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Marc Bloch
Scorrendo l’indice, in calce ad una recente Introduzione
a Bloch
[1], degli studi su Marc Bloch pubblicati negli ultimi
dieci anni, si ha l’impressione che ogni aspetto della vita e dell’opera
dello storico francese sia stato studiato, approfondito, analizzato, e non solo
così come si procede per ogni “classico” della storiografia, ma anche per
qualcosa in più. Bloch, in effetti, non è solo il grande medievista,
l’attento storico indagatore di problemi legati all’età moderna, il
fondatore, con Lucien Febvre, delle «Annales»: egli è un “modello”,
scientifico e civile, di storico e cittadino, di soldato e di partigiano,
l’ebreo la cui vita è profondamente segnata e sconvolta dall’antisemitismo
(l’affare Dreyfus, prima del nazismo), il simbolo, magnificamente compreso nel
fragile, eppure ancora fresco e vivo, Mestiere
di storico [2], di
una storiografia al servizio degli uomini.
Quando un uomo, o un’esperienza storica, diventa
un modello, accade sempre che dalle celebrazioni e dai riti collettivi che li
celebrano come tali emerga un’immagine stereotipata e irrigidita dalla
retorica, e che spesso si perdano gli elementi più dinamici, ancora fecondi o
poco esplorati, magari contraddittori, di quell’uomo o di quell’esperienza.
Nonostante questo, a detta dei commentatori più attenti, aspetti essenziali
dell’opera di Bloch sono tuttora da scoprire o da indagare.
Certamente queste poche pagine non hanno, né
potrebbero averne, altro intento se non quello di operare una sintesi, più o
meno efficace, di quanto già scritto da altri su una delle opere maggiori di
Bloch. Tuttavia, spero che tra le righe di un lavoro preparato per un impegno
accademico da un giovane appassionato di storia, qui e là venga fuori la mia
simpatia e la profonda ammirazione per un intellettuale che, dinanzi alla
barbarie, ha scelto di difendere e servire quella verità e quella libertà che,
nelle sue forme storiche, ricercava, sino a morirne.
I.
I primi anni del Novecento, anni in cui Bloch compie le sue prime esperienze di giovane studioso e ricercatore, costituiscono un momento in cui la scienza storica vive una profonda crisi metodologica e filosofica. Attaccata nella sua legittimità e nei suoi stessi fondamenti scientifici da correnti culturali ispirate ad un romanticismo tardo e irrazionalista, dopo il grande successo del rigore positivista e del metodo filologico nella edizione dei testi, la storiografia tradizionale, “ufficiale”, subisce anche i tentativi di revisione, di contenuti e metodi, avanzati dal materialismo storico, da un nuovo idealismo e da una concezione globale della realtà come storia che prese il nome di storicismo. Croce, Gentile, Labriola, Volpe in Italia, Meinecke e Weber in Germania, ciascuno con i propri allievi, in polemica con le sopravvivenze estreme della cultura romantica, specie tedesca, cercavano di rivederne i contenuti, depurandoli degli elementi più irrazionali, contestandone gli esiti razzisti e nazionalisti [3].
Bloch vive in un contesto culturale diverso, in cui
l’elaborazione storiografica romantica francese, di Michelet, Guizot e Thierry,
ad esempio, carica di passioni e colori, nazionalista e soggettiva e
giudicatrice, è radicalmente avversata non in nome di una nuova filosofia della
storia, più o meno legata alla precedente, ma affermando la necessità di una
critica delle testimonianze davvero “scientifica”
[4],
di una storia che si occupi delle società e delle
istituzioni, attenta alle strutture sia materiali sia mentali, superando dunque
una visione storica costruita sui grandi eventi della diplomazia e della
politica. È questa la lezione che Bloch trae dal padre Gustave, da Ferdinand
Lot e soprattutto da Fustel de Coulanges, storico della genesi della Francia
come risultato di un processo di incontro tra Gallia romana e mondo germanico,
attento ai fatti sociali e alle istituzioni quanto ai loro modi di
rappresentazione mentale.
Quest’ultimo aspetto è rivelatore dell’interesse di Bloch verso quella scuola sociologica francese, che aveva in Émile Durkheim e nell’«Année sociologique» il suo punto di riferimento, che aveva rinnovato profondamente le scienze umane, fondandole scientificamente.
«I nostri studi debbono molto a quel poderoso sforzo: abbiamo imparato a penetrare più addentro con l’analisi, a serrare più da vicino i problemi, a pensare, oserei dire, meno alla buona. Se ne parlerà con infinita riconoscenza e con rispetto. Oggi, esso può dirsi superato; ma questo è per tutti i movimenti intellettuali, prima o poi, lo scotto della loro fecondità» [5].
