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LA MORTE NELL’ALTO MEDIOEVOTra dottrina e folklore
Philippe Aries parla di morte addomesticata riferendosi all’attesa e serena partecipazione alla morte propria dell’Alto medioevo.. Se è vero che possiamo nutrire alcuni dubbi su quanto serenamente fosse accettata la morte, vero certo è che, in epoca Medievale, essa non era un tabù quanto ai giorni nostri, anzi veniva rappresentata e celebrata, tanto che già tra il IV e il V secolo la chiesa Cristiana definì i rapporti tra vivi e defunti; il testo più rappresentativo, in tal senso, è il trattato De cura pro mortuis gerenda composto intorno al 420-421 da Agostino. In questo testo Agostino risponde a un quesito postogli da Paolino: giova a un morto essere sepolto dove è sepolto un santo? La questione era stata sollevata dalla vedova Flora che chiedeva che il figlio fosse sepolto presso la Memoria di un santo. La risposta di Agostino sorprende per il suo rigore razionale e la sua laicità ed è riassumibile nei seguenti punti:
Se Dio ha permesso una cosa di questo genere, bisogna pensare che per nessun altro motivo l’ha fatto se non perché imparino i cristiani che, per essere fedeli a Cristo, se debbono non tener conto di questa vita, tanto minor conto debbono avere della sepoltura.. Se è vero che il corpo non è importante, Agostino non nasconde che la pietà di un uomo verso il suo corpo è un atto di natura.
Se i pagani pregano i morti, sepolti ben lontano dalla città, ma presente come lari nella casa, i cristiani pregano per i morti, gettando le basi di quel potere dei vivi sui morti che troverà il suo apogeo nella nascita del Purgatorio. Per la Chiesa era importante solo la morte dell’anima: lo spegnersi del corpo rappresentava solo la liberazione dal bozzolo, l’inizio della nuova vita10. Una sola è la morte degli uomini e degli animali. Come muore l’uomo, così muoiono gli animali. Emettono tutti lo stesso soffio vitale, e l’uomo non ha più niente degli animali.11 Gregorio magno, commentando questa sentenza di Salomone, afferma che ciò che l’uomo e l’animale hanno in comune è la morte carnale, ma ciò che l’uomo ha in più delle bestie è questo: esse dopo la morte non vivono, mentre l’uomo comincia a vivere quando termina con la morte della carne questa vita visibile. La dottrina della chiesa basata sul concetto che i suffragi dei vivi potevano essere utili ai defunti che avessero meritato di beneficiarne, si scontrò, come spesso avviene, con le usanze funebri che non smisero mai di evolversi e arricchirsi. E’ così che, peculiarità tutta cristiana, si introduce una gerarchia tra i defunti: soltanto le sepolture dei santi potevano essere venerate tra i fedeli, e solo le loro reliquie potevano essere oggetto di invenzioni, traslazioni, elevazioni. I fedeli pregavano per i propri morti ma si raccomandavano ai santi: si crea, così, una nuova familiarità tra vivi e morti al punto che Eunopio, retore anti cristiano del IV secolo, autore di una storia non conservata delle gesta di Giuliano l’apostata scrive “Fondavano le città nei cimiteri”, approposito della città egiziana di Tabessa cui viene affiancato un centro di pellegrinaggio intorno alla tomba di Sana Crispina. Altro abominio, visto con gli occhi pagani è la creazioni degli altari sulle tombe dei defunti: la tomba del santo, il suo corpo, è il punto focale di ogni culto ed è una proprietà pubblica. La società cristiana, quindi, è divisa tra la cura dei propri morti e il culto dei morti, per così dire, “sociali”. La Chiesa voleva distinguersi dalle usanze pagane disapprovando le sontuose tombe dell’aristocrazia romana, i sacrifici e le offerte sulle tombe12. Era indispensabile sottolineare, da una parte la poca