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di FRANCESCO VIOLANTE

Marc Bloch

PREMESSA

Scorrendo l’indice, in calce ad una recente Introduzione a Bloch [1], degli studi su Marc Bloch pubblicati negli ultimi dieci anni, si ha l’impressione che ogni aspetto della vita e dell’opera dello storico francese sia stato studiato, approfondito, analizzato, e non solo così come si procede per ogni “classico” della storiografia, ma anche per qualcosa in più. Bloch, in effetti, non è solo il grande medievista, l’attento storico indagatore di problemi legati all’età moderna, il fondatore, con Lucien Febvre, delle «Annales»: egli è un “modello”, scientifico e civile, di storico e cittadino, di soldato e di partigiano, l’ebreo la cui vita è profondamente segnata e sconvolta dall’antisemitismo (l’affare Dreyfus, prima del nazismo), il simbolo, magnificamente compreso nel fragile, eppure ancora fresco e vivo, Mestiere di storico [2], di una storiografia al servizio degli uomini.

Quando un uomo, o un’esperienza storica, diventa un modello, accade sempre che dalle celebrazioni e dai riti collettivi che li celebrano come tali emerga un’immagine stereotipata e irrigidita dalla retorica, e che spesso si perdano gli elementi più dinamici, ancora fecondi o poco esplorati, magari contraddittori, di quell’uomo o di quell’esperienza. Nonostante questo, a detta dei commentatori più attenti, aspetti essenziali dell’opera di Bloch sono tuttora da scoprire o da indagare.

Certamente queste poche pagine non hanno, né potrebbero averne, altro intento se non quello di operare una sintesi, più o meno efficace, di quanto già scritto da altri su una delle opere maggiori di Bloch. Tuttavia, spero che tra le righe di un lavoro preparato per un impegno accademico da un giovane appassionato di storia, qui e là venga fuori la mia simpatia e la profonda ammirazione per un intellettuale che, dinanzi alla barbarie, ha scelto di difendere e servire quella verità e quella libertà che, nelle sue forme storiche, ricercava, sino a morirne.

   

I.

I primi anni del Novecento, anni in cui Bloch compie le sue prime esperienze di giovane studioso e ricercatore, costituiscono un momento in cui la scienza storica vive una profonda crisi metodologica e filosofica. Attaccata nella sua legittimità e nei suoi stessi fondamenti scientifici da correnti culturali ispirate ad un romanticismo tardo e irrazionalista, dopo il grande successo del rigore positivista e del metodo filologico nella edizione dei testi, la storiografia tradizionale, “ufficiale”, subisce anche i tentativi di revisione, di contenuti e metodi, avanzati dal materialismo storico, da un nuovo idealismo e da una concezione globale della realtà come storia che prese il nome di storicismo. Croce, Gentile, Labriola, Volpe in Italia, Meinecke e Weber in Germania, ciascuno con i propri allievi, in polemica con le sopravvivenze estreme della cultura romantica, specie tedesca, cercavano di rivederne i contenuti, depurandoli degli elementi più irrazionali, contestandone gli esiti razzisti e nazionalisti [3].

Bloch vive in un contesto culturale diverso, in cui l’elaborazione storiografica romantica francese, di Michelet, Guizot e Thierry, ad esempio, carica di passioni e colori, nazionalista e soggettiva e giudicatrice, è radicalmente avversata non in nome di una nuova filosofia della storia, più o meno legata alla precedente, ma affermando la necessità di una critica delle testimonianze davvero “scientifica” [4], di una storia che si occupi delle società e delle istituzioni, attenta alle strutture sia materiali sia mentali, superando dunque una visione storica costruita sui grandi eventi della diplomazia e della politica. È questa la lezione che Bloch trae dal padre Gustave, da Ferdinand Lot e soprattutto da Fustel de Coulanges, storico della genesi della Francia come risultato di un processo di incontro tra Gallia romana e mondo germanico, attento ai fatti sociali e alle istituzioni quanto ai loro modi di rappresentazione mentale.

Quest’ultimo aspetto è rivelatore dell’interesse di Bloch verso quella scuola sociologica francese, che aveva in Émile Durkheim e nell’«Année sociologique» il suo punto di riferimento, che aveva rinnovato profondamente le scienze umane, fondandole scientificamente.

«I nostri studi debbono molto a quel poderoso sforzo: abbiamo imparato a penetrare più addentro con l’analisi, a serrare più da vicino i problemi, a pensare, oserei dire, meno alla buona. Se ne parlerà con infinita riconoscenza e con rispetto. Oggi, esso può dirsi superato; ma questo è per tutti i movimenti intellettuali, prima o poi, lo scotto della loro fecondità» [5].

Con queste parole Bloch riconosceva in Durkheim un modello di rigore, di cui però respingeva il teorizzato assorbimento della storia all’interno della sociologia, e tuttavia non l’unico, nell’ambito delle scienze umane. Se Bloch è un attento lettore non solo di Durkheim, ma anche di Charles Blondel, Maurice Halbwachs, François Simiand e Louis Gernet, di scuola durkheimiana, è anche vero che, sotto questo aspetto, assume un ruolo importante il soggiorno presso l’Institut für Völkerpsychologie di Lipsia, diretto da Wilhelm Wundt, nel 1908 [6].