Con queste parole Bloch riconosceva in Durkheim un modello di rigore, di cui però respingeva il teorizzato assorbimento della storia all’interno della sociologia, e tuttavia non l’unico, nell’ambito delle scienze umane. Se Bloch è un attento lettore non solo di Durkheim, ma anche di Charles Blondel, Maurice Halbwachs, François Simiand e Louis Gernet, di scuola durkheimiana, è anche vero che, sotto questo aspetto, assume un ruolo importante il soggiorno presso l’Institut für Völkerpsychologie di Lipsia, diretto da Wilhelm Wundt, nel 1908 [6].
Proprio nell’«Année sociologique», inoltre, Bloch aveva trovato una lettura attenta e ricca di spunti delle tesi di Friedrich Ratzel e della geografia umana tedesca, molto più strutturata teoricamente, ad esempio, di quelle degli stessi geografi francesi, Paul Vidal de la Blache innanzitutto. Sebbene qualche spunto per le ricerche di storia agraria siano giunti dalla geografia degli ecosistemi vegetali, in cui la Francia eccelleva, e senz’altro dalle monografie regionali, di cui si contano una decina almeno tra 1905 e 1930, tuttavia la monografia di Bloch sull’Île-de-France, apparsa nel 1913 per la collezione di storia delle regioni francesi diretta da Henri Berr, si discosta notevolmente dalle altre proprio su alcuni punti fondamentali: la nozione di pays innanzitutto, paesaggio o regione geografica, cui si nega autonomia come oggetto di studio; l’assenza di ogni approccio comparativo, cosa che impediva un’analisi in termini strutturali dei grandi problemi di storia agraria; la mancanza di adeguati corredi cartografici; l’ignoranza di alcuni problemi ineludibili nell’analisi dei campi, quali le tecniche agricole e i rapporti di proprietà [7].
È dunque necessario allargare il campo
di indagine sui fattori genetici del metodo e degli interessi di Bloch in fatto
di storia agraria ad un orizzonte europeo, in primo luogo alla Germania. Vinto
nel 1908 il concorso statale per l’insegnamento secondario, Bloch trascorre
due semestri, in quello stesso anno e nel 1909, presso le università di Berlino
e Lipsia, secondo un’abitudine consolidata di molti giovani medievisti
francesi. Alla rigorosa tradizione di storia giuridica e istituzionale,
impersonata da Georg Waitz, ad esempio, la cultura storica tedesca poteva
affiancare gli studi di Kulturgeschichte,
di storia della civiltà, portati avanti da Karl Lamprecht, in cui appunto la
storia sociale dei contadini e della signoria fondiaria era ben collegata alla
storia del diritto. August Meitzen e Georg F. Knapp, che erano invece definiti
da Bloch stesso come i «corifei» della storia agraria, sebbene egli ne
contestasse radicalmente la parte interpretativa, come poi si vedrà, erano
anche sostenitori di un approccio quantitativo alla storia economica e alla
demografia storica, campo in cui pionieristica era l’opera di Karl Bücher.
All’avanguardia in Germania era anche la ricerca sul folklore (Volkskunde),
in cui trovavano posto indagini sulla storia delle tecnologie antiche così come
sulla psicologia collettiva delle società tradizionali, la dialettologia e la
toponomastica, ed infine spiccavano come settori di ricerca la storia
dell’occupazione del suolo (Siedlungsgeschichte) e la geografia umana (Anthropogeographie).
In questi ultimi due ambiti è interessante ricordare come operasse a Lipsia un
seminario (Historisch-geographische Seminar),
fondato da Lamprecht, Wundt e Ratzel, che faceva dell’interdisciplinarità il
suo punto di forza, e i cui indirizzi di indagine di storia regionale (Landesgeschichte) sulla microtoponomastica, sulla
morfologia degli habitat e sul rapporto tra uomo ed ecosistemi, furono
pienamente assorbiti da Bloch, che frequentò il seminario. Per inciso, lo
stesso ambiente interdisciplinare e aperto Bloch lo ritrovò a Strasburgo, tra
1920 e 1933, in cui lavorava fianco a fianco con Febvre, Halbwachs, Lefebvre,
Piganiol, Christian Pfister, preside di Lettere e suo maestro, e molti altri, in
un’università appena tornata alla Francia e che, forte di un’organizzazione
tedesca e di nuovi e cospicui finanziamenti, alla Germania si rivolgeva, anche
in termini di concorrenza [8]. In questo contesto, in cui nacquero le
«Annales d’histoire économique et sociale», nel 1929, forte era infine
l’influenza di Henri Pirenne, storico belga anch’egli formato
dall’incontro delle migliori tradizioni francesi e tedesche, impegnato in una
ricerca storiografica impregnata di geografia ed economia, tesa alla
ricostruzione di un quadro comparato delle diverse realtà europee
[9].
