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Introduzione
Gli
avvenimenti che stanno per essere presentati sono quelli immediatamente
precedenti lo “spostamento”, da parte di Costantino il Grande, della
capitale, del “baricentro” dell’Impero romano ad Oriente, nella nuova
metropoli che da lui prese il nome, Costantinopoli.
Ciò
che salta immediatamente all’attenzione del lettore che si inoltra nelle
intricate vicende di questo periodo è l’accentuarsi della frattura tra i due
poli in
nuce
dell’Impero, tra i due blocchi che si formarono dalle diocesi in cui il
territorio fu frammentato dall’ordinamento tetrarchico
dioclezianeo.
La contrapposizione tra Costantino e Licinio fu infatti l’ultima nonché
massima espressione dei meccanismi elettivi che la tetrarchia si proponeva di
“bloccare”: il principio dinastico-ereditario
e
l’acclamazione militare. Entrambi i due ex tetrarchi, infatti, erano stati
eletti su “base” militare: figlio di Costanzo Cloro il primo, generale
dell’esercito scelto direttamente da Galerio
il secondo, così come entrambi elessero Cesari i propri figli, frantumando in
tal modo le dinastie fittizie create deliberatamente da Diocleziano per evitare
il ripetersi della trasmissione ereditaria di titoli e territori.
Ma altri elementi, oltre a questi, emergono dal contesto: la spinosa questione della tolleranza religiosa nell’Impero, argomento del cosiddetto “Editto di Milano”, che non può non essere messa in relazione con la “visione” di Costantino e la sua folgorante conversione al Cristianesimo, cosa che cagionò, per di più, la dedica di Costantinopoli, la “nuova Roma”, alla Vergine. Molto si è scritto su Costantino e sono state avanzate innumerevoli interessanti considerazioni sulla sua religiosità e sulle ragioni che lo spinsero ad una scelta così drastica. Non stupisce tanto il fatto che fosse un adepto del culto del Sol invictus: la tolleranza religiosa nell’Impero romano, come è noto, era grandissima nei confronti di tutti i culti che non compromettessero l’incondizionata devozione dei sudditi all’Impero e all’imperatore stesso, fondamento violentemente in contrasto con gli ideali del Cristianesimo. Non ci si dilungherà in questa sede nell’analisi del quadro religioso per se del tardo Impero, basti ricordare che i culti tradizionali non rispondevano più alle esigenze spirituali di tutte le classi sociali: addirittura tra i soldati (a gente che rischiava la vita ogni giorno evidentemente Marte non bastava più!) trovavano sempre maggior consenso i culti misterici orientali. Ciò che deve essere messo in risalto nella conversione di Costantino è il fatto che il “primo passo” della stessa avvenne con la famosissima visione dell’“in hoc signo vinces” e l’incisione (si noti, prima della battaglia) del chrismon sugli scudi dei soldati. La stessa dedica di Costantinopoli alla Vergine, assimilabile a buon diritto ad un sincretismo religioso, potrebbe rappresentare la fusione della figura cristiana della Madonna con quella di altre figure femminili “analoghe” del Pantheon “pagano”, per esempio Atena (sulla quale è inutile aggiungere commenti) o Demetra, divinità molto venerata nell’area geografica (culla di civiltà antichissime, basti pensare agli Ittiti) in cui Costantinopoli fu fondata.
In conclusione gli elementi che emergono sono:
·
lo spostamento del
“baricentro” economico e politico dell’Impero romano ad Oriente e nel
contempo la disoluzione dell’ultimo meccanismo politico che poteva essere
considerato appieno produzione dello stesso Impero romano, la tetrarchia;
·
il tramonto, con
Diocleziano, Galerio e Massimiano e, in minor misura, Massimino Daia, della
vecchia classe politica romana e l’ascesa della nuova classe: Costantino e
Licinio, i quali, tuttavia, provenivano dai ranghi dell’esercito,
l’organismo conservatore per antonomasia;
·
l’assurgere del
nuovo credo cristiano, dopo le vicende della battaglia di Ponte Milvio e
dell’“Editto di Milano”, a religione ufficiale dell’Impero, la
conversione dello stesso imperatore Costantino, cambiamento che conferirà il
carattere forse più marcatamente distintivo all’epoca successiva.
Un’epoca di contrasti, cambiamenti, trasformazioni, in una parola, sviluppo: siamo alle “radici” del Medioevo.
§1 Quadro storico e prodromi del conflitto
Scopo
di questo lavoro è l’analisi delle fonti e dei testi relativi alla datazione
del famoso Bellum
Cibalense,
ovvero l’inizio di quel conflitto che vide contrapposti Costantino e Licinio,
gli ultimi due Augusti che ricoprirono
la carica dopo l’inesorabile dissoluzione, tanto sul piano politico quanto su
quello ideologico, della Tetrarchia. Le vicende che precorsero questi
avvenimenti sono certamente storia nota: Diocleziano abdicò e Costanzo Cloro
cadde in Britannia;
le sue truppe acclamarono Augusto suo
figlio Costantino. Questi eventi sconvolsero l’ordine stabilito, provocando ciò
che l’istituzione della tetrarchia voleva evitare: il ritorno al principio dinastico-ereditario
e
l’elezione degli imperatori da parte dell’esercito, che tanti problemi aveva
causato negli anni della cosiddetta “anarchia militare”.
