obliqua della legna su pianta circolare poteva avere un diametro di 2, 3 o 4 metri. a seconda della quantità di carbone da ottenere. I tronchi di legna disposti davanti al nido conservavano la forma triangolare e formavano la portella, si disponevano nel mezzo, in linea orizzontale, altri grossi tronchi di alberi affiancati dai minori di dimensioni e poi da altri in linea trasversale ai primi; su questa fila di pizzi che formavano la lettere se ne formavano altre di dimensioni minori e su di esse si disponevano i cavallotti ed altri attrezzi in modo circolare, al fine di dare alla carbonaia la rotondità. L’intera massa legnosa era coperta da foglie fresche o secche oppure di erba, per impedire che la terra penetrasse nei fori formati dai tronchi degli alberi. Sui fasci e sulle foglie secche si deponeva la terra: due palmi di sperone sui fasci e quattro palmi sulla testa. Una volta formata la carbonaia al centro del nido, si inseriva una grossa quantità di legna secca e si attizzava il fuoco, alimentandolo con cura per 3 o 4 volte al giorno. Dall’apertura della portella al fuoco centrale si ponevano i tronchi di albero, che erano sollevati da due carbonai e venivano passati sotto le gambe degli stessi ogni qualvolta questi assumevano la posizione inginocchata o carponi, dovendo entrare nella portella per alimentare il fuoco e verificare se fosse ben alimentato.
Trascorsi 4 o 5 giorni i carbonai, accertatisi che la produzione di
carbonella era soddisfacente, a seconda della quantità di legna da
carbonizzare, dopo essersi garantiti l’ottima combustione, inserivano questi pizzi
nella portella e la coprivano di foglie e di terra aprendo al di sopra
della carbonaia gli sfiatatoi per favorire l’entrata dell’aria e l’uscita
del fumo.
Dopo 13 o 14 giorni di cottura si sfornava la carbonella e si faceva
raffreddare; fatto ciò, si procedeva alla conservazione nei sacchi ed al
trasporto nei luoghi in cui essa era richiesta.
Grossomodo la tipologia delle carbonaie era identica dappertutto, certo è che questa importante attività era legata al taglio dei boschi e, certamente, il carbone è stato un combustibile con cui per secoli è stato possibile trasformare i minerali ferrosi in ferro di alta qualità.
Per quanto attiene alle zone del Gargano e non solo, i carbonai hanno
continuato a carbonizzare la legna secondo i metodi tradizionali e, con qualche
accorgimento, hanno migliorato la tecnica di produzione lasciando però quasi
inalterato il sistema.
Secondo lo studioso di Monte Sant’Angelo Michele d’Arienzo i carbonai garganici in passato si erano industriati nello sfruttamento della legna, per ottenere prodotti di largo consumo prima ancora che le moderne tecniche prendessero il sopravvento. Perciò, questi costruivano le carbonaie in luoghi soprelevati e con appositi condotti facevano defluire i liquami bituminosi in serbatoi, vasche o fosse comunicanti tra loro, scavate nel terreno o rivestite di argilla e mattoni. In assenza di aria nel primo serbatoio, venivano bruciati perchè fossero convertiti in pece, fatti poi passare nel secondo; qui si lasciavano raffreddare per solidificare al fine di essere poi messi nei contenitori idonei al trasporto.
Dopo l’insaccamento vero e proprio si concludeva il lungo periodo di
carbonizzazione che, in genere, aveva una durata temporale che andava da
settembre a tutto maggio di ogni anno.
Sembra strano ai nostri occhi tutto ciò, se si pensa che solo 200 anni
fa la siderurgia ha incominciato ad usare il carbon fossile, che pure era
estratto da tempo, e solo 150 anni fa è nata la siderurgia industriale moderna.
Per favorire la metallurgia, nel tempo sono state tagliate intere foreste con effetti devastanti sull’ecosistema, ma se ci soffermiamo a pensarci bene, tale operazione imitava ciò che naturalmente avveniva nel sottosuolo da milioni di anni.
2 Cfr. M. d’Arienzo, Carboni e Carbonaie a Monte Sant’Angelo e nel Gargano, Foggia 1986, e G. Tancredi, Folclore Garganico, ristampa anastatica a cura di Grenzi Editore, Foggia 2004.
©2007 Lucia Lopriore