Proprio nell’«Année sociologique», inoltre, Bloch aveva trovato una lettura attenta e ricca di spunti delle tesi di Friedrich Ratzel e della geografia umana tedesca, molto più strutturata teoricamente, ad esempio, di quelle degli stessi geografi francesi, Paul Vidal de la Blache innanzitutto. Sebbene qualche spunto per le ricerche di storia agraria siano giunti dalla geografia degli ecosistemi vegetali, in cui la Francia eccelleva, e senz’altro dalle monografie regionali, di cui si contano una decina almeno tra 1905 e 1930, tuttavia la monografia di Bloch sull’Île-de-France, apparsa nel 1913 per la collezione di storia delle regioni francesi diretta da Henri Berr, si discosta notevolmente dalle altre proprio su alcuni punti fondamentali: la nozione di pays innanzitutto, paesaggio o regione geografica, cui si nega autonomia come oggetto di studio; l’assenza di ogni approccio comparativo, cosa che impediva un’analisi in termini strutturali dei grandi problemi di storia agraria; la mancanza di adeguati corredi cartografici; l’ignoranza di alcuni problemi ineludibili nell’analisi dei campi, quali le tecniche agricole e i rapporti di proprietà [7].

È dunque necessario allargare il campo di indagine sui fattori genetici del metodo e degli interessi di Bloch in fatto di storia agraria ad un orizzonte europeo, in primo luogo alla Germania. Vinto nel 1908 il concorso statale per l’insegnamento secondario, Bloch trascorre due semestri, in quello stesso anno e nel 1909, presso le università di Berlino e Lipsia, secondo un’abitudine consolidata di molti giovani medievisti francesi. Alla rigorosa tradizione di storia giuridica e istituzionale, impersonata da Georg Waitz, ad esempio, la cultura storica tedesca poteva affiancare gli studi di Kulturgeschichte, di storia della civiltà, portati avanti da Karl Lamprecht, in cui appunto la storia sociale dei contadini e della signoria fondiaria era ben collegata alla storia del diritto. August Meitzen e Georg F. Knapp, che erano invece definiti da Bloch stesso come i «corifei» della storia agraria, sebbene egli ne contestasse radicalmente la parte interpretativa, come poi si vedrà, erano anche sostenitori di un approccio quantitativo alla storia economica e alla demografia storica, campo in cui pionieristica era l’opera di Karl Bücher. All’avanguardia in Germania era anche la ricerca sul folklore (Volkskunde), in cui trovavano posto indagini sulla storia delle tecnologie antiche così come sulla psicologia collettiva delle società tradizionali, la dialettologia e la toponomastica, ed infine spiccavano come settori di ricerca la storia dell’occupazione del suolo (Siedlungsgeschichte) e la geografia umana (Anthropogeographie). In questi ultimi due ambiti è interessante ricordare come operasse a Lipsia un seminario (Historisch-geographische Seminar), fondato da Lamprecht, Wundt e Ratzel, che faceva dell’interdisciplinarità il suo punto di forza, e i cui indirizzi di indagine di storia regionale (Landesgeschichte) sulla microtoponomastica, sulla morfologia degli habitat e sul rapporto tra uomo ed ecosistemi, furono pienamente assorbiti da Bloch, che frequentò il seminario. Per inciso, lo stesso ambiente interdisciplinare e aperto Bloch lo ritrovò a Strasburgo, tra 1920 e 1933, in cui lavorava fianco a fianco con Febvre, Halbwachs, Lefebvre, Piganiol, Christian Pfister, preside di Lettere e suo maestro, e molti altri, in un’università appena tornata alla Francia e che, forte di un’organizzazione tedesca e di nuovi e cospicui finanziamenti, alla Germania si rivolgeva, anche in termini di concorrenza [8]. In questo contesto, in cui nacquero le «Annales d’histoire économique et sociale», nel 1929, forte era infine l’influenza di Henri Pirenne, storico belga anch’egli formato dall’incontro delle migliori tradizioni francesi e tedesche, impegnato in una ricerca storiografica impregnata di geografia ed economia, tesa alla ricostruzione di un quadro comparato delle diverse realtà europee [9].

Insieme con ben organizzate strutture universitarie dunque, la Germania poté offrire al giovane Bloch non solo un’ampia offerta disciplinare, ma anche un’indicazione metodologica nella storia delle campagne, di ricerca interdisciplinare e di analisi di lunga durata, associate ad un metodo regressivo, che egli saprà sviluppare autonomamente e in relazione ad altri apporti culturali europei [10].

Non è da sottovalutare infatti il ruolo che ha avuto la storiografia inglese nella formazione di Bloch. Nelle opere di autori come Henri S. Maine, Frederick W. Maitland, Paul Vinogradoff, R. H Tawney, e in particolare Frederick Seebohm per la storia agraria, Bloch ha potuto trovare indicazioni metodologiche fondamentali: la tradizionale attenzione agli aspetti giuridici della storia delle campagne, indagati prevalentemente con l’ausilio di fonti legislative e notarili, di cui Bloch aveva un notevole esempio, in Francia, nell’opera di Henri Sée, era arricchita dagli storici inglesi dall’impiego di approcci comparatistici e di una metodologia regressiva, che innovavano la ricerca nei grandi temi, per rimanere nell’ambito della storia agraria, dell’occupazione del suolo, del popolamento e dell’habitat, dei paesaggi rurali e delle tecniche agricole, della genesi e delle funzioni dell’openfield system.

   

II.