Si cercherà ora di scorrere gli avvenimenti accennati in modo più appropriato.
Dopo
il ritiro di Diocleziano e Massimiano a vita privata, erano assurti al rango
augusteo Costanzo Cloro, che morì il 25 luglio del 306 ad Eburacum
(York) in Britannia,
dove si trovava in missione militare, e Galerio
che, oltre a rimanere l’unico
Augusto,
era anche il rappresentante della dinastia Giovia,
fondata da Diocleziano con funzione di “paternità” sulla dinastia Erculea
(specularmente al mito di Ercole figlio di Giove): un sistema di discendenze
fittizie chiaramente volto alla prevenzione di ogni rivendicazione ereditaria in
linea di sangue.
Costantino, acclamato Augusto dalle armate del padre, rinunciò alla più alta onorificenza, accettando il solo titolo di Cesare riconosciutogli, anche se con qualche esitazione, da Galerio il quale, nel tentativo di “chiudere la falla” nel sistema, elesse Severo come secondo Augusto, al posto di Cloro.
Questi
avvenimenti spinsero Massenzio, figlio del tetrarca abdicante Massimiano, a
farsi acclamare princeps
dai
pretoriani e dalla plebe di Roma, approfittando dei disagi causati
dall’assenza della Corte imperiale e sperando che Galerio
acconsentisse a riconoscergli il titolo di Cesare come aveva fatto con
Costantino. Ma ciò non avvenne: durissima fu la reazione di Galerio,
il quale gli mosse contro Severo, legittimo Augusto,
che marciò sull’Italia per neutralizzare l’usurpatore. L’operazione di
Severo non sortì tuttavia l’effetto sperato: l’Augusto,
infatti, capitolò a Ravenna nel 307 e successivamente fu fatto uccidere da
sicarî di Massenzio.
Massimiano,
intanto, interruppe appositamente il suo ritiro in Lucania
e si insediò a Roma con il figlio, dopo essersi accordato con Costantino, al
quale diede in sposa sua figlia Fausta.
La
situazione si capovolse con l’inasprirsi dei rapporti tra Massimiano e
Massenzio, che spinse il primo a rifugiarsi presso il genero in Gallia.
Fu allora che Galerio, intuendo il pericolo di una guerra civile, organizzò un
vertice con Diocleziano e Massimiano per decidere sul da farsi. In questo
incontro, noto come “Conferenza di Carnuntum”, furono prese le seguenti
importanti decisioni:
·
Il
divieto a Massimiano di riassumere un ruolo attivo nel quadro politico.
·
La
nomina, dalla chiara valenza antiereditaria, di Costantino e Massimino Daia,
a Cesari, con l’appellativo di “filii Augustorum”.
·
La
sostituzione di Severo con un amico personale di Galerio, il generale Licinio,
che doveva governare sulla Pannonia fin quando non avesse annesso ai suoi
territori quelli occupati da Massenzio, che veniva così dichiarato usurpatore.
Spettava dunque a Licinio riprendere i territori, ma l’azione in realtà fu svolta da Costantino. Questi, infatti, sconfisse Massenzio nella famosissima battaglia di Ponte Milvio, quindi strinse un’alleanza con Licinio, cui diede in sposa sua sorella Costanza. Le nozze si svolsero a Milano nel 313, nello stesso periodo in cui i due novelli cognati si incontrarono per discutere importanti questioni riguardanti la tolleranza religiosa nell’ Impero, conosciute come l’“Editto di Milano”.
Dopo
le nozze Costantino tornò in Gallia, mentre Licinio, essendosi acuito il
contrasto con Massimino Daia per il controllo delle province orientali, mosse
contro l’avversario e lo sconfisse a Campo Ergenus presso Adrianopoli,
il 30 aprile 313. Massimino riparò in Asia Minore e morì a Tarso, mentre si
preparava ad un tentativo estremo di difesa. Ormai i due Augusti
“superstiti” controllavano da soli tutto l’Impero: Costantino le partes
Occidentis, Licinio le partes
Orientis.
Secondo la datazione tradizionale il conflitto sarebbe scoppiato immediatamente dopo questi eventi [1].
§2 Il “bellum”
La
prima fase del bellum in questione fu
combattuta in una località della Pannonia chiamata appunto Cibalae.
Le fonti da cui si è tratta la descrizione del conflitto sono:
1.
L’Origo
Constantini dell’Anonimo di Valois
[2].