Insieme con ben organizzate strutture universitarie
dunque, la Germania poté offrire al giovane Bloch non solo un’ampia offerta
disciplinare, ma anche un’indicazione metodologica nella storia delle
campagne, di ricerca interdisciplinare e di analisi di lunga durata, associate
ad un metodo regressivo, che egli saprà sviluppare autonomamente e in relazione
ad altri apporti culturali europei
[10].
Non è da sottovalutare infatti il ruolo che ha
avuto la storiografia inglese nella formazione di Bloch. Nelle opere di autori
come Henri S. Maine, Frederick
W. Maitland, Paul Vinogradoff, R. H Tawney, e in particolare Frederick
Seebohm per la storia agraria, Bloch ha potuto trovare indicazioni metodologiche
fondamentali: la tradizionale attenzione agli aspetti giuridici della storia
delle campagne, indagati prevalentemente con l’ausilio di fonti legislative e
notarili, di cui Bloch aveva un notevole esempio, in Francia, nell’opera di
Henri Sée, era arricchita dagli storici inglesi dall’impiego di approcci
comparatistici e di una metodologia regressiva, che innovavano la ricerca nei
grandi temi, per rimanere nell’ambito della storia agraria, dell’occupazione
del suolo, del popolamento e dell’habitat, dei paesaggi rurali e delle
tecniche agricole, della genesi e delle funzioni dell’openfield system.
II.
Dalle condizioni giuridiche (Blanche
de Castille et les serfs du chapitre de Paris, 1911; Rois
et serfs – un chapitre d’histoire capétienne,
1920; Serf
de la glèbe: histoire d’une expression toute faite,
1921; Les colliberti: étude sur la formation de la classe servile,
1928) agli usi e ai paesaggi agrari (La organización de los Dominios reales Carolingios
y las teorias de Dopsch,
1926; Les
édits sur les clôtures et les enquêtes agraires au XVIIIe siècle, 1926; Les plans parcellaires en France, 1929;
Les plans parcellaires: l’avion au service de
l’histoire agraire – en Angleterre,
1930)
[11],
il
dossier di Bloch su questi temi è costantemente in
evoluzione, con la straordinaria capacità di lettura dimostrata nelle
numerosissime recensioni e rassegne critiche pubblicate in riviste diverse, e
poi prevalentemente sulle «Annales», sin dai primi anni di attività
scientifica del giovane ricercatore. Nel 1930 appare sulle «Annales», in tre
parti, il saggio su La
lutte pour l’individualisme agraire dans la France du XVIIIe siècle
[12], in cui convivono i temi del possesso fondiario
signorile, delle comunità contadine di villaggio, del disegno dei campi e delle
connesse consuetudini e abiti mentali, l’attenzione ai quali, che emerge sin
dal titolo, era stata dimostrata in modo eccellente ne Les rois thaumaturges, opera pubblicata nel 1924.
I
Caratteri
originali della storia rurale francese
si inseriscono in questo contesto. Pubblicati nel 1931 [13],
essi sono il frutto di una serie di conferenze tenute tra l’autunno del 1929 e
l’estate del 1930 presso l’Istituto
per lo studio comparato delle civiltà
di Oslo. Sin nel titolo, Bloch richiama l’opera del linguista Antoine Meillet
(1866-1936), che nel 1917 aveva pubblicato i Caractères généraux des langues
germaniques e che si muoveva nell’ambito di una linguistica
comparata, il cui scopo era appunto quello di porre in luce l’originalità, le
differenze, delle diverse lingue. Allo stesso modo, Bloch sostiene
nell’individuazione dell’originalità delle diverse società il compito
della storia comparata
[14]. Per quanto riguarda invece la «storia rurale
francese», Bloch tiene a precisare, nelle Osservazioni
metodologiche introduttive, che «la definizione è assunta nel
punto di arrivo piuttosto che all’inizio o nel corso stesso del processo»
[15], e che racchiude una complessità notevole, tale
da non dover essere sottovalutata da un’espressione giocoforza
onnicomprensiva.