Dalle condizioni giuridiche (Blanche de Castille et les serfs du chapitre de Paris, 1911; Rois et serfs – un chapitre d’histoire capétienne, 1920; Serf de la glèbe: histoire d’une expression toute faite, 1921; Les colliberti: étude sur la formation de la classe servile, 1928) agli usi e ai paesaggi agrari (La organización de los Dominios reales Carolingios y las teorias de Dopsch, 1926; Les édits sur les clôtures et les enquêtes agraires au XVIIIe siècle, 1926; Les plans parcellaires en France, 1929; Les plans parcellaires: l’avion au service de l’histoire agraire – en Angleterre, 1930) [11], il dossier di Bloch su questi temi è costantemente in evoluzione, con la straordinaria capacità di lettura dimostrata nelle numerosissime recensioni e rassegne critiche pubblicate in riviste diverse, e poi prevalentemente sulle «Annales», sin dai primi anni di attività scientifica del giovane ricercatore. Nel 1930 appare sulle «Annales», in tre parti, il saggio su La lutte pour l’individualisme agraire dans la France du XVIIIe siècle [12], in cui convivono i temi del possesso fondiario signorile, delle comunità contadine di villaggio, del disegno dei campi e delle connesse consuetudini e abiti mentali, l’attenzione ai quali, che emerge sin dal titolo, era stata dimostrata in modo eccellente ne Les rois thaumaturges, opera pubblicata nel 1924. 

I Caratteri originali della storia rurale francese si inseriscono in questo contesto. Pubblicati nel 1931 [13], essi sono il frutto di una serie di conferenze tenute tra l’autunno del 1929 e l’estate del 1930 presso l’Istituto per lo studio comparato delle civiltà di Oslo. Sin nel titolo, Bloch richiama l’opera del linguista Antoine Meillet (1866-1936), che nel 1917 aveva pubblicato i Caractères généraux des langues germaniques e che si muoveva nell’ambito di una linguistica comparata, il cui scopo era appunto quello di porre in luce l’originalità, le differenze, delle diverse lingue. Allo stesso modo, Bloch sostiene nell’individuazione dell’originalità delle diverse società il compito della storia comparata [14]. Per quanto riguarda invece la «storia rurale francese», Bloch tiene a precisare, nelle Osservazioni metodologiche introduttive, che «la definizione è assunta nel punto di arrivo piuttosto che all’inizio o nel corso stesso del processo» [15], e che racchiude una complessità notevole, tale da non dover essere sottovalutata da un’espressione giocoforza onnicomprensiva.

Opera di sintesi, in cui vi si citano solo alcune ipotesi che possano essere utili nello sviluppo di successive direzioni di ricerca, e tuttavia necessaria per le condizioni della storia rurale francese, che ha bisogno dell’impostazione dei problemi di fondo della disciplina [16], i Caratteri originali sono composti di un’introduzione e da sette capitoli, distinti ma collegati tra loro, che tratteggiano le grandi fasi dell’occupazione del suolo, i sistemi agrari, i rapporti di proprietà fondiaria, arricchiti da considerazioni sui gruppi sociali e le loro condizioni giuridiche ed economiche, sui progressi tecnici, sulle crisi, dal Medioevo sino alla rivoluzione agraria del XVIII secolo e alla Rivoluzione francese. L’opera è corredata inoltre da diciotto tavole riguardanti principalmente esempi di forme dei campi, tratte da mappe catastali d’età moderna.

Nell’introduzione spicca il problema dei rapporti tra presente e passato, e la difesa della necessità di adottare un metodo regressivo, dovuta anche alle condizioni d’accesso alla documentazione, profondamente mutate a partire dal XVIII secolo. Del metodo regressivo Bloch tuttavia non manca di sottolineare i pericoli, in particolare l’errore di ragionamento consistente nel postulare un mondo, quello agrario, del tutto immobile, nelle sue tecniche e nelle sue consuetudini, quando invece la storia è scienza del mutamento, e trascurare questo aspetto «sarebbe negare la vita stessa, che non è se non movimento» [17].

Nel primo capitolo Bloch ricostruisce le grandi linee dell’occupazione del suolo, dalla Gallia romana alla rivoluzione agraria del ‘700, allargando il campo delle fonti solitamente impiegate sino allora alla linguistica, alla toponomastica, al lessico e alla fonetica, e incominciando a porre, nella caratteristica forma aperta che contraddistingue il libro, un problema fondamentale: quale sia stata la causa dei grandi dissodamenti avvenuti intorno al Mille. Certo, esigenza di nuove rendite da parte dei signori, laici ed ecclesiastici, preoccupazioni di difesa militare e di difesa pubblica: «Ma che cosa ci dicono, in fondo, queste osservazioni? Esse chiariscono lo sviluppo del fenomeno, non la sua origine […] All’origine di questo portentoso balzo in avanti dell’occupazione del suolo, possiamo supporre soltanto un forte incremento demografico spontaneo. A dire il vero, in tal modo viene semplicemente riproposto, e reso, nella condizione attuale delle scienze umane, di soluzione quasi impossibile» [18].

  

Il secondo capitolo consiste in un’affascinante storia sistematica dei regimi agrari, resa viva non solo dall’ottima conoscenza delle fonti scritte, naturalmente, ma anche dalla conoscenza diretta, letteralmente “sul campo”, che Bloch acquisì durante la Prima guerra mondiale e in seguito alla vincita di una borsa di studio, nel 1928, che per i cinque anni successivi gli consentì di viaggiare per archivi provinciali, individuando e riproducendo le strutture della proprietà fondiaria francese [19] . Dopo aver citato le caratteristiche generali dell’agricoltura antica, l’egemonia dei cereali innanzitutto, e dopo aver individuato i due grandi sistemi di rotazione colturale, biennale e triennale, di cui enumera caratteri e aree geografiche di diffusione, Bloch passa a considerare i regimi agrari [20] praticati sul suolo francese. Il regime proprio della Francia settentrionale è quello a campi aperti, allungati e paralleli, distesi su vaste pianure, sui quali era adoperato l’aratro a ruote, caratterizzato dalle usanze di «rotazione coatta» e di vaine pâture [21], dunque da vincoli collettivi molto forti, e dalla rotazione triennale; il regime a campi aperti e irregolari, su terreni più aspri e montagnosi, in cui vige una rotazione biennale e l’uso dell’aratro senza ruote, caratterizzato da legami collettivi meno forti e duraturi, tipico dalla Francia meridionale; il regime a campi cintati, il cosiddetto bocage, nella Francia centrale e occidentale, dai suoli poveri e macchiosi, le cui peculiarità consistono nell’insediamento sparso e in tradizioni di autonomia agraria. Ma è possibile, in quest’intreccio di fattori, individuare la causa prima di queste differenze nei regimi agrari francesi?

«Certo, svolgere la catena delle cause partendo da una scoperta tecnica è una grossa tentazione. L’aratro a ruote impone i campi allungati, che a loro volta costituiscono un potente connettivo sociale […] Ma attenzione: ragionando così, trascureremmo le infinite risorse dell’ingegno umano. Senza dubbio l’aratro a ruote costringe a fare i campi lunghi; ma non certo a farli stretti» [22].

Risulta difficile allora individuare con precisione cause ed effetti.

«Limitiamoci dunque, meno ambiziosamente, a constatare che, per quanto è possibile risalire nel tempo, l’aratro a ruote, progenitore dei campi allungati, e la consuetudine di un’intensa vita collettiva si trovano sempre associati; e che la presenza di questi due elementi caratterizza un tipo, nettamente individuato, di civiltà agraria, mentre la loro assenza ne caratterizza un altro, completamente diverso» [23].

Di certo, tuttavia, nella spiegazione di tali differenze nell’ordine dei campi, Bloch rifiuta l’ipotesi “razziale” avanzata da Meitzen, non solo nei Caratteri originali, in cui nega la validità euristica del concetto di “unità etnografica”, giudicato «oscuro» [24], ma anche in altri articoli e saggi sullo stesso problema. Un elenco puntuale degli “errori” di Meitzen è in una comunicazione tenuta nel 1927 al Congresso internazionale di scienze storiche a Oslo, pubblicato sulla «Revue de synthèse historique» nel dicembre 1928: «Meitzen a confondu l’étude de divers ordre de faits, qu’il eût fallu, en bonne méthode, commencer par disjoindre habitat et formes de champs; il a postulé le caractère « primitif » de beaucoup de phénomènes, observées à l’époque historique, souvent très près de nous, oubliant qu’ils pouvaient fort bien résulter de transformations relativement récentes; il s’est attaché, beaucoup trop exclusivement, à l’examen des faits d’ordre matériel, aux dépens des coutumes sociales dont ces faits ne sont, pour une part, que la traduction sensible; il n’a retenu, comme éléments ethniques, que les groups historiquement attestés – Celtes, Germains, Slaves etc. – […] refusant ainsi, de parti pris, toute action à la masse anonyme des populations antérieurement établies sur le sol» [25].

Nel terzo capitolo Bloch ricostruisce l’evoluzione della signoria fondiaria sino alla crisi dei secoli XIV e XV. Nell’analisi delle condizioni giuridiche degli uomini in rapporto al possesso di terra, condotta con rigore anche terminologico, in particolare dello status giuridico dei lavoratori, fossero essi liberi o servi, e della terra che essi lavoravano, mansi o tenures, vorrei evidenziare almeno un aspetto metodologico che mi sembra importante, il riconoscimento del peso della mentalità collettiva, affrontato con rigore razionalista, nella costruzione dei rapporti giuridici e sociali. Scrivendo del ruolo della consuetudine, e dunque della memoria, nella vita dei gruppi sociali, Bloch afferma che «la memoria umana è uno strumento estremamente imperfetto e malleabile, le cui facoltà di dimenticanza e, soprattutto, di deformazione sono veramente stupefacenti. Il risultato della concezione che abbiamo descritta fu quindi non tanto di cristallizzare il fluire dell’esistenza, quanto di legittimare una massa di errori o di abusi di potere, dando a poco a poco a ciascun precedente forza di diritto» [26], mentre di una gerarchia sociale si coglie innanzitutto il carattere di «sistema di rappresentazioni collettive, e per natura mutevoli» [27].

Alla fine del XII secolo il grande proprietario si trasforma in percettore di rendite, che oppone allo sfaldamento del manso, l’unità fiscale carolingia, e all’indebolimento delle corvées e delle prestazioni agricole a vario titolo la costituzione di monopoli (bannalità del mulino, del torchio, del forno…), l’introduzione di nuove imposizioni, la decima e la taglia, e l’esercizio dei diritti di giustizia. L’equilibrio che necessariamente doveva mantenere la grande azienda fondiaria, «vera e propria impresa di carattere capitalistico» [28], si incrina dinanzi al collo di bottiglia creato dalla mancanza di centri di mercato che potessero vendere i prodotti eccedenti, e per questo il signore ritiene più favorevole ridurre la riserva, cosa che riduce contemporaneamente anche l’obbligo di prestazioni da parte dei coloni sul dominico, moltiplicare le piccole unità produttive e riscuoterne una rendita. Questa, a grandi linee, l’evoluzione delle strutture della signoria, piena tuttavia di punti oscuri; nel delinearla, Bloch fornisce un alto esempio di procedura scientifica. Il punto di partenza è il motivo per il quale i signori rinunciano ad esigere dai tenanciers corvées artigianali. Si pone l’ipotesi:

«un’economia di scambi si era forse sostituita a un’economia chiusa? senza dubbio, questa formula esprime con sufficiente esattezza il fenomeno, considerato dall’interno della signoria. Ma ne consegue forse che l’economia signorile sia stata coinvolta in una grande corrente di scambi comune all’intera Francia, subendo le conseguenze di un rivolgimento di portata generale, che […] avrebbe finito col rendere più rapida e agevole la compravendita praticata su larga scala più conveniente della produzione in proprio?» [29].

L’ipotesi è subito sottoposta a verifica: «Si potrebbe sostenere tale ipotesi solo nel caso che la scomparsa delle corvées artigianali avesse seguito la rinascita del commercio […] Viceversa, da quanto i testi, purtroppo molto scarsi, ci permettono di constatare, sembra che il processo di alleviamento delle corvées si sia compiuto dappertutto verso l’inizio del secolo XII: troppo presto, dunque, e troppo simultaneamente perché sia possibile attribuirlo ai progressi del commercio» [30].

Accantonata la prima ipotesi, Bloch sceglie di esaminare nel dettaglio un caso specifico, quello del villaggio di Thiais, a sud di Parigi, possedimento dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés, esempio corroborato successivamente da altri, tratti dalla Champagne e dal Gâtinais, e formula altre due ipotesi: «Di questo straordinario attenuamento delle prestazioni agricole si posson dare, a priori, due spiegazioni: o il signore aveva trovato una nuova fonte di manodopera per la conduzione della riserva, o aveva ridotto al minimo l’estensione della riserva stessa» [31].

La prima di esse è subito scartata, vista l’irrimediabile decadenza della schiavitù, mentre la seconda, la riduzione delle riserve, è analizzata, con riferimento a diversi casi su tutto il territorio francese, e si tratteggia una prima sintesi: «Il mansus indominicatus dell’età carolingia metteva a disposizione del signore una gran quantità di derrate; ma, soprattutto quando si trattava di prodotti deperibili, la semplice accumulazione non bastava: per trarne profitto, era necessario farne un uso appropriato, tempestivo e razionale […] Per evitare gli sprechi, le perdite, gli errori, era indispensabile una contabilità esatta. Ma si era in condizione di tenerla? […] Inoltre, per distribuire adeguatamente i prodotti sarebbe stato necessario un corpo di amministratori capaci: ma il problema dell’amministrazione, vero scoglio per le monarchie sorte dall’Impero carolingio, non fu meglio risolto dalle signorie […] Un sistema di scambio presupponeva una rete di trasporti […] Infine, era facile parlare di smercio delle eccedenze: ma su quali mercati?» [32].  

A questa sintesi, Bloch, fedele al metodo comparativo, pone tuttavia l’obiezione che nulla di simile è attestato in Inghilterra o in Germania. E qui, la lezione finale: «Perché questo contrasto? Mi scuso con il lettore, ma in certi casi il primo dovere di uno studioso è quello di dire: Non ho trovato. Eccomi giunto a una di queste ammissioni di ignoranza, che è insieme un invito a approfondire una ricerca che ha in sé la chiave percomprendere uno dei tre o quattro fenomeni essenziali della storia rurale della Francia» [33].

   

Il quarto capitolo segue Le trasformazioni della signoria e dei rapporti di proprietà fondiaria dalla fine del Medioevo alla Rivoluzione francese. Numerosi sono i nuclei concettuali svolti all’interno di questa trattazione. Bloch esamina i vari fattori della crisi dei patrimoni signorili, la scomparsa o la radicale trasformazione dell’istituto servile, la decadenza delle giustizie signorili, la crisi delle rendite signorili, dovute alla devastazione delle campagne, provocata da guerre e rivolte, e alla crisi monetaria, intervenendo continuamente a precisare la terminologia [34] o inserendo nel corpo del testo excursus esplicativi, come l’«abbozzo di storia monetaria» [35] che spiega il lungo processo di svalutazione dei censi in moneta, ben prima dell’afflusso dei metalli americani. La reazione signorile in Francia, ancora comparata all’Inghilterra e alla Germania, consisté principalmente in un processo di ricostituzione del dominico, a spese dei terreni comunali e delle tenures, condotta attraverso il ricorso a moderni strumenti amministrativi, contabili, registri, mappe e atlanti, e giuridici. Ma la via più semplice e più usuale alla concentrazione nelle mani dei signori della grande proprietà, gli scambi e la compravendita, nasconde anche un profondo rivolgimento sociale e una differenza di mentalità: in questo caso la borghesia, penetrata nella nobiltà «attraverso il formarsi della nobiltà di toga e la trasformazione del corpo giudiziario in una vera e propria casta grazie al meccanismo dell’ereditarietà e della venalità delle cariche» [36], si dimostra superiore alla classe contadina, specialmente nella gestione del credito. La necessità di denaro da parte dei piccoli coltivatori, che tanta parte ebbe nella ricostituzione dei possessi signorili, si spiega non tanto con eventi fortuiti o eccezionali, come la guerra, ad esempio, ma con l’affermazione di flussi di denaro in cui vendere i prodotti, per i coltivatori, non era più sufficiente. «Per trarne [dalle nuove condizioni economiche] un certo profitto bisognava farlo nel momento opportuno, in altre parole bisognava saper aspettare e saper fare previsioni: era, insomma, questione tanto di capitali che di mentalità» [37].

   

Nel quinto capitolo, intitolato I gruppi sociali, Bloch esamina la «cellula elementare della società rurale», un’«unità a un tempo territoriale e umana», il manso, sotto l’aspetto giuridico (mansi ingenuili, servili, ledili), produttivo (mansi di braccia, di carreggio), dal punto di vista della struttura e dell’estensione (frazionati, nelle regioni a campi aperti e allungati, e unitari, nelle regioni a campi cintati). Nelle regioni a campi aperti vari fattori contribuirono alla precoce scomparsa del manso: il frazionamento della famiglia patriarcale, la crisi delle istituzioni pubbliche, i mutamenti interni alla signoria. Il discorso prosegue con l’analisi della comunità rurale, definita «sotto l’aspetto geografico […] un territorio soggetto a varie norme di sfruttamento collettivo […] e soprattutto a una serie di usi collettivi a vantaggio del gruppo degli abitanti» [38]. Questo soggetto sociale, sebbene nemmeno citato nelle fonti, di origine signorile, prima del Duecento, ebbe diversi modi tuttavia per costruire la propria coscienza di sé: in primo luogo, con la violenza. Fenomeno endemico, «la rivolta agraria – nota Bloch – appare inscindibile dal sistema signorile, altrettanto, per fare un esempio, dello sciopero dalla grande impresa capitalistica» [39]. Inoltre, più pacificamente, la comunità rurale impone la sua esistenza nella società attraverso istituzioni religiose (parrocchie e confraternite), amministrative e politiche (assemblee, elezione di sindaci o procuratori), o legittimata dal potere monarchico. Non è però da credere, ammonisce Bloch, che la comunità rurale sia una realtà indifferenziata sotto il profilo sociale: «Postulare [ciò] significa supporre che nella massa contadina, sebbene soggetta a imposizioni giuridiche differenti, i modi di vita erano sufficientemente simili e l’ordine di grandezza dei patrimoni abbastanza uniforme per non causare opposizioni di interesse […] Orbene, non vi è nulla di più falso» [40], mentre almeno due sono i criteri di distinzione tra contadini, la natura del servizio prestato al signore e la disponibilità di attacchi per arare.

    

Negli ultimi due capitoli si tratteggiano le caratteristiche della “rivoluzione” agraria del XVIII secolo, sino alla Rivoluzione, come profondo, ma lento, mutamento, caratterizzato dalla scomparsa delle secolari servitù collettive, da innovazioni tecniche decisive, l’abolizione del maggese e l’introduzione di piante foraggere, da nuovi strumenti giuridici, tutti elementi che poggiavano su un trend demografico molto positivo, sulla crescita dei mercati, sulla struttura della proprietà, fortemente concentrata, e su un clima intellettuale ispirato dall’Illuminismo, sostenitore dell’abolizione delle antiche, barbariche, usanze, e dei valori supremi dell’individuo. Le recinzioni scardinano l’antico sistema rurale, frammentando ancor di più la coesione sociale e ad un prezzo notevole per i ceti più deboli.

Così, secondo un secolare processo evolutivo, sono ricostruite le caratteristiche della Francia rurale coeva al libro di Bloch. Nella conclusione, passione per la storia e ricerca del senso, la domanda su cui Bloch ritorna più volte nel corso della sua opera [41, si combinano inscindibilmente: «Ogni mente riflessiva ammetterà che a queste indagini gli studi di storia agraria devono il loro appassionante interesse. Dove trovare un altro tipo di ricerca che costringa al pari di questo a cogliere il reale significato della storia? Nel continuo costituito dall’evoluzione delle società umane, ogni vibrazione si propaga da una molecola all’altra a una distanza tale che la intelligenza di un momento qualsiasi del processo di sviluppo non si conquista mai con la sola analisi del suo antecedente immediato» [42].

  

III.

Al dossier sulla storia agraria Bloch continuò a lavorare sino alla fine, progettando anche una riedizione dei Caratteri originali e una collana di studi rurali, da pubblicarsi presso Gallimard, intitolata «Le paysan et la terre». Questo lavoro continuo di ricerca è testimoniato, oltre che dalla ripresa di alcune tematiche ne La società feudale, dal volume, pubblicato nel 1956 a cura di un suo allievo [43], che raccoglie gli scritti di storia agraria pubblicati da Bloch dopo il 1931, ordinati secondo la successione dei capitoli dei Caratteri originali. In questi lavori Bloch ritorna sugli argomenti trattati, li corrobora con altre prove o li corregge, formula nuove ipotesi scaturite da opere di altri studiosi. Esempio ne sia il problema del disegno delle parcelle e le forme dei campi. Nel 1931 la causa del contrasto tra campi aperti e allungati e aperti o chiusi e irregolari era stata attribuita, in via d’ipotesi ad una differenza di ordine tecnico, tra l’aratro a ruote e quello semplice. Successivamente i lavori di Georges Lefebvre e Roger Dion sui villaggi pirenaici e della Loira avevano messo in dubbio questo rapporto, così come, fuori della Francia, gli studi condotti in Polonia e Svezia. Già nel 1934 Bloch, riassumendo quanto scritto nei Caratteri originali, ammetteva che questa «hypothèse de travail […] me semble devoir être aujourd’hui abandonnée». Altri studi, tuttavia, riguardanti su aree geografiche diverse, convergevano sull’ipotesi di Bloch, per cui, essendo al questione ancora aperta, nel 1941 egli pose due domande alla futura ricerca: quale strumento, tra ruote, coltro e versoio, ha avuto maggiore incidenza sulla forma dei campi?; in quale misura l’adozione di un nuovo tipo di attrezzo è in relazione con la pratica di questa occupazione del suolo sul piano collettivo, fattore, per Bloch, decisivo?