2. La Historia di Zosimo [3].
La
prima ci dice che Costantino e Licinio condussero gli eserciti in detta località;
Licinio disponeva di un contingente di 35.000 tra fanti e cavalieri, mentre
Costantino di 20.000 uomini. In un dubium
certamen furono
uccisi addirittura 20.000 dei soldati di Licinio, che prese la fuga in direzione
di Sirmio portando con sé la moglie, il figlio (questa informazione tornerà
utile in seguito) e il tesoro, piegando verso
La
seconda fonte, che è a netto favore di Licinio, fornisce un maggior numero di
dettagli, sebbene in gran parte riguardino l’arte bellica tout
court. Zosimo dice infatti che, quando l’Impero era “nelle mani” di
Costantino e di Licinio, “poco tempo dopo” (anche questo ci tornerà utile
in seguito) nacquero tra i due delle rivalità e specifica che l’inizio
dell’inasprimento non era da attribuirsi a Licinio. Costantino, infatti,
“come era sua abitudine”, si mostrò sleale, volendosi appropriare di alcuni
dei territori attribuiti a Licinio. Quando la loro rivalità si accentuò, i due
dispiegarono le forze per risolvere la contesa sul campo di battaglia. Licinio
radunò il suo esercito a Cibale, città collinare della Pannonia, situata in un
territorio aspro e montuoso e decise di stabilire il campo ai piedi della
collina, dispiegando la sua linea di battaglia in lunghezza, onde evitare che le
ali fossero troppo deboli.
Costantino,
da parte sua, aveva disposto la sua armata vicino alla zona montuosa, con la
cavalleria in prima linea, cosa che gli sembrava vantaggiosa in quanto
proteggeva la fanteria, meno mobile e per di più penalizzata dalla natura
stessa del terreno su cui doveva marciare.
Stabilito
ciò, Zosimo passa alla descrizione del combattimento riferendoci di una
battaglia molto dura, svoltasi dall’alba al tramonto con un combattimento
corpo a corpo, dopo un veloce lancio di proiettili dalle baliste di ambo le
fazioni.
La
vittoria fu riportata dall’ala destra, capeggiata da Costantino in persona,
che mise in rotta le linee nemiche, le quali, vedendo fuggire il loro
comandante, optarono per l’emulazione, lasciando sul campo bestie da soma ed
equipaggiamento e portando con sé solo lo stretto necessario per passare la
notte.
Licinio
si rifugiò a Sirmio, città della Pannonia
bagnata dal fiume Sava.
Entrato in città fece distruggere il ponte, progettando di riunire il grosso
delle truppe in Tracia. Ma Costantino, fallito il primo tentativo di
inseguimento da parte di 5.000 fanti, preferì far ricostruire il ponte sul Sava
e avanzò sulle tracce del nemico. Pervenne nei pressi del luogo dove Licinio
aveva stabilito il suo campo e diede disposizioni alle truppe di essere pronte
al combattimento per l’alba. Al levar del giorno iniziò lo scontro, anche
questa volta molto violento e con un parco uso di macchine belliche. Licinio e
Valente, l’ufficiale che egli stesso aveva nominato Augusto, furono sconfitti
e, precisa Zosimo, fu solo per la fedeltà e la strenua e coraggiosa difesa
delle sue truppe che Licinio non fu preso da Costantino, il quale attuò una
manovra “a cerchio” attorno alla montagna. Zosimo chiude il resoconto dello
scontro scrivendo di un armistizio con cui le due parti stipularono un accordo
che sancì la spartizione delle “diocesi illiricane”:
Pannonia e Mesia
a Costantino, Tracia a Licinio, al quale venne riconosciuta l’autonomia
legislativa nelle partes
orientali. Valente fu considerato il responsabile dello scontro e gli spettò la
sorte che è facile immaginare.
Seguì l’elevazione a Cesari di Crispo e Costantino II (appena nato) figli di Costantino e Licinio il Giovane (anch’egli infante) figlio di Licinio.
§3 Problemi di datazione
Dal
314 Volusiano
II et Anniano
1.
His consulibus bellum Cibalense fuit die VIII id. Oct.
Questa
data fu proposta come l’unica possibile fino a quando il numismatista
finlandese Patrick Bruun
[5],
appunto nel 1953, elaborò la prima ipotesi di posticipazione della datazione
del conflitto a 2 anni più tardi, vale a dire all’ Ottobre del 316.
L’ipotesi di datazione si fonda sull’analisi della coniazione bronzea di
Costantino, specialmente quella della zecca di Arles, la quale aprì tra il 313
e il 314 coniando monete le cui stampigliature riportano le facce di Licinio e
di Costantino, cosa che dovrebbe far concludere che le relazioni tra i due
regnanti al momento fossero buone.