Opera
di sintesi, in cui vi si citano solo alcune ipotesi che possano essere utili
nello sviluppo di successive direzioni di ricerca, e tuttavia necessaria per le
condizioni della storia rurale francese, che ha bisogno dell’impostazione dei
problemi di fondo della disciplina [16],
i Caratteri
originali
sono composti di un’introduzione e da sette capitoli, distinti ma collegati
tra loro, che tratteggiano le grandi fasi dell’occupazione del suolo, i
sistemi agrari, i rapporti di proprietà fondiaria, arricchiti da considerazioni
sui gruppi sociali e le loro condizioni giuridiche ed economiche, sui progressi
tecnici, sulle crisi, dal Medioevo sino alla rivoluzione agraria del XVIII
secolo e alla Rivoluzione francese. L’opera è corredata inoltre da diciotto
tavole riguardanti principalmente esempi di forme dei campi, tratte da mappe
catastali d’età moderna.
Nell’introduzione spicca il problema dei rapporti tra presente e passato, e la difesa della necessità di adottare un metodo regressivo, dovuta anche alle condizioni d’accesso alla documentazione, profondamente mutate a partire dal XVIII secolo. Del metodo regressivo Bloch tuttavia non manca di sottolineare i pericoli, in particolare l’errore di ragionamento consistente nel postulare un mondo, quello agrario, del tutto immobile, nelle sue tecniche e nelle sue consuetudini, quando invece la storia è scienza del mutamento, e trascurare questo aspetto «sarebbe negare la vita stessa, che non è se non movimento» [17].
Nel
primo capitolo Bloch ricostruisce le grandi linee dell’occupazione del suolo,
dalla Gallia romana alla rivoluzione agraria del ‘700, allargando il campo
delle fonti solitamente impiegate sino allora alla linguistica, alla
toponomastica, al lessico e alla fonetica, e incominciando a porre, nella
caratteristica forma aperta che contraddistingue il libro, un problema
fondamentale: quale sia stata la causa dei grandi dissodamenti avvenuti intorno
al Mille. Certo, esigenza di nuove rendite da parte dei signori, laici ed
ecclesiastici, preoccupazioni di difesa militare e di difesa pubblica:
Il
secondo capitolo consiste in un’affascinante storia sistematica dei regimi
agrari, resa viva non solo dall’ottima conoscenza delle fonti scritte,
naturalmente, ma anche dalla conoscenza diretta, letteralmente “sul campo”,
che Bloch acquisì durante la Prima guerra mondiale e in seguito alla vincita di
una borsa di studio, nel 1928, che per i cinque anni successivi gli consentì di
viaggiare per archivi provinciali, individuando e riproducendo le strutture
della proprietà fondiaria francese
[19] .
Dopo aver citato le caratteristiche generali dell’agricoltura antica,
l’egemonia dei cereali innanzitutto, e dopo aver individuato i due grandi
sistemi di rotazione colturale, biennale e triennale, di cui enumera caratteri e
aree geografiche di diffusione, Bloch passa a considerare i regimi agrari
[20]
praticati sul suolo francese. Il regime proprio della Francia settentrionale è
quello a campi aperti, allungati e paralleli, distesi su vaste pianure, sui
quali era adoperato l’aratro a ruote, caratterizzato dalle usanze di «rotazione
coatta» e di vaine
pâture [21],
dunque da vincoli collettivi molto forti, e dalla
rotazione triennale; il regime a campi aperti e irregolari, su terreni più
aspri e montagnosi, in cui vige una rotazione biennale e l’uso dell’aratro
senza ruote, caratterizzato da legami collettivi meno forti e duraturi, tipico
dalla Francia meridionale; il regime a campi cintati, il cosiddetto bocage, nella Francia centrale e occidentale, dai suoli
poveri e macchiosi, le cui peculiarità consistono nell’insediamento sparso e
in tradizioni di autonomia agraria. Ma è possibile, in quest’intreccio di
fattori, individuare la causa prima di queste differenze nei regimi agrari
francesi?
Risulta difficile allora individuare con precisione cause ed effetti.
«Limitiamoci dunque, meno ambiziosamente, a constatare che, per quanto è possibile risalire nel tempo, l’aratro a ruote, progenitore dei campi allungati, e la consuetudine di un’intensa vita collettiva si trovano sempre associati; e che la presenza di questi due elementi caratterizza un tipo, nettamente individuato, di civiltà agraria, mentre la loro assenza ne caratterizza un altro, completamente diverso» [23].
Di certo, tuttavia, nella spiegazione di tali differenze nell’ordine dei
campi, Bloch rifiuta l’ipotesi “razziale” avanzata da Meitzen, non solo
nei Caratteri originali,
in cui nega la validità euristica del concetto di “unità etnografica”,
giudicato «oscuro» [24],
ma anche in altri articoli e saggi sullo stesso problema. Un elenco puntuale
degli “errori” di Meitzen è in una comunicazione tenuta nel 1927 al
Congresso internazionale di scienze storiche a Oslo, pubblicato sulla «Revue de
synthèse historique» nel dicembre 1928:
Nel
terzo capitolo Bloch ricostruisce l’evoluzione della signoria fondiaria sino
alla crisi dei secoli XIV e XV. Nell’analisi delle condizioni giuridiche degli
uomini in rapporto al possesso di terra, condotta con rigore anche
terminologico, in particolare dello status giuridico dei lavoratori, fossero essi liberi o
servi, e della terra che essi lavoravano, mansi
o tenures, vorrei evidenziare almeno un aspetto metodologico
che mi sembra importante, il riconoscimento del peso della mentalità
collettiva, affrontato con rigore razionalista, nella costruzione dei rapporti
giuridici e sociali. Scrivendo del ruolo della consuetudine, e dunque della
memoria, nella vita dei gruppi sociali, Bloch afferma che
Alla
fine del XII secolo il grande proprietario si trasforma in percettore di
rendite, che oppone allo sfaldamento del manso, l’unità fiscale carolingia, e
all’indebolimento delle corvées e delle prestazioni agricole a vario titolo la
costituzione di monopoli (bannalità del mulino, del torchio, del forno…),
l’introduzione di nuove imposizioni, la decima e la taglia, e l’esercizio
dei diritti di giustizia. L’equilibrio che necessariamente doveva mantenere la
grande azienda fondiaria, «vera e propria impresa di carattere capitalistico» [28],
si incrina dinanzi al collo di bottiglia creato dalla mancanza di centri di
mercato che potessero vendere i prodotti eccedenti, e per questo il signore
ritiene più favorevole ridurre la riserva, cosa che riduce contemporaneamente
anche l’obbligo di prestazioni da parte dei coloni sul dominico, moltiplicare
le piccole unità produttive e riscuoterne una rendita. Questa, a grandi linee,
l’evoluzione delle strutture della signoria, piena tuttavia di punti oscuri;
nel delinearla, Bloch fornisce un alto esempio di procedura scientifica. Il
punto di partenza è il motivo per il quale i signori rinunciano ad esigere dai tenanciers corvées artigianali. Si pone l’ipotesi:
«un’“economia
di scambi” si era forse sostituita a un’“economia
chiusa”? senza dubbio,
questa formula esprime con sufficiente esattezza il fenomeno, considerato
dall’interno della signoria. Ma ne consegue forse che l’economia signorile
sia stata coinvolta in una grande corrente di scambi comune all’intera
Francia, subendo le conseguenze di un rivolgimento di portata generale, che
[…] avrebbe finito col rendere più rapida e agevole la compravendita
praticata su larga scala più conveniente della produzione in proprio?» [29].
L’ipotesi
è subito sottoposta a verifica:
Accantonata
la prima ipotesi, Bloch sceglie di esaminare nel dettaglio un caso specifico,
quello del villaggio di Thiais, a sud di Parigi, possedimento dell’abbazia di
Saint-Germain-des-Prés, esempio corroborato successivamente da altri, tratti
dalla Champagne e dal Gâtinais, e formula altre due ipotesi:
La
prima di esse è subito scartata, vista l’irrimediabile decadenza della
schiavitù, mentre la seconda, la riduzione delle riserve, è analizzata, con
riferimento a diversi casi su tutto il territorio francese, e si tratteggia una
prima sintesi:
A
questa sintesi, Bloch, fedele al metodo comparativo, pone tuttavia l’obiezione
che nulla di simile è attestato in Inghilterra o in Germania. E qui, la lezione
finale:
Il
quarto capitolo segue Le trasformazioni della signoria e dei
rapporti di proprietà fondiaria dalla fine del Medioevo alla Rivoluzione
francese. Numerosi sono i nuclei concettuali svolti
all’interno di questa trattazione. Bloch esamina i vari fattori della crisi
dei patrimoni signorili, la scomparsa o la radicale trasformazione
dell’istituto servile, la decadenza delle giustizie signorili, la crisi delle
rendite signorili, dovute alla devastazione delle campagne, provocata da guerre
e rivolte, e alla crisi monetaria, intervenendo continuamente a precisare la
terminologia [34]
o inserendo nel corpo del testo excursus
esplicativi, come l’«abbozzo di storia monetaria» [35]
che spiega il lungo processo di svalutazione dei censi in moneta, ben prima
dell’afflusso dei metalli americani. La reazione signorile in Francia, ancora
comparata all’Inghilterra e alla Germania, consisté principalmente in un
processo di ricostituzione del dominico, a spese dei terreni comunali e delle tenures, condotta attraverso il ricorso a moderni
strumenti amministrativi, contabili, registri, mappe e atlanti, e giuridici. Ma
la via più semplice e più usuale alla concentrazione nelle mani dei signori
della grande proprietà, gli scambi e la compravendita, nasconde anche un
profondo rivolgimento sociale e una differenza di mentalità: in questo caso la
borghesia, penetrata nella nobiltà «attraverso il formarsi della nobiltà di
toga e la trasformazione del corpo giudiziario in una vera e propria casta
grazie al meccanismo dell’ereditarietà e della venalità delle cariche» [36],
si dimostra superiore alla classe contadina, specialmente nella gestione del
credito. La necessità di denaro da parte dei piccoli coltivatori, che tanta
parte ebbe nella ricostituzione dei possessi signorili, si spiega non tanto con
eventi fortuiti o eccezionali, come la guerra, ad esempio, ma con
l’affermazione di flussi di denaro in cui vendere i prodotti, per i
coltivatori, non era più sufficiente. «Per trarne [dalle nuove condizioni economiche]
un certo profitto bisognava farlo nel momento opportuno, in altre
parole bisognava saper aspettare e saper fare previsioni: era, insomma,
questione tanto di capitali che di mentalità» [37].