importanza attribuita al corpo dei morti e alla loro sepoltura, dall’altra l’eccellenza senza pari dei santi.13 Presso i Franchi, ma la tradizione si diffuse da nord a sud, il corpo veniva interrato nudo, circondato da un cassone di pietre a secco. Ancora nel V-VI secolo era pratica corrente l’incenerazione: suo scopo era di impedire ai morti di tornare a tormentare i vivi, per lo stesso motivo si piantavano arbusti spinosi sulla tomba, per inchiodare il morto alla sua terra, usando poi un palo, o una stele a forma di ponticello14. Alcune tombe hanno simboli pagani: il cervo, simbolo di regalità, che accompagna il defunto, il cavallo Sleipnir che in occasione della festa di Jul, il 26 dicembre, riportava sulla terra i morti. E’ possibile trovare anche un vero e proprio arsenale di superstizioni:
Molti aspetti dei riti funebri erano affidati alle donne che vegliavano i defunti, lavavano e preparavano i corpi e si abbandonavano a lamenti durante i funerali: era diffusa la credenza che i morti sarebbero tornati a tormentare i vivi qualora questi non li avessero soddisfatti con le cerimonie funebri. I morti dovevano restare nel loro mondo, per esempio, presso i Franchi, i bambini nati morti dovevano essere impalati, perché l’innocente non sarebbe rimasto sotto terra, ma sarebbe risalito verso il cielo per rimproverare i vivi della loro vita mancata, gli stregoni, per il motivo inverso, venivano inchiodati alla bara e decapitati. Come visto, riti funebri sono pieni di superstizioni, tra l’VIII e il IX secolo i penitenziali moltiplicano domande e avvertimenti: Hai preso parte a quelle sciocche pratiche a cui si dedicano certe donnette sciocche? Quando il defunto è ancora in casa corrono alla fontana, ne tornano in silenzio con un recipiente d’acqua, e nel momento in cui il cadavere viene sollevato, spendono acqua sulla barella. Esse badano anche, quando il morto viene portato fuori dalla casa, che non venga sollevato all’altezza delle loro ginocchia; tutto in vista di una eventuale guarigione[…] Gli mettono tra le mani un unguento pensando che così possa guarire la sua ferita. Se non guarisce seppelliscono lui e l’unguento”. Tuttavia i funerali dovevano essere abbastanza sopra le righe se nel canone di Nantes del 658 si vieta al clero di partecipare alle commemorazioni dei morti celebrate nel settimo e trentesimo giorno dopo il decesso, come pure in occasione di quell’anniversario. Ai preti è vietato brindare all’anima del morto o forzare qualcuno a farlo; sono vietati il riso, i banchetti, giochi con un orso o giostre o tornei e soprattutto di indossare maschere dette talamascas16. Dopo la veglia funebre, il morto veniva portato al cimitero da tutto il villaggio su una barella e con un telo o fazzoletto sul viso per evitare che se ne guardassero gli occhi: era portato non a spalla ma all’altezza delle ginocchia. Ogni cadavere aveva una sepoltura singola17, dopo la quale i parenti andavano a banchettare intervalli regolari sulla tomba, offrendo fagioli ai demoni. In un famoso episodio della Vita di san Martino di Tours, il santo si imbatte nella salma di un pagano che veniva trasportata al luogo di sepoltura con un corteo funebre proprio di quel culto supertizioso18, crede di trovarsi davanti a un rito pagano19, allora immobilizza tutti e, dopo aver fatto il segno della croce, impone di fermare il corteo. Per azione miracolosa gli uomini, seppur cerchino con tutte le forze di fare un passo avanti, prendono a girare su se stessi, Martino, resosi conto che si tratta di un corteo funebre e non di sacrifici pagani, lascia proseguire ma raccomanda sobrietà. Se è vero che per Agostino i soli spiriti che garantiscano una mediazione tra uomini e il mondo dell’aldilà sono