Licinio
scompare dalle raffigurazioni sulle monete poco tempo prima che venissero eletti
Cesari i figli dei due imperatori (per il quale evento l’unica cronologia
possibile è quella del 317), facendo concludere che le relazioni tra i due si
ruppero poco tempo prima di questo evento. Un altro studio di Bruun
[6]
ha riportato altri elementi utilissimi in merito evinti dalle caratteristiche
della monetazione bronzea della zecca di Cyzicus
tra gli anni 313 e 317. Esaminando infatti le legende e le stampigliature sulle
monete di bronzo coniate da questa zecca, Bruun mostra come i pezzi coniati in
due serie tra il 313 e il 315 riportino, oltre alla dicitura SM (Sacra Moneta)
presente su tutte le serie, le legende
e le stampigliature di Licinio e Costantino, cosa che farebbe supporre una
monetazione che celebrasse i due augusti nel loro regno:
1)
IMP
C FL VAL CONSTANTINVS P F AVG
2)
IMP
C VAL LICIN LICINIVS P F AVG
Sull’altra
faccia della moneta troviamo concordemente nelle due serie:
1)
GENIO
AV-GVSTI CMH con il Genius in piedi sulla sinistra, un mantello sulla spalla
sinistra, modius
sulla
testa e in mano cornucopia e patera.
2)
IOVI
CONSERVATORI con Giove che sta sulla
sinistra, mantello sempre sulla spalla sinistra, nella mano sinistra uno scettro
e nella destra un globo sormontato da una Victoriola.
Differenze
si riscontrano invece nella monetazione della stessa zecca tra 316 e 320. Ma
vediamo in particolare le coniazioni tra 316 e 317 e quelle tra 317 e 320.
La
prima riporta nei versi i nomi di Costantino, Licinio e Valente.
Troviamo
quindi:
1)
IMP
C FL VAL CONSTANTINVS AVG;
2)
IMP
C VAL LICIN LICINIVS P F AVG;
3)
IMP C AVR VAL VALENS
P F AVG.
Sui
versi di tutte queste monete troviamo Giove con un mantello attorno alla spalla
sinistra, nella mano sinistra uno scettro e nella mano destra, questa volta, il
globo sormontato dalla Victoriola
e per terra un’aquila.
Concludiamo
ora il quadro con l’ultima serie di monete bronzee, ma coniata tra il 317 e il
320, all’indomani, cioè, dell’elevazione a Cesari dei figli dei due
Augusti:
1)
IMP
CONSTA-NTINVS AVG
2)
IMP
LICI-NIVS AVG
3)
D
N FL IVL CRISPVS NOB CAES
4)
D N VAL LICIN
LICINIVS NOB C
5)
D
Notiamo sui versi:
1)
IOVI
CONS-ERVATORI AVGG con Giove sulla sinistra, mantello sulla spalla sinistra,
scettro, globo e Victoriola in mano.
2)
Idem
3)
IOVI
CONS-ERVATORI CAESS con la stessa raffigurazione.
4) " " " "
5) " " " "
Si
notano somiglianze e analogie tra la coniazione di Valente e quella dei Cesari,
mentre la coniazione tra il 313 e il 315 rimane assolutamente diversa e
soprattutto non ci dà elementi favorevoli all’ipotesi di un conflitto tra i
due regnanti. Le analogie di cui sopra, invece, dovrebbero far intuire
l’impossibilità che tra una coniazione e l’altra sia intercorso un
intervallo di tempo di 3 o 4 anni, non fosse altro perché tale lasso di tempo
sarebbe stato sufficiente ad adattare le zecche a nuovi modelli; è molto più
probabile, invece, che le due serie siano state coniate a breve distanza tra
loro. Ora, fissata senza ombra di dubbio l’elezione dei Cesari al 317 e
accertato che Licinio si alleò a Valente, nominandolo Augusto nel corso della
prima campagna contro Costantino, ovvero proprio quella in cui si svolse la
famosa battaglia di Cibale, possiamo tranquillamente far slittare la datazione
della detta battaglia al 316.
A
corroborare tale ipotesi lo stesso Bruun ha pubblicato nel 1993 un altro studio
[7]
in cui prende in esame la coniazione delle zecche di Licinio nella parte
orientale dell’Impero nell’intervallo che va dalla morte di Galerio alla
nomina dei Cesari nel 317.
Studiando
tali zecche e le raffigurazioni stampate sulle monete, in relazione
all’ideologia e all’organizzazione tetrarchica, Bruun si propone
esplicitamente di dimostrare ancora una volta che la battaglia di Cibale si
svolse tra 316 e 317 e non tra 314 e 315.
Bruun
svolge l’analisi, proponendosi di andare in supporto dei suoi earlier
studies, partendo dalla presa di controllo sull’Oriente da parte di
Licinio nel 313 (con la sconfitta di Massimino Daia) fino al marzo 317 e
riportando una nuova problematica. Essendo infatti l’iperattività delle
zecche un fenomeno che si verifica quando l’imperatore e il suo entourage
si trovano in loco, come si spiega,
alla luce della datazione al 314, la scarsa produttività e, in alcuni casi,
addirittura la chiusura delle zecche balcaniche tra il 313 e il 316? Tali
zecche, si aggiunga, ripresero intensamente la loro attività dal 316, quando
verosimilmente la monetazione dovette essere più intensa per coprire le spese
della guerra in questione. Tutto ciò porta nuovi argomenti favorevoli alla
seconda ipotesi di datazione.
Trasferendoci
ora sul campo delle fonti scritte, un altro elemento di sicuro interesse ci è
dato da Aurelius Victor
[8]
nel suo Liber
de Caesaribus,
dove si allude a un triennium
in cui la pace e le civili relazioni tra i due furono mantenuti in un modo ben
esplicato dall’avverbio anxie
(cioè
cominciarono a tendersi, ma non si ruppero), prima che scoppiasse il conflitto
si sta cercando di inquadrare cronologicamente. In effetti Eusebio di Cesarea
[9]
così narra dell’ingratitudine di Licinio: «All’inizio fece tutto
disonestamente, agendo in maniera spregevole sotto la copertura dell’amicizia,
sperando che i misfatti non fossero scoperti, ma Dio espose a Costantino i
complotti di cui sarebbe altrimenti rimasto all’oscuro. Una volta scoperto,
Licinio agì ancora ambiguamente, a volte offrendo la mano dell’amicizia,
altre attuando, da spergiuro, le minacce. Poi improvvisamente ruppe l’accordo:
cercò infatti contatti con un’ambasciata, ma ancora una volta mentì
disgustosamente e finì col dichiarare guerra aperta; nella sua scellerata
pazzia infine cominciò una campagna contro colui [Costantino] che era protetto
da Dio», e così facendo ci suggerisce cosa poté accadere in quel triennium
di cui ci riferisce, oltre ad Aurelio Vittore, anche l’Anonimo di Valois
[10]:
«Qualche tempo dopo» (Post aliquantum
deinde temporis) il matrimonio tra Licinio e Costanza, Costantino mandò
Costanzo a Licinio per convincerlo a eleggere Cesare
Bassiano, marito di un’altra sorella di Costantino, Anastasia. Tale Bassiano
avrebbe dovuto, «seguendo l’esempio di Diocleziano», stare tra Licinio e
Costantino, reggendo la parte centrale dell’Impero che il cognato aveva
strappato a Massenzio. Ma Licinio, evidentemente, aveva altri progetti: fece
infatti convincere Bassiano dal fratello di questi, Senicio, (che era uno dei
suoi “fedelissimi”) a ordire una congiura ai danni di Costantino.
Quest’ultimo, a mio avviso, doveva senz’altro essere al corrente che il
fratello del suo pupillo era fedele a Licinio, dunque prevedere che una mossa
del genere sarebbe stata se non scontata, almeno molto probabile, in quanto
intercettò e neutralizzò subito l’attacco. Lo fece di proposito? Il
conflitto era dunque inevitabile e aveva solo bisogno di un pretesto come questo
per scoppiare, o l’ambasciata fu mandata comunque per dare conferma ai propri
sospetti? Ad ogni modo la disputa era ormai tra i due Augusti,
essendo il principio dinastico-ereditario
rientrato
prepotentemente in gioco.
Cio
che a noi interessa notare è che questa ambasciata (che partì dalla Gallia
e arrivò all’Illirico), il colloquio, il tradimento, l’attacco, la
sconfitta e tutto ciò che segue, difficilmente possono essere “compressi”
nei pochi mesi che separano i fatti di Milano dall’Ottobre 314, ma si adattano
molto meglio a un lasso di tempo più lungo, ad esempio quello proposto
dall’Anonimo. Quindi, se i fatti di Milano datano 313 e la guerra scoppiò
dopo il triennium
in cui i rapporti civili tra i due Augusti furono mantenuti anxie,
il Bellum Cibalense
dovrebbe
essersi svolto nel 316.
Anche
il Codex
Theodosianus
[11]
apporta il suo contributo al chiarimento della vicenda, riportando alcune leggi
datate 314, ma promulgate da Costantino a Treviri, e altre promulgate dallo
stesso imperatore a Serdica
nel 316. Se dunque l’Imperatore nel 314 si trovava a Treviri,
secondo la datazione delle suddette leggi addirittura tra Ottobre e Dicembre,
pare difficile immaginare un modo di condurre una guerra nei Balcani, nel IV
secolo, stando in Gallia ad occuparsi dell’amministrazione dell’Impero. Il
dubbio si rafforza vedendo che nel 316 delle leggi vengono promulgate dallo
stesso Costantino nei Balcani.
Non
si può d’altro canto obiettare che per la datazione di queste leggi possano
essere usate le tavole di Otto Seeck
[12]
che riportano deliberatamente in data 8 ottobre 314 “Cibalae, Sieg Constantinus über Licinius. Chron. I S.