Nelle recensioni ai Caratteri originali, la lode delle notevoli innovazioni metodologiche non impedì che vi fossero portate critiche serie, su aspetti fondamentali o su questioni di dettaglio [44]. Albert Demangeon avanzava, tra l’altro, delle riserve sulla genesi dei paesaggi rurali e sulla distribuzione dei tipi di civiltà agraria, e un altro geografo, Jules Sion, rimproverava a Bloch, in particolare, l’eliminazione del fattore demografico, l’aver trascurato il problema della presenza, nel mondo rurale, di attività non agricole, e infine la sottovalutazione dell’habitat raggruppato mediterraneo nella strutturazione dei paesaggi agrari meridionali. Accolta freddamente negli Stati uniti, ignorata in Belgio e in Svizzera, l’opera di Bloch è recensita molto positivamente in Inghilterra, ma accolta con qualche riserva in Germania, il paese che più di ogni altro avrebbe dovuto recepire il senso di un lavoro ispirato direttamente agli insegnamenti della scuola tedesca. Spagna e Italia accolgono con favore i Caratteri originali: in particolare, Gino Luzzatto, recensendo l’opera sulla «Nuova rivista storica», nel 1933, cogliendone tutti gli aspetti di novità e di forza, non manca però di indicare, cosa che manca in Bloch, il peso della città nell’evoluzione delle campagne [45]. È tuttavia nel dopoguerra che la fama di Bloch si allarga decisamente nel resto d’Europa. La vicenda delle traduzioni ne è un buon indicatore: i Caratteri originali, ristampati nel 1952, nel 1956 e nel 1988, sono tradotti in russo nel 1957, in inglese nel 1970, in spagnolo nel 1978. In italiano l’opera è tradotta nel 1973, stesso anno in cui sono tradotti i Rois thaumaturges, mentre nell’immediato dopoguerra erano stati offerti al pubblico italiano la Società feudale (1949) e l’Apologia della storia (1950) [46].

Il volume di Bloch costituisce un classico non solo perché testimonia una tappa del pensiero storiografico moderno, come altre più o meno superata dalla ricerca successiva e ridotta a monumento del suo genere. Il carattere di opera aperta, problematica, direi quasi incompiuta, ha credo contribuito a che essa conservi tuttora un’originalità e una ricchezza di prospettive con cui bisogna fare i conti. La sopravvivenza e la coesistenza, in Francia, dell’openfield nordico con i campi chiusi di origine celtica, l’evoluzione della grande proprietà fondiaria e la formazione della signoria rurale, la natura del manso carolingio, le differenziazioni interne alla società contadina, l’attenzione alla psicologia collettiva, alle usanze, alla mentalità, la ricchezza di approcci metodologici e l’impiego di un gran numero di fonti, non ultime quelle cartografiche, ma soprattutto l’analisi dei paesaggi e dei regimi agrari come strutture, come sistemi dotati di modi originali di sfruttamento della forza lavoro [47], sono tutti problemi che meritano ancora di essere sollevati e discussi.


    


1  M. Mastrogregori, Introduzione a Bloch, Roma - Bari 2001.

2  M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, con uno scritto di L. Febvre, a c. di G. Arnaldi, Torino 199517 (Paris 1949, I ed. it. Torino 1950).

3  Sullo storicismo, in generale, cfr. F. Tessitore, Introduzione a Lo Storicismo, Roma-Bari 19993.

4  Cfr. Bloch, Apologia della storia cit., pp. 81-122.

5  Idem, p. 32.

6  Come rileva Pierre Toubert, Genesi e fortuna di un libro di Marc Bloch: “Les caractères originaux de l’histoire rurale française”, in «La cultura», XXXI (aprile 1993), p. [63-97] 77. Il saggio è la traduzione italiana della prefazione alla nuova edizione francese (Paris 1988) dell’opera di Bloch.

7  Toubert, Genesi e fortuna cit., pp. 77-86; Mastrogregori, Introduzione cit., pp. 27-28.

8  Cfr. C. Fink, Marc Bloch. Biografia di un intellettuale, Milano 1999 (ed. orig. Cambridge 1989), pp. 81-105 e in sintesi P. Burke, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle «Annales», 1929-1989, Roma-Bari 1995 (ed. orig. London 1990), pp. 13-14 e Mastrogregori, Introduzione cit., pp. 38-39.

9  G. Tabacco, Marc Bloch e lo studio della società medievale, saggio introduttivo a M. Bloch, La società feudale, Torino 19993 (ed. orig. Paris 1939, I ed. it. Torino 1949), p. [ix-xxviii] xvii.

10  Toubert, Genesi e fortuna cit., pp. 66-69.

11  Per il riferimento bibliografico delle opere citate cfr. M. Bloch, Mélanges historiques, pref. di Ch.-E. Perrin, i-ii, Paris 1963, bibliografia pressoché completa alle pp. 1032-1104. Importanti la pagine dedicate a questi volumi da Carlo Ginzburg, A proposito della raccolta di saggi storici di Marc Bloch, in «Studi medievali», 3a s., VI (1965), pp. 335-353..

12  La prima parte, L’œuvre des pouvoirs d’Ancien Régime, è in Idem, pp. 593-637.

13  Instituttet for sammenlignende Kulturforskning – Belles Lettres, Oslo – Paris 1931.

14  M. Bloch, Pour une histoire comparée des sociétés européennes (1928), in Id., Mélanges historiques cit., i, pp. 16-40 [trad. it. in Id., Lavoro e tecnica nel Medioevo, Roma – Bari 1977, pp. 3-47]. Cfr. inoltre Mastrogregori, Introduzione cit., p. 69, nota 66.

15  M. Bloch, I caratteri originali della storia rurale francese, con uno scritto di G. Luzzatto, Torino 1973, p. xxiii.

16  Idem, pp. xxi-xxii.

17  Idem, p. xxix. Id., Apologia della storia cit., p. 43: «Ora, questo tempo vero [il tempo della storia] è per sua natura, continuità. Ma è anche perpetuo mutamento. Dall’antitesi tra questi due attributi derivano i grandi problemi della ricerca storica».

18  Bloch, I caratteri originali cit., pp. 20-21.

19  Fink, Marc Bloch cit., p. 128, nota 57. Cfr. anche la testimonianza di Charles – Edmond Perrin, nell’introduzione a Mélanges historiques cit., p. iv, di una gita sui Vosgi, fatta nel 1919, in cui il contatto diretto con i campi integrò la conoscenza documentaria che ne aveva sino allora. Questo fu poi un modo usuale di Bloch di lavorare alla storia agraria: memorabile restò infatti, nel settembre 1937, un viaggio in automobile attraverso la campagna inglese: Fink, Marc Bloch cit., p. 202.

20  Id., Le problème des régimes agraires (1932), in Id., Mélanges historiques cit., ii, p. [648-669] 648: «… un ensemble complexe à la fois de recettes techniques et de coutumes juridiques, que ces recettes techniques et ces coutumes juridiques sont, dans une large mesure, conçues comme imposées». Cfr. anche Id., I caratteri originali cit., p. 42.

21  Rispettivamente, l’uso del contadino di attenersi, nel calendario delle rotazioni, al ciclo tradizionale del quartiere di cui la sua parcella fa parte, e pascolo su terreni privi di messi, in genere dopo la mietitura, o sui prati, dopo la prima falciatura: Idem, pp. 47 ss.

22  Idem, p. 65.

23  Idem, p. 66.

24  Idem, p. 74.

25  Id., Pour une histoire comparée cit., pp. 35-36.

26  Id., I caratteri originali cit., p. 84.

27  Idem, p. 101.

28  Idem, p. 82.

29  Idem, p. 110.

30  Ibidem.

31  Idem, pp. 112-113.

32  Idem, pp. 117-118.

33  Idem, p. 119.

34  Ad esempio Idem, p. 121: «… tenanciers – che per una confusione tipica dell’affievolirsi delle antiche nozioni di rapporti personali cominciavano a essere chiamati “vassalli”».

35  Idem, pp. 138 ss.

36  Idem, p. 157.

37  Idem, pp. 164-165.

38  Idem, pp. 196-197.

39  Idem, p. 199.

40  Idem, p. 222.

41  Id., Que demander à l’histoire? (1937), in Id., Mélanges historiques cit., i, pp. 3-15; Id., Apologia della storia cit., pp. 23-35.

42  Id., I caratteri originali cit., p. 285.

43  Id., I caratteri originali cit., ii, Supplément établi d’après les travaux de l’auteur (1931-1944) a c. di R. Dauvergne, Paris 1956.

44  Su quest’aspetto cfr. Toubert, Genesi e fortuna cit., pp. 88-97.

45  In Italia, tuttavia, una vera penetrazione dell’opera di Bloch avviene con la Storia del paesaggio agrario italiano, Bari 1961, di Emilio Sereni. Sulla ricezione di Bloch in Italia cfr. B. Arcangeli, Storiografie a confronto: Marc Bloch e la storiografia italiana, in «Società e storia», 71 (1996), pp. 155-175.

46  Sulle recensioni dei Caratteri originali cfr. Fink, Marc Bloch cit., p. 132, note 62 (Europa) e 63 (Francia); sulle date delle traduzioni nelle principali lingue europee delle opere maggiori di Bloch cfr. Mastrogregori, Introduzione cit., pp. 150-151, nota 7.

47  Secondo la prospettiva di Guy Bois, Marc Bloch, historien d’un système social, in Marc Bloch aujourd’hui. Histoire comparée et sciences sociales [Colloque international, Paris, 16-18 juin 1986], textes réunis et présentés par H. Atsma et A. Burguière, Paris 1992, pp. 165-171. Cfr. anche B. Geremek, Marc Bloch storico e cittadino, in «I viaggi di Erodoto», 8 (agosto 1989), pp. 52-71. la convergenza nell'analisi delle strutture e delle classi sociali tra Bloch e storiografia marxista, pur estraneo l'uno all'altra, è sottolineata da L. Allegra - A. Torre, La nascita della storia sociale in Francia. Dalla Comune alle «Annales», Torino 1977, pp. 196-205 e 323-328 (ma l'intero volume è da tener presente per le questioni sollevate in queste pagine).

   

  

© 2005 Francesco Violante.

   


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