gli angeli (anche nella loro versione malvagia- i demoni): per il santo di Ippona sono gli angeli a presentare agli uomini i defunti facendoli apparire come un corpo vivente, un corpo che però non ha niente a che fare col defunto. Tuttavia la teoria agostiniana non mancherà, per tutto il Medioevo, di entrare in contrasto con la tradizione folklorica: in essa gli angeli e i demoni non sono gli unici spiriti in grado di manifestarsi, anche le anime dei defunti sono spiriti liberi di apparire e terrorizzare i vivi. Anche se nell’alto Medioevo le storie di apparizioni non sono molto attestate, tuttavia, nell’agiografia è presente la figura del santo che scaccia gli spiriti funesti dei morti: San Germano d’Auxerre20 avrebbe liberato una casa infestata dalle ombre dei morti non ancora sepolti, mentre San Martino21 costrinse l’ombra di un brigante, al quale gli abitanti attribuivano poteri miracolosi, a rivelare chi fosse. I morti, inoltre, in contraddizione con Agostino possono prevedere la morte dei loro parenti e appaiono loro per avvisarli, Gregorio Magno racconta: Tre anni fa morì uno dei fratelli e lo seppellimmo nel cimitero. Dopo che tutti fummo usciti dal cimitero, Giovanni, come subito ci fece sapere egli stesso pallido e tremante, mentre si trovava là dopo la nostra uscita, si sentì chiamare dal sepolcro, dal fratello che era morto. La fine che sopraggiunse poco dopo confermò le sue parole, infatti, ammalatosi, morì dopo dieci giorni. Diagulorum Graegoerii papae IV,49
A partire dall’VIII e IX secolo la Chiesa entrò con forza nelle pratiche familiari, denunciando con fermezza le pratiche funebri giudicate superstiziose, gli stessi cimiteri si spostano nella chiesa parrocchiale, fino a circondarla. I sinodi e i capitolari carolingi denunciarono con fermezza le pratiche funebri superstizione e iniziarono a pretendere dal clero una miglior conoscenza dei riti di preparazione alla morte. In tutto l’Occidente si diffuse l’ufficio per i defunti: un insieme di preghiere, di testi scritturali e patristici, che venivano recitati regolarmente, nella maggior parte delle comunità ecclesiastiche, durante le diverse ore della giornata. La diffusione dell’inumazione presso le tombe dei santi, ha favorito la regolamentazione delle pratiche funerarie: spariscono le suppellettili e acquistano forza le prime prescrizioni ecclesiastiche contro la superstizione. Intorno alla metà dell’VIII secolo, si formarono le prime istituzioni di vescovi e abati i cui membri si impegnavano, alla morte di uno di loro, a celebrare la memoria del defunto recitando salteri e dicendo messe speciali e private a suo beneficio: le fondazioni religiose si scambiavano elenchi di nomi che ogni ente registrava nel proprio liber vitae o liber memorialis. I monaci dell’epoca carolingia, intervengono in qualità di esperti dei riti funebri: diventano intermediari d’obbligo, indispensabili agenti per il passaggio, dal momento che ricevono l’ultima confessione, impartiscono l’estrema unzione e redigono i testamenti A partire dal IX secolo si sviluppa notevolmente la liturgia dei morti: fin dall’epoca Carolingia è attestata l’usanza delle messe in suffragio il terzo, il settimo e il tredicesimo giorno dopo il decesso, corredate di offerte fatte ai poveri in memoria del defunto grazie alle donazioni fatte alla Chiesa. Queste ultime rispondo a una precisa necessità sociale: il testatore divide i propri beni tra la Chiesa e i suoi eredi e li supplica di preoccuparsi della sua anima dopo la morte e, per questo, di non impugnare le sue donazioni devote. I poveri che affollano i monasteri e ricevono le elemosine in nome del morto, sono, spesso, una folla di veri miserabili: sono considerati i sostituti terreni