L’ultimo
elemento che si prenderà in considerazione è un saggio di André Chastagnol
[13]
riguardante la discendenza di Licinio. Sappiamo che dopo la fine del primo
conflitto furono eletti Cesari i figli
dei due Augusti, Crispo e Costantino
II, figli di Costantino, e Licinio il Giovane, figlio di Licinio. La tesi
generalmente accettata su questo argomento vuole che quest’ultimo fosse un
figlio illegittimo di Licinio, nato da una relazione extraconiugale con una
donna forse di rango servile, non essendo Costanza in grado di dargli un erede.
Quando Licinio nel 324 perse definitivamente contro Costantino, questi concesse
al giovane di continuare a vivere ricco e onorato. Ciò durò fino al 336,
quando egli fu riportato ad
suae originis primordia.
Ma Chastagnol confuta la costruzione perché poggia, secondo lui, su due basi
che vanno riesaminate: la prima è la notizia stessa delle sventure di questo Liciniani
filius in due leggi del 336, le quali non ci tramandano assolutamente che il
pargolo fosse lo stesso che assurse nel 317 al rango di Cesare. Seeck, interpretando in tal senso la notizia, scartò un
insieme di testi molto precisi, che contraddicono la datazione del conflitto al
314. Rivedendo l’argomento senza questo pregiudizio, forti della nuova ipotesi
introdotta da Bruun, richiamiamo questi testi. Il primo è l’ Epitome
de Caesaribus
dello pseudo-Aurelius
Victor
[14],
che ci riporta l’elezione a Cesari dei due figli di Costantino, Crispo avuto
dalla relazione con Minervina e Costantino II “iisdem diebus natum oppido
Arelatensi”,
e del figlio omonimo di Licinio, “mensium
fere viginti”.
L’altro
è il testo di Zosimo
[15]
che riporta: “Concluso l’accordo [...] Costantino eleva al rango di Cesare
Crispo, un figlio che aveva avuto in precedenza da una concubina chiamata
Minervina, che era già un giovane uomo e Costantino, che era nato da qualche
giorno nella città di Arles; allo stesso tempo fu eletto Cesare anche il figlio
di Licinio, Liciniano, che aveva 19 mesi. Tale fu, dunque, la conclusione della
guerra”.
Il
rigetto di tali argomentazioni si basa su due presupposti: uno è la data di
nascita di Costantino II, il quale, essendo nato ad Arles, non può essere
venuto al mondo pochi giorni prima di essere proclamato Cesare,
considerando il lasso di tempo necessario affinché la notizia giungesse da
Arles dove il pargolo aveva visto la luce. Ma, interpretando la notizia dello pseudo-Aurelius
Victor
“iisdem
diebus natum oppido Arelatensi”
come “si apprendeva in quegli stessi giorni della nascita di...”, si può
giungere ad altre conclusioni.
L’altro
presupposto parte dall’assunto che Costantino II fosse un bastardo, dato che
Costanzo II, il secondo figlio dell’imperatore, nacque sicuramente da Fausta e
non prima dell’agosto 317. Ma non abbiamo la certezza che i testi cui ci
rifacciamo non siano erronei, quindi sarebbe legittimo anche pensare che
Costanzo II fosse nato nell’Agosto del 318, cosa che “supprimerait
toute difficulté”
[16].
In questa prospettiva possiamo a buon diritto affermare che Licinio junior sia
nato nel 315 e Costantino II, concepito nel 316, sia nato ad Arles, dove
Costantino lasciò Fausta al quinto o sesto mese di gravidanza, mentre muoveva
dalla Gallia
verso
D’altronde l’Anonimo di Valois è molto chiaro riguardo alla presenza del figlio di Licinio all’epoca della guerra [17], quando ci dice che, dopo la prima sconfitta, Licinio “Sublata inde uxore ac filio et thesauris tetendit ad Daciam”. Porta quindi con sé moglie e figlio, lo stesso figlio, a questo punto, che fu proclamato Cesare nel 317 e che quindi è nato prima della battaglia di Cibale. Questa tesi verrebbe a cadere se accettassimo la datazione della battaglia al 314, e dovremmo convenire con Seeck che Licinio il Giovane fosse un bastardo.
Consideriamo
allora altri testi, scartati perché si credeva che Licinio il giovane fosse
ancor vivo nel 336 e che riferiscono della morte del personaggio. Eutropio
[18],
San Gerolamo [19]
e Paolo Orosio
[20]
ci dicono che Licinio il Giovane e Crispo furono fatti uccidere da Costantino
nel 326. I motivi della crudeltà che poté spingere ad eliminare il proprio
sangue ci sfuggono; forse fu Fausta a progettare di fare piazza pulita dei
possibili eredi all’infuori dei propri figli, ma anche a lei toccò la sorte
dei malcapitati fanciulli. Leggendo i testi si rileva che essi insistono più
sul fatto che Licinio junior fosse
figlio di Costanza che sulla genitura paterna, evidentemente perché era da
parte della madre che veniva legittimata l’eredità al comando: il titolo che
gli fu dato era quello di “Constantiae
Constantini sororis et Licinii filius”.
Una
ulteriore prova ci viene data dalla recente scoperta di una pietra miliare in
Gallia Narbonese, di cui non ho potuto trovare riscontro diretto, ma che
Chastagnol provvede a menzionare e a riportare in maniera esauriente [21].
L’iscrizione è molto precisa nell’informarci dell’esatta paternità e
maternità di Licinio il Giovane, ovvero Licinio e Costanza (che fu dunque una
sposa feconda, avendolo partorito nel 315) e della sua elezione a Cesare
a 20 mesi. Converremo quindi che Licinio il giovane nacque in tutta
verosimiglianza nel 315, prima della battaglia di Cibale (che non può dunque
essersi svolta nel 314), stando a quanto ci dice l’Anonymus Valesianus, da
Costanza legittima sposa di Licinio senior
e che non poteva assolutamente essere in vita nel 336, essendo stato ucciso nel
326.
Compreso ciò resta solo da capire chi fosse quello sfortunato Liciniani filius delle leggi del 336. Uno studio giuridico di Maria Grazia Bianchini [22] ha proposto per l’identificazione del malcapitato omonimo un personaggio di elevata estrazione sociale di origine africana, poi caduto in disgrazia fino al punto di dover pagare con la vita i torti presumibilmente commessi. Ma questa storia non è pertinente alla natura di questo lavoro.
Alcune
conclusioni
A
detta di Bruun stesso, l’introduzione della nuova datazione da parte sua nel
1953, quando la datazione tradizionale era in piena auge, provocò scompiglio
tra gli “addetti ai lavori”
[23].
Ma abbiamo anche visto come i successivi studi danno a questa nuova datazione
una serie di argomentazioni favorevoli che le fanno acquisire sempre più peso.
Passiamo
dunque rapidamente in rassegna gli argomenti fin qui analizzati:
1)
Per la datazione al 314 abbiamo solo la cronologia riportata nei Consularia
Constantinopolitana,
ribadita dal Seeck.
2)
Per la datazione al 316 abbiamo visto:
·
Le
argomentazioni e gli studi numismatici effettuati da Bruun
·
La
testimonianza del triennium
riportata in Aurelius Victor e i suoi rapporti intertestuali con Eusebio di
Cesarea e l’Anonimo di Valois
·
Le
leggi promulgate da Costantino a Treviri nel 314 e quelle promulgate nei Balcani
nel 316, riportate nel Codex
Theodosianus.
·
Le
argomentazioni di Chastagnol sulla discendenza di Licinio con le relative fonti
di Paolo Orosio, Gerolamo ed Eutropio.
·
La
citazione dell’iscrizione fatta da Maria Grazia Bianchini.
Non si vuole in questa sede stabilire alcuna teoria generale, né confutare o “bollare” altre linee di pensiero. Ciò che interessa è il notare che le argomentazioni fin qui esposte sembrano acquisire credibilità man mano che gli studi progrediscono: ogni elemento preso finora in considerazione si inserisce perfettamente nel “mosaico” della datazione del bellum cibalense al 316 che, d’altra parte, le stesse fonti ci offrono.
Bibliografia
Abbreviazioni:
· CSEL: «Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum».
· MGH: «Monumenta Germaniae Historica».
· RIC: (The) «Roman Imperial Coinage».
1) FONTI
·
Anonymus
Valesianus, Origo Constantini Imperatoris sive Anonymi Valesiani pars
prior, edidit Theodor Mommsen in MGH, A.A. IX, Chronica minora, vol. I, saecc. IV, V, VI, VII, Berlin
1892.
·
Consularia
Constantinopolitana
AD A. CCCXCV cum additamento Hydatii A.D. A. CCCCLXVIII, edidit Theodor Mommsen in MGH,
A.A. IX, Chronica Minora, I, saecc. IV, V, VI, VII, Berlin 1892.
·
Eusebius,
Life of Constantine, translated with introduction and Commentary by A. Cameron and S. G. Hall, Oxford
1992.
·
Eusebius
Hieronymus,
Chronici canones, edidit Iohannes Knight Fotheringam,
London 1923.
·
Eutropius,
Breviarium ab Urbe Condita, recensit et adnotavit H. Droysen in MGH, A.A. II, Berlin
1878.
·
Paulus
Orosius,
Historiarum adversum paganos Libri
VII, recensit Carolus Zangemeister in CSEL, I, Wien 1882.
·
RIC, VII, AA. DD. 313-317, by P.
M. Bruun, London 1966.
· Sexti Aurelii Victoris Liber de Caesaribus, recensit F. Pichlmayr, Leipzig 1961.
·
Theodosiani
Libri XVI cum Constitutionibus Sirmondianis et Leges novellae ad Theodosianum
pertinentes, consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae
Borussicae, ediderunt Theodor Mommsen et Paulus M. Meyer, Voluminis I pars posterior,
, Berlin 1954.
·
Zosime,
Histoire
Nouvelle, Livre II, texte établi et traduit par
François Paschoud, Paris 1971.
·
Patrick M. Bruun,
The bellum Cybalense of A.D. 316, in Essays
in honour of R. Carson and K. Jenkins,
Edited by M.
Price, A. Burnett and R. Bland, London 1993, pp. 247-259.
·
S. Calderone,
Da Costantino a Teodosio, in Nuove
questioni di Storia Antica, Milano 1968, pp. 615-684.
·
André Chastagnol,
L’accentrarsi del sistema dinastico: la
tetrarchia e Costantino, in
Storia
di Roma,
vol. III, L’età tardoantica, I, Crisi e trasformazioni, Torino 1993.
·
A. Chastagnol,
Quelques mises au point autour de l’empereur Licinius, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo. Colloquio sul Cristianesimo nel mondo
antico, a cura di Giorgio Bonamente e Franca Fusco, Macerata 1992.
acerata 1992.
·
G. Clemente,
Guida alla Storia Romana. Eventi,
strutture sociali, metodi di ricerca, Milano 1977.
· Otto Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die jähre 311 bis 476 N. Chr., Vorarbeit zu einer prosopographie der Christlichen Kaiserzeit, Stuttgart 1919.
1 A. Chastagnol, L’accentrarsi del sistema dinastico: la tetrarchia e Costantino, in Storia di Roma, vol. III, L’età tardoantica, I, Crisi e trasformazioni, Torino 1993, pp. 209-217.
2 Anonymus Valesianus, Origo Constantini Imperatoris sive Anonymi Valesiani pars prior, edidit T. Mommsen in MGH, A.A. IX, Chronica minora, I, saecc. IV, V, VI, VII, Berlin 1892.
3 Zosime, Histoire Nouvelle, lib. II, texte établi et traduit par F. Paschoud, Paris 1971, pp. 89-91
4 Consularia Constantinopolitana AD A. CCCXCV cum additamento Hydatii A.D. A. CCCCLXVIII, edidit T. Mommsen in MGH, A.A. IX, Chronica Minora, I, saecc. IV, V, VI, VII, Berlin 1892, p. 231.
5 Non vidi, ma riportato sinteticamente in A. Chastagnol, Quelques mises au point autour de l’empereur Licinius, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo. Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico, Macerata 18-20 dicembre 1990, a cura di G. Bonamente e F. Fusco, Macerata 1992, pp. 314-315.
6 In RIC, VII, AA. DD. 313-317, by P. M. BRUUN, London 1966, pp. 643-644.
7 P. M. Bruun, The bellum Cybalense of A.D. 316, in Essays in honour of R. Carson and K. Jenkins, edited by M. Price, A. Burnett and R. Bland, London 1993, pp. 247-259.
8 Sexti Aurelii Victoris Liber de Caesaribus, recensit F. Pichlmayr, Leipzig 1961, p. 124.
9 Eusebius, Life of Constantine, translated with introduction and Commentary by A. Cameron and S. G. Hall, Oxford 1992, I, 50, 2.
10 Anonymus Valesianus, Origo cit., p. 8.
11 Theodosiani Libri XVI cum Constitutionibus Sirmondianis et Leges novellae ad Theodosianum pertinentes, consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae Borussicae, ediderunt T. Mommsen et P. M. Meyer, voluminis I pars posterior, Berlin 1954.
12 Otto Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die jähre 311 bis 476 N. Chr., Vorarbeit zu einer prosopographie der Christlichen Kaiserzeit, Stuttgart 1919, p. 168.
13 CHASTAGNOL, Quelques mises au point cit., cap. 3 “La descendance de Licinius”, pp. 317-323.
14 Aurelius Victor, De Caesaribus, in Sexti Aurelii Victoris Liber de Caesaribus cit. (in questo caso è riportata la dicitura “incerti autoris”), p. 166.
15 ZOSIME, Histoire cit., lib. II, 20, 2, p. 92.
16 CHASTAGNOL, Quelques mises au point cit., p. 322.
17 Anonymus Valesianus, Origo cit., p. 9.
18 Eutropius, Breviarium ab Urbe Condita, recensit et adnotavit H. Droysen in MGH, A.A. II, Berlin 1878, p. 174.
19 Eusebius Hieronymus, Chronici canones, edidit I. K. Fotheringam, London 1923, p. 313.
20 Paulus Orosius, Historiarum adversum paganos Libri VII, recensit C. Zangemeister in CSEL, I, Wien 1882, p. 504.
21 Non vidi, ma citato in CHASTAGNOL, Quelques mises au point cit., p. 321, nota 36.
23 P. Bruun, The bellum Cybalense of A.D. 316 cit., p. 247.
©2004 Pierfrancesco Nestola