Nel
quinto capitolo, intitolato I
gruppi sociali, Bloch esamina la «cellula elementare della
società rurale», un’«unità a un tempo territoriale e umana», il manso, sotto l’aspetto giuridico (mansi
ingenuili, servili, ledili), produttivo (mansi
di braccia, di carreggio), dal punto di vista della struttura e
dell’estensione (frazionati, nelle regioni a campi aperti e allungati, e
unitari, nelle regioni a campi cintati). Nelle regioni a campi aperti vari
fattori contribuirono alla precoce scomparsa del manso: il frazionamento della
famiglia patriarcale, la crisi delle istituzioni pubbliche, i mutamenti interni
alla signoria. Il discorso prosegue con l’analisi della comunità rurale,
definita «sotto l’aspetto geografico […] un territorio soggetto a varie
norme di sfruttamento collettivo […] e soprattutto a una serie di usi
collettivi a vantaggio del gruppo degli abitanti» [38].
Negli
ultimi due capitoli si tratteggiano le caratteristiche della “rivoluzione”
agraria del XVIII secolo, sino alla Rivoluzione, come profondo, ma lento,
mutamento, caratterizzato dalla scomparsa delle secolari servitù collettive, da
innovazioni tecniche decisive, l’abolizione del maggese e l’introduzione di
piante foraggere, da nuovi strumenti giuridici, tutti elementi che poggiavano su
un trend demografico molto positivo, sulla crescita dei
mercati, sulla struttura della proprietà, fortemente concentrata, e su un clima
intellettuale ispirato dall’Illuminismo, sostenitore dell’abolizione delle
antiche, barbariche, usanze, e dei valori supremi dell’individuo. Le
recinzioni scardinano l’antico sistema rurale, frammentando ancor di più la
coesione sociale e ad un prezzo notevole per i ceti più deboli.
Così,
secondo un secolare processo evolutivo, sono ricostruite le caratteristiche
della Francia rurale coeva al libro di Bloch. Nella conclusione, passione per la
storia e ricerca del senso, la domanda su cui Bloch ritorna più volte nel corso
della sua opera [41,
si combinano inscindibilmente:
III.
Al
dossier sulla storia agraria Bloch continuò a lavorare sino alla fine,
progettando anche una riedizione dei Caratteri
originali e una collana di studi rurali, da pubblicarsi
presso Gallimard, intitolata «Le paysan et la terre». Questo lavoro continuo
di ricerca è testimoniato, oltre che dalla ripresa di alcune tematiche ne La
società feudale, dal volume, pubblicato nel 1956 a cura di un suo
allievo [43],
che raccoglie gli scritti di storia agraria pubblicati da Bloch dopo il 1931,
ordinati secondo la successione dei capitoli dei Caratteri originali.
In questi lavori Bloch ritorna sugli argomenti trattati, li corrobora con altre
prove o li corregge, formula nuove ipotesi scaturite da opere di altri studiosi.
Esempio ne sia il problema del disegno delle parcelle e le forme dei campi. Nel
1931 la causa del contrasto tra campi aperti e allungati e aperti o chiusi e
irregolari era stata attribuita, in via d’ipotesi ad una differenza di ordine
tecnico, tra l’aratro a ruote e quello semplice. Successivamente i lavori di
Georges Lefebvre e Roger Dion sui villaggi pirenaici e della Loira avevano messo
in dubbio questo rapporto, così come, fuori della Francia, gli studi condotti
in Polonia e Svezia. Già nel 1934 Bloch, riassumendo quanto scritto nei Caratteri originali,
ammetteva che questa «hypothèse de travail […] me semble devoir être aujourd’hui abandonnée». Altri studi, tuttavia, riguardanti su aree
geografiche diverse, convergevano sull’ipotesi di Bloch, per cui, essendo al
questione ancora aperta, nel 1941 egli pose due domande alla futura ricerca:
quale strumento, tra ruote, coltro e versoio, ha avuto maggiore incidenza sulla
forma dei campi?; in quale misura l’adozione di un nuovo tipo di attrezzo è
in relazione con la pratica di questa occupazione del suolo sul piano
collettivo, fattore, per Bloch, decisivo?
Nelle recensioni ai Caratteri originali, la lode delle notevoli innovazioni metodologiche non impedì che vi fossero portate critiche serie, su aspetti fondamentali o su questioni di dettaglio [44]. Albert Demangeon avanzava, tra l’altro, delle riserve sulla genesi dei paesaggi rurali e sulla distribuzione dei tipi di civiltà agraria, e un altro geografo, Jules Sion, rimproverava a Bloch, in particolare, l’eliminazione del fattore demografico, l’aver trascurato il problema della presenza, nel mondo rurale, di attività non agricole, e infine la sottovalutazione dell’habitat raggruppato mediterraneo nella strutturazione dei paesaggi agrari meridionali. Accolta freddamente negli Stati uniti, ignorata in Belgio e in Svizzera, l’opera di Bloch è recensita molto positivamente in Inghilterra, ma accolta con qualche riserva in Germania, il paese che più di ogni altro avrebbe dovuto recepire il senso di un lavoro ispirato direttamente agli insegnamenti della scuola tedesca. Spagna e Italia accolgono con favore i Caratteri originali: in particolare, Gino Luzzatto, recensendo l’opera sulla «Nuova rivista storica», nel 1933, cogliendone tutti gli aspetti di novità e di forza, non manca però di indicare, cosa che manca in Bloch, il peso della città nell’evoluzione delle campagne [45]. È tuttavia nel dopoguerra che la fama di Bloch si allarga decisamente nel resto d’Europa. La vicenda delle traduzioni ne è un buon indicatore: i Caratteri originali, ristampati nel 1952, nel 1956 e nel 1988, sono tradotti in russo nel 1957, in inglese nel 1970, in spagnolo nel 1978. In italiano l’opera è tradotta nel 1973, stesso anno in cui sono tradotti i Rois thaumaturges, mentre nell’immediato dopoguerra erano stati offerti al pubblico italiano la Società feudale (1949) e l’Apologia della storia (1950) [46].
Il
volume di Bloch costituisce un classico non solo perché testimonia una tappa
del pensiero storiografico moderno, come altre più o meno superata dalla
ricerca successiva e ridotta a monumento del suo genere. Il carattere di opera
aperta, problematica, direi quasi incompiuta, ha credo contribuito a che essa
conservi tuttora un’originalità e una ricchezza di prospettive con cui
bisogna fare i conti. La sopravvivenza e la coesistenza, in Francia, dell’openfield
nordico con i campi chiusi di origine celtica, l’evoluzione della grande
proprietà fondiaria e la formazione della signoria rurale, la natura del manso
carolingio, le differenziazioni interne alla società contadina, l’attenzione
alla psicologia collettiva, alle usanze, alla mentalità, la ricchezza di
approcci metodologici e l’impiego di un gran numero di fonti, non ultime
quelle cartografiche, ma soprattutto l’analisi dei paesaggi e dei regimi
agrari come strutture, come sistemi dotati di modi originali di sfruttamento
della forza lavoro [47],
sono tutti problemi che meritano ancora di
essere sollevati e discussi.
2 M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, con uno scritto di L. Febvre, a c. di G. Arnaldi, Torino 199517 (Paris 1949, I ed. it. Torino 1950).
6 Come rileva Pierre Toubert, Genesi e fortuna di un libro di Marc Bloch: “Les caractères originaux de l’histoire rurale française”, in «La cultura», XXXI (aprile 1993), p. [63-97] 77. Il saggio è la traduzione italiana della prefazione alla nuova edizione francese (Paris 1988) dell’opera di Bloch.
8 Cfr. C. Fink, Marc Bloch. Biografia di un intellettuale, Milano 1999 (ed. orig. Cambridge 1989), pp. 81-105 e in sintesi P. Burke, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle «Annales», 1929-1989, Roma-Bari 1995 (ed. orig. London 1990), pp. 13-14 e Mastrogregori, Introduzione cit., pp. 38-39.
9 G. Tabacco, Marc Bloch e lo studio della società medievale, saggio introduttivo a M. Bloch, La società feudale, Torino 19993 (ed. orig. Paris 1939, I ed. it. Torino 1949), p. [ix-xxviii] xvii.
11 Per il riferimento bibliografico delle opere citate cfr. M. Bloch, Mélanges historiques, pref. di Ch.-E. Perrin, i-ii, Paris 1963, bibliografia pressoché completa alle pp. 1032-1104. Importanti la pagine dedicate a questi volumi da Carlo Ginzburg, A proposito della raccolta di saggi storici di Marc Bloch, in «Studi medievali», 3a s., VI (1965), pp. 335-353..
14 M. Bloch, Pour une histoire comparée des sociétés européennes (1928), in Id., Mélanges historiques cit., i, pp. 16-40 [trad. it. in Id., Lavoro e tecnica nel Medioevo, Roma – Bari 1977, pp. 3-47]. Cfr. inoltre Mastrogregori, Introduzione cit., p. 69, nota 66.
15 M. Bloch, I caratteri originali della storia rurale francese, con uno scritto di G. Luzzatto, Torino 1973, p. xxiii.
17 Idem, p. xxix. Id., Apologia della storia cit., p. 43: «Ora, questo tempo vero [il tempo della storia] è per sua natura, continuità. Ma è anche perpetuo mutamento. Dall’antitesi tra questi due attributi derivano i grandi problemi della ricerca storica».
19 Fink, Marc Bloch cit., p. 128, nota 57. Cfr. anche la testimonianza di Charles – Edmond Perrin, nell’introduzione a Mélanges historiques cit., p. iv, di una gita sui Vosgi, fatta nel 1919, in cui il contatto diretto con i campi integrò la conoscenza documentaria che ne aveva sino allora. Questo fu poi un modo usuale di Bloch di lavorare alla storia agraria: memorabile restò infatti, nel settembre 1937, un viaggio in automobile attraverso la campagna inglese: Fink, Marc Bloch cit., p. 202.
20 Id., Le problème des régimes agraires (1932), in Id., Mélanges historiques cit., ii, p. [648-669] 648: «… un ensemble complexe à la fois de recettes techniques et de coutumes juridiques, que ces recettes techniques et ces coutumes juridiques sont, dans une large mesure, conçues comme imposées». Cfr. anche Id., I caratteri originali cit., p. 42.
21 Rispettivamente, l’uso del contadino di attenersi, nel calendario delle rotazioni, al ciclo tradizionale del quartiere di cui la sua parcella fa parte, e pascolo su terreni privi di messi, in genere dopo la mietitura, o sui prati, dopo la prima falciatura: Idem, pp. 47 ss.
34 Ad esempio Idem, p. 121: «… tenanciers – che per una confusione tipica dell’affievolirsi delle antiche nozioni di rapporti personali cominciavano a essere chiamati “vassalli”».
41 Id., Que demander à l’histoire? (1937), in Id., Mélanges historiques cit., i, pp. 3-15; Id., Apologia della storia cit., pp. 23-35.
43
Id., I
caratteri originali
cit., ii, Supplément établi d’après les travaux de l’auteur (1931-1944)
a c. di R. Dauvergne, Paris 1956.
45 In Italia, tuttavia, una vera penetrazione dell’opera di Bloch avviene con la Storia del paesaggio agrario italiano, Bari 1961, di Emilio Sereni. Sulla ricezione di Bloch in Italia cfr. B. Arcangeli, Storiografie a confronto: Marc Bloch e la storiografia italiana, in «Società e storia», 71 (1996), pp. 155-175.
46 Sulle recensioni dei Caratteri originali cfr. Fink, Marc Bloch cit., p. 132, note 62 (Europa) e 63 (Francia); sulle date delle traduzioni nelle principali lingue europee delle opere maggiori di Bloch cfr. Mastrogregori, Introduzione cit., pp. 150-151, nota 7.
47 Secondo la prospettiva di Guy Bois, Marc Bloch, historien d’un système social, in Marc Bloch aujourd’hui. Histoire comparée et sciences sociales [Colloque international, Paris, 16-18 juin 1986], textes réunis et présentés par H. Atsma et A. Burguière, Paris 1992, pp. 165-171. Cfr. anche B. Geremek, Marc Bloch storico e cittadino, in «I viaggi di Erodoto», 8 (agosto 1989), pp. 52-71. la convergenza nell'analisi delle strutture e delle classi sociali tra Bloch e storiografia marxista, pur estraneo l'uno all'altra, è sottolineata da L. Allegra - A. Torre, La nascita della storia sociale in Francia. Dalla Comune alle «Annales», Torino 1977, pp. 196-205 e 323-328 (ma l'intero volume è da tener presente per le questioni sollevate in queste pagine).
© 2005 Francesco Violante.