del morto, perché le elemosine fanno parte dei suffragi per aiutare i morti. Nutrire i poveri diventa dunque “nutrire” l’anima del defunto. La gestione della memoria dei morti venne affiata ai monasteri e soprattutto il compito di distribuire l’elemosine che i defunti destinavano al riscatto dei propri peccati. L’abbazia di Fulda è il centro degli scambi tra vivi e morti, e lo testimoniano anche due racconti tratti dalla Vita di Rabano Mauro, scritta da Rodolfo di Fulda intorno all’842. Il celleraio Adelardo si macchiò della colpa di essersi appropriato di elemosine destinate ai poveri, fu così che gli apparvero gli spiriti dei monaci che non potevano beneficiare di questi suffragi: durante una notte dell’anno 837 lo percossero e terrorizzarono. Durante la quaresima dell’ 878 il re Ludovico il Germanico si inginocchiò in preghiera: gli apparve il padre Ludovico il Pio, scongiurandolo di strapparlo ai tormenti dell’aldilà. Colpito dalla visione, il re la fece mettere per iscritto e la inviò a tutti i monasteri del regno, ordinando che i monaci pregassero per la salvezza dell’imperatore. I morti hanno anche il potere di fermare i ladri: Gregorio Magno22 racconta che nella provincia di Valeria un ladro, di notte, mentre i monaci erano raccolti in preghiera, cercò di rubare un castrato dall’ovile. Dal momento che nella strada che conduceva all’ovile era stato sepolto un venerabile sacerdote, quando il ladro, con il castrato in braccio, arrivò davanti alla tomba, si fermò di colpo e non poté più compiere un solo passo e venne scoperto. Mentre nell’antichità i cimiteri accoglievano ogni tipo di morto, i cimiteri medievali, consacrati e benedetti, accolgono solo i fedeli ed estromettono alcune categorie di “cristiani”(i suicidi23, scomunicati, attori)24. Il cimitero non era soltanto il luogo in cui si seppelliva: l’apparente anarchia e incuria dei cimiteri altomedievali, l’anonimato che vi regnava, il riutilizzo delle tombe, non sono segnale di disinteresse e negligenza, ma la dimensione comunitaria del mondo del villaggio medievale. I funerali e il lutto toccavano alle famiglie, ma una volta sepolto, il morto era della comunità: la cura dei morti spettava a tutti. La stessa parola cimitero designava anche un luogo in cui si era smesso di seppellire, o dove talvolta non si era mai seppellito ma che assolveva comunque ad una funzione importante per la vita medievale: il cimitero era un foro, una piazza, dove i vivi s’incontravano per i loro interessi spirituali e temporali, per svolgere giochi, commerci, scambi, nobili e meno nobili affari. Per i traffici e i commerci che lì si svolgevano, il cimitero era un luogo rumoroso, affaccendato, turbolento. In un’epoca quale quella medievale, in cui la strada costituiva il luogo in cui incontrarsi poiché le case erano piccole e molto affollate, la chiesa divenne "la casa comune" e il cimitero il suo spazio all’aperto. Molti riti sembravano avere il compito di mettere in contatto la comunità dei vivi con quella dei morti, è il caso delle danze popolari che, in alcuni casi, avevano luogo nei cimiteri. Calpestando i resti dei defunti, i danzatori cercavano il contatto fisico coi con gli antenati, sforzandosi di mantenerli al posto loro. Come testimonia la richiesta da cui muove l’opera di Agostino, è prassi per tutto il medioevo la sepoltura nella chiese: tra le zone presso la chiesa in cui si preferiva essere sepolti, l’abside il vestibolo; lungo i muri perimetrali della chiesa sotto la gronda del tetto, bagnati da quelle acque piovane che si riteneva avessero assorbito la sacralità del luogo per lo scorrere lungo le sue mura; in atrio o più propriamente nella corte della chiesa; in porticu, sotto le arcate dei portici perimetrali della corte. All’interno della chiesa invece il posto più ricercato e quindi più costoso (si pagava tramite lasciti testamentari per le preghiere) era il coro, vicino al punto in cui si celebra la messa e dove sono conservate le reliquie del santo. Analogamente al coro in cui è posto l’altare maggiore erano molto desiderate per le sepolture le cappelle laterali con altari minori e in particolare la cappella dedicata alla Vergine. La storia del defunto Valentino, mette in guardia dal prendere alla leggera tale pratica: a Genova era morto Velentino, difensore della chiesa di Milano, uomo dedito al lusso e alla frivolezza e il suo corpo era stato sepolto nella chiesa di san Siro. A mezzanotte si udirono voci nella chiesa[…] accorsero due custodi e videro due spiriti terribili che avevano legato i piedi di Valentino e lo trascinavano fuori[…]. Commenta Gregorio: […]Puoi dedurre che quanti sono oppressi da peccati gravi, se si fanno seppellire in un luogo sacro, vengono giudicati anche a motivo della loro presunzione, perché i luoghi sacri non li assolvono dai peccati, ma li accusano anche per la loro temerarietà25. Contrariamente ad oggi, la paura più grande non era tanto il dolore, ma l’eventualità di una morte improvvisa, che avrebbe esposto il peccatore alla possibilità di morire nel peccato, senza la protezione di Cristo. Paradigmatico in questo senso il racconto di Gregorio Magno26: un monaco molto giovane amava i suoi genitori più del dovuto. Un giorno si recò da loro, uscendo dal monastero senza la benedizione e in quello stesso giorno morì. Viene sepolto, ma il giorno successivo la salma viene respinta fuori dal sepolcro, la cosa si ripete per tre giorni di seguito. I genitori affannati si recano da san Benedetto e lo implorano di aiutare il defunto, Il santo dice loro: “Ite, atque hoc dominicum corpus super pectus eius ponite, eumque sepolturae sic tradite27” Dopo aver fatto ciò il corpo venne accolto dalla terra. Gregorio Magno conclude lodando la grandezza del santo, che si prepara in modo del tutto diverso alla morte28: anzitutto ha l’esatta visione del giorno mese e anno della sua morte, lo comunica ai discepoli pregandoli di tacere. All’approssimarsi della morte, ormai squassato dalla febbre, fa aprire la sua tomba, si fortifica con l’assunzione del corpo e del sangue di Cristo e mentre prega alzando le mani al cielo, sostenuto dai suoi discepoli muore. La morte quindi, se non anelata e assunta con tranquillità, è un elemento importante della vita della comunità: come è forte il concetto della salvezza all’interno di una comunità di credenti, così è prerogativa altomedievale l’importanza della cura dei morti a livello comunitario. La città dei vivi è costruita senza soluzione di continuità intorno alla città dei morti, le funzioni funebri hanno una dimensione privata e pubblica insieme e progressivamente la chiesa le istituzionalizza, per giungere, come vedremo alla creazione della festa dei morti. 9 Cfr Dialogorum IV, 53 Una monaca viene sepolta nella chiesa del martire San Lorenzo. Quella stessa notte il custode vide per rivelazione che la donna veniva condotta davanti all’altare e là il suo corpo era segato a metà, una parte veniva bruciata, un’altra restava intatta. […] da tutto ciò si deduce con chiarezza che, quando a qualcuno non siano stati rimessi i peccati, non serve a nulla che dopo la morte si cerchi aiuto nei luoghi consacrati per evitare la condanna 10 Molte sono le storie di uscita dell’anima dal corpo: sotto forma di colomba, portata in cielo dagli angeli in un globo di fuoco, accompagnata da apostoli, uomini in bianche vesti. Spesso durante il decesso quando l’anima viene accolta in cielo si sparge un buonissimo profumo, appare una grande luce, si sente il brusio di una grande folla, a volte un grande timore invade i presenti che sono costretti ad andarsene, a volte la terra trema 11 Dialogorum, IV,4 12 L’archeologia funeraria ha, tuttavia, rivelato la persistenza di arredi funerari fino al VII-VIII secolo, essi poi ritorneranno nei secoli successivi, a partire dal basso medieovo, per esplodere poi nel periodo delle Signorie. Cfr la cappella Medicea a Firenze 13 La procedura di canonizzazione ufficiale si stabilirà solo nel XII sec. 14 I morti sono sepolti sempre tutti vestiti, con gioielli e utensili. Alcune tombe mostrano la presenza di cavalli uccisi, in onore del di Sleipnir, cavallo di Odino. 15 Nell’antichità greca e romana, il morto veniva sepolto con una moneta in bocca che sarebbe servita per pagare il nocchiero Caronte. 16 La parola talascas è di origine germanica, e indica annerire o abbruttire il viso, dal momento che le maschere medievali sono più di frequente rivestimenti spalmati. In latino medievale, maschera si dice larva, lemma che nel latino classico indica lo spirito malvagio. Le maschere sono infatti strumenti del demonio e quindi vietati. La parola italiana maschera deriva da masca e compare per la prima volta nel 643. Interessante notare che nel sud della Francia e in Piemonte, masca significhi strega. 17“ Se qualcuno avrà posato in una bara o in un sarcofago un cadavere sopra un altro[…]sarà passibile di una multa di 50 soldi” Concilio di Tour del 527 18 Vita Martinii, 12,1 19 Martino vede i teli di lino svolazzanti posti sopra la salma e crede di trovarsi davanti a riti pagani: era infatti costume dei Galli, mossi da una miserevole follia, portare in giro per i prorpi campi simulacri di demoni ricoperti di candidi veli. 20 Dalla biografia scritta nel 478 d. C. circa trent’anni dopo la morte del santo, da Costanzo di Lione 21 Sulpicio Severo, Vita Martini, 11, 3-5 “ quindi, ritto sul sepolcro, pregò il Signore di rivelare chi vi fosse sepoltoe quale fosse il suo merito, in quel momento, volgendosi alla propria sinistra, vide ferma accanto a sé un’ombra scura e truce. Le ordinò di dire nome e merito. L’ombra confessò il crimine: era stato un brigante, giustiziato per i delitti commessi, venerato in forza di un errato convincimento del volgo 22 Dialogorum III,22 23 Il concilio di Toledo del 693 prevede il diniego di sepoltura per il suicida e la scomunica per il tentativo, vietate erano ovviamente anche messe in suffragio, oblazioni e canti si salmi. Oggi la Chiesa Cattolica, ai sensi del canone 1184 del Codice di diritto canonico, si riserva il diritto di negare le esequie: * qualora il defunto sia notoriamente apostata, eretico, scismatico o abbia provveduto a cancellare gli effetti civili del battesimo; * qualora il defunto abbia scelto la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana; * qualora si tratti di peccatori manifesti, le cui esequie darebbero pubblico scandalo dei fedeli. La negazione delle esequie è applicabile se prima della morte i defunti non danno alcun segno di pentimento. 24 Nel 305, il Sinodo d´Elvira fulmina di scomunica tutti i commedianti, gli istrioni e i ciarlatani pubblici, condannandoli ad essere sepolti in terra sconsacrata ; nel 315, il Sinodo d´Arles, reitera la scomunica. 25 Diagulorum IV,55 26 Dialogorum Graegorii Papae, II,24, Gregorio magno (540-604) è la figura di maggior rilievo del VI secolo è considerato l’ultimo dei grandi padri dell’occidente latino. Nei dialoghi, un’opera a metà strada tra agiografia a trattato, vuole mostrare come la santità non sia solo dei martiru, ma anche del suo stesso tempo. 27 Andate e ponete sul suo petto questo corpo del Signore e seppellitelo di nuovo 28 Dialogorum